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Il ricorso contro l'inerzia della Regione per la mancanza di norme attuative

Nel presente post affrontiamo il tema della "ricorribilità" avverso silenzio perpetrato da una Regione nella mancata predisposizione di norme attuative regionali necessarie per l'utilizzo di fondi pubblici di carattere nazionale.

Il quesito è:

E' possibile ricorrere avverso le lacune normative generali di una Regione per l'uso di fondi nazionali?

La risposta sembrerebbe negativa in quanto si tratterebbe di atti a contenuto generale di carattere normativo secondario, per definizione esclusi dalle procedure in tema di procedimento amministrativo in quanto difficilmente individuabili sono i destinatari del provvedimento e quindi difficilmente individuabili sarebbero gli "interessati" ricorrenti.


Tale impostazione sembra però essere stata incrinata da una recente sentenza del Consiglio di Stato in tema di ricorso avverso la mancata emissione di provvedimenti attuativi di fondi faunistici.


E’ possibile passare alla disamina della questione se sia possibile azionare il rito ex art. 117 c.p.a. a fronte dell’inerzia di una amministrazione nella approvazione di un atto amministrativo di natura generale o di un atto di natura normativa come le norme attuative regionale per l'utilizzo di fondi pubblici.


Il Consiglio di Stato n. 3652/2025 non ignora che è orientamento consolidato di questo Consiglio di Stato quello secondo cui si è al di fuori dei presupposti dell’azione avverso il silenzio quando si sollecita all’amministrazione non una specifica attività provvedimentale ma una attività di carattere generale (Cons. Stato, sez. IV, 17 dicembre 2018, n. 7090; 27 dicembre 2017, n. 6096; sez. V, 9 marzo 2015, n. 1182; sez. IV, 22 giugno 2011, n. 3798; 7 luglio 2009, n. 4351): tale orientamento valorizza la presunta impossibilità, in tal caso, di individuare specifici “destinatari” degli atti sollecitati, in capo ai quali possa radicarsi una posizione giuridica qualificata e differenziata, definibile come di interesse legittimo. Per questa via si perviene ad affermare la impraticabilità del rito del silenzio laddove manchi uno specifico e individuato destinatario dell’azione amministrativa: ciò vale, a fortiori, con specifico riferimento agli atti normativi che, per la loro generalità e astrattezza vedono quali loro destinatari la collettività, ovvero, categorie di soggetti genericamente e astrattamente determinate (Cons. Stato, sez. IV, 26 maggio 2023, n. 5206).



Il ricorso contro l'inerzia della Regione per la mancanza di norme attuative
Il ricorso contro l'inerzia della Regione per la mancanza di norme attuative

Il ricorso contro l'inerzia della Regione per la mancanza di norme attuative


E’ stato, tuttavia, sottolineato, da altre pronunce, che la preclusione all’esperibilità del rito sul silenzio nei confronti di atti amministrativi generali o di atti normativi non deriva dal mero carattere regolamentare o generale dell’atto di cui si invoca l’adozione, quanto piuttosto dal fatto che, in ragione dell’ordinario rivolgersi di tali atti a una pluralità indifferenziata di soggetti destinatari, non individuabili ex ante e destinati anche a cambiare nel corso del tempo, è molto complessa e delicata l’opera di individuazione dei requisiti della legittimazione e dell’interesse a ricorrere in capo a chi si attivi per l’adozione di provvedimenti di tal natura. Non vi sarebbe, quindi, una preclusione di tipo “teorico” ed assoluta, alla esperibilità del rito del silenzio nei confronti di atti generali e normativi; conseguentemente è stata affermata l’ammissibilità del rito del silenzio laddove si possano individuare interessi legittimi differenziati e qualificati, in particolare nelle ipotesi di procedimenti officiosi aventi ad oggetto attività di natura generale programmatoria e pianificatoria dovuta nell’an ma discrezionale nel quomodo e nel quid (Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 273; C.g.a., sez. giur., 9 ottobre 2020, n. 905), evidenziandosi, altresì, che, in mancanza di una puntuale previsione normativa, l’amministrazione non può sospendere o interrompere sine die il procedimento di approvazione (Cons. Stato, sez. V, 2 aprile 2020, n. 2212).


Valga del resto la considerazione che anche i procedimenti di approvazione degli atti amministrativi generali e degli atti normativi non sono esclusi dal campo di applicazione della L. n. 241/90, come dimostra il fatto che l’art. 13 di tale legge sottrae gli indicati procedimenti solo all’applicazione del Capo III della legge, e non a tutta la legge. Tenuto conto di ciò nonché del fatto che gli artt. 31 e 117 c.p.a. si riferiscono, genericamente, alla conclusione del “procedimento amministrativo”, senza fare esplicito riferimento al procedimento di approvazione di uno specifico atto amministrativo, si ricava che non sono gli artt. 31 e 117 c.p.a. a costituire un ostacolo insormontabile alla esperibilità del rito del silenzio nei confronti dell’inerzia delle amministrazioni nella approvazione di atti amministrativi generali o di natura normativa: l’unico vero limite che si ricava da tali norme è che il silenzio deve avere ad oggetto una attività amministrativa, il che esclude che detto ritor possa essere attivato per lamentare l’inerzia nell’approvazione di atti di natura legislativa.


Anche la Corte costituzionale ha da tempo affermato che i principi generali di cui alla l. 241 del 1990 e, in particolare, quelli contemplati dall’art. 2, comma 2, che impone alla pubblica amministrazione di concludere il procedimento entro il termine all’uopo definito dalla legge, debbono essere applicati anche agli atti amministrativi generali di pianificazione e di programmazione: tale dovere prescinde dal fatto che il procedimento consegua ad una istanza di parte o debba essere iniziato d’ufficio, sicché l’inosservanza del termine di definizione del procedimento, pur non comportando la decadenza dal potere, connota in termini di illegittimità il comportamento della pubblica amministrazione, con conseguente possibilità per i soggetti interessati di ricorrere in giudizio avverso il silenzio-rifiuto ritualmente formatosi, al fine di tutelare le proprie posizioni giuridiche soggettive attraverso l’utilizzo di tutti i rimedi apprestati dall’ordinamento (Corte cost., n. 176 del 2004, n. 355 del 2002, n. 262 del 1997).



E’ stato ancora osservato che ai fini dell’individuazione dei requisiti della legittimazione e dell’interesse a ricorrere in capo a chi si attivi per l’adozione di provvedimenti di tal natura, non rileva l’ampiezza della discrezionalità, salvo il caso in cui quest’ultima investa anche l’an del provvedere (è il caso, ad esempio degli strumenti di pianificazione generale in materia urbanistica e relative varianti: Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2011, n. 3798);


in tali casi, infatti, al pari di quelli relativi al ritardo nella emanazione di atti normativi, è da escludersi la sussistenza di un obbligo di provvedere, anche in considerazione delle valutazioni lato sensu politiche riservate alla p.a. che rendono l’inerzia sostanzialmente insindacabile da parte del giudice amministrativo (arg. ex art. 7, comma 1, ultimo periodo, c.p.a.).


Quindi ove l'atto da emanare possiede tutte le caratteristiche per essere coercibile in via giudiziale, sia che si tratti di un atto amministrativo di carattere generale, sia che si tratti di un regolamento questo è coercibile dal Giudice Amministrativo atteso che nel caso di specie la discrezionalità lasciata alle regioni sia limitata e le limitazioni alla discrezionalità delle regioni, dianzi evidenziate, consentono di individuare agevolmente i soggetti titolari di un evidente interesse alla approvazione della normativa attuativa. CdS 3652.25

un importante pronuncia - baluardo - che potrà segnare l'apertura a nuove forme di "istanze" oggi in ombra.



Avv. Aldo Lucarelli

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gli articoli del blog non costituiscono consulenza sono casi di scuola ad uso studio di carattere generale e non prescindono dalla necessità di un parere specifico su caso concreto.

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