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Operazioni oggettivamente inesistenti, a chi spetta provare che l'operazione non è stata realizzata?


Per rispondere alla domanda, molto in voga in questo periodo riprendiamo i passi delle pronunce della Corte di Cassazione degli ultimi mesi.


Secondo la giurisprudenza che si è andata consolidando sulla problematica relativa alla detraibilità dell'I.V.A. ed alla deducibilità dei costi nel caso di fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, la fattura, di regola, costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell'imposta sul valore aggiunto e alla deducibilità dei costi in essa annotati, per cui:


spetterà all'Ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l'insorgenza di tale diritto.


Tale prova può essere fornita anche mediante elementi indiziari e presuntivi, poiché la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può

attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (orientamento predominate dell'ultimo decennio).


Pertanto, nel caso in cui l'Ufficio Finanziario ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, ossia sia mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere, e quindi, contesti anche l'indebita detrazione dell'I.V.A. e la deduzione dei costi, ha l'onere di provare che l'operazione fatturata non è mai stata effettuata, indicando, a tal fine, elementi anche indiziari.


Quindi solo a quel punto, dopo cioè che il primo passo sia stato compiuto dall'ufficio finanziario, passerà sul contribuente l'onere di dimostrare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate.

Ma attenzione, tale prova non può tuttavia consistere nella esibizione della fattura o nella

dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili o vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia.



E per l'iva è la stessa cosa? No,

infatti con specifico riferimento all'I.V.A., inoltre, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell'imposta non può in alcun modo farsi discendere - anche sul piano probatorio - dal solo fatto dell'avvenuta corresponsione dell'imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l'inerenza dell'operazione all'impresa, che è certamente mancante in relazione al pagamento dell'I.V.A. corrisposta per operazioni (anche parzialmente) inesistenti, in quanto di per sé inidoneo a configurare un pagamento a titolo di rivalsa, trattandosi di costo non inerente all'attività dell'impresa, ed anzi potenziale espressione di detrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza.


Ecco quindi che in tema di Iva, sarà necessario seguire il principio dell'inerenza dei costi.

Prima di chiudere questa la disamina precisiamo che ai fini IVA, l’inerenza debba essere valutata secondo un giudizio di tipo qualitativo e non quantitativo, correlato all’attività d’impresa; con la conseguenza che la detrazione non possa essere esclusa solo in virtù di un mero giudizio fondato sulla congruità del costo.



Unica eccezione al predetto principio è la possibilità per l’amministrazione finanziaria di dimostrare la macroscopica anti-economicità dell’operazione, la quale costituisce elemento sintomatico dell’assenza di correlazione dell’operazione Iva, con lo svolgimento dell’attività imprenditoriale.



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