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  • Il Silenzio della Pubblica Amministrazione, scelta o inerzia colpevole?

    Ci è stato chiesto di avere una delucidazione sul Silenzio della Pubblica Amministrazione e quando questa è sempre impugnabile davanti al TAR. Partiamo da un presupposto, ai sensi dell'articolo 2 della Legge 241/1990: “Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante 'adozione di un provvedimento espresso”. Il silenzio della pubblica amministrazione è quindi un comportamento omissivo dell'amministrazione di fronte a un dovere di provvedere, di emanare un atto e di concludere il procedimento con l'adozione di un provvedimento entro un termine prestabilito. Esiste tuttavia anche il Silenzio Assenso ai sensi dell'art. 20 del Codice degli appalti secondo cui il silenzio equivale a provvedimento di accoglimento dell'istanza se non perviene diniego nei termini. (previsti dall'art. 2 della legge 241/1990). Tuttavia non ad ogni domanda rivolta alla P.A. consegue un obbligo a provvedere, e quindi in caso di mancato riscontro non è esperibile il ricorso alla giustizia amministrativa con il particolare rimedio del ricorso avverso il silenzio previsto dall'art. 117 del codice amministrativo. Infatti secondo il granitico insegnamento della giurisprudenza, a fronte di istanze generiche non consegue alcun obbligo dell’Amministrazione di provvedere, tenuto conto che la stessa “soggiace alla più ampia valutazione discrezionale della Pubblica amministrazione e non si esercita in base ad un'istanza di parte, avente al più portata meramente sollecitatoria e inidonea, come tale, ad imporre alcun obbligo giuridico di provvedere, con la conseguente inutilizzabilità del rimedio processuale previsto avverso il silenzio inadempimento della p.a.” (Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 539/2021.) Il rimedio avverso il silenzio è il ricorso alla giustizia amministrativa ai sensi dell'art. 117, ma attenzione, il ricorso è esperibile solo ove sussista un obbligo a provvedimento da parte della P.A. trattasi infatti di silenzio inadempimento relativo quindi all'obbligo a provvedere entro il termine di cui all'articolo 2 della legge 241/1990. Come ulteriormente chiarito dal giudice amministrativo: “Il rito del silenzio è strettamente circoscritto all'attività amministrativa di natura provvedimentale, ossia finalizzata all'adozione di atti destinati a produrre effetti nei confronti di specifici destinatari; il silenzio inadempimento è, dunque, configurabile al cospetto di un obbligo giuridico di provvedere da parte dell'amministrazione, cioè di esercitare una pubblica funzione normativamente attribuita alla competenza dell'organo amministrativo destinatario della richiesta; presupposto per l'azione avverso il silenzio è dunque l'esistenza di uno specifico obbligo, e non già di una generica facoltà o di una mera potestà, dell'amministrazione di adottare un provvedimento amministrativo esplicito, volto ad incidere, positivamente o negativamente, sulla posizione giuridica differenziata del ricorrente” (Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 2930/2021). In conclusione quindi la risposta al quesito non può che essere negativa, in quanto presupposto per l'azione avverso il silenzio omissivo è dunque l'esistenza di uno specifico obbligo, e non già di una generica facoltà o di una mera potestà, dell'amministrazione di adottare un provvedimento. Legale Oggi

  • Società: L'assemblea della Srl può vincolare il socio ai versamenti?

    Per rispondere al quesito bisogna partire da un presupposto, il rapporto tra soci di Srl e società ricade all'interno di un rapporto contrattuale. Ove quindi l'assemblea dei soci abbia deliberato un versamento per determinati scopi, non obbligatori ex lege, si pensi ad un finanziamento per operazioni straordinarie, la società non potrà vincolare tramite la delibera societaria il singolo socio a meno che non si instauri dopo la delibera assembleare, un rapporto specifico tra la società ed il singolo socio, dal quale quindi potrebbe derivare anche un'azione di ingiunzione. Come da giurisprudenza costante, Trib. Milano 15 giugno 2017, in Giur. it. 2017, 2682, secondo il quale allorché sia sottoposta all’assemblea di una S.r.l. la richiesta, rivolta ai soci, di versare somme a titolo di finanziamento, la sua approvazione non fa sorgere di per sé, neppure in capo a chi abbia espresso voto favorevole, l’obbligo di eseguire il versamento, essendo all’uopo necessaria un’ulteriore, distinta manifestazione di volontà negoziale da parte di ciascun socio uti singulus, la cui prova non richiede forme particolari)”. La deliberazione assembleare, di un finanziamento, anche ove espressa con il voto favorevole del socio, non può essere considerata alla pari di una ricognizione di debito e quindi non è sufficiente per vincolare, in assenza di un ulteriore accordo contrattuale, il singolo socio al versamento richiesto dall'assemblea. Secondo il Trib. Milano 19.6.2017 “La delibera assembleare unanime con la quale sia deciso di “approvare la richiesta di versamento in conto finanziamento ai soci fino alla concorrenza massima di €…non appare di per sé idonea a fondare alcun credito della SRL verso il socio, essendo la SRL onerata della dimostrazione della successiva adesione del socio alla richiesta di finanziamento rivoltagli dalla società…”. “In materia di aumento del capitale di una società a responsabilità limitata, l'obbligo di versamento per il socio deriva non dalla deliberazione, ma dalla distinta manifestazione di volontà negoziale, consistente nella sottoscrizione della quota del nuovo capitale offertagli in opzione, ciò indipendentemente dall'avere egli concorso o meno con il proprio voto alla deliberazione di aumento;…” (Cass. 15.9.2009 n. 19813, conf.: Cass. 19.10.2007 n. 22016). La vicenda non è scevra di aspetti particolari da verificare caso per caso, in particolare se il versamento deliberato dall'assemblea sia in conto capitale o a titolo di finanziamento, e quindi contrattualmente come un mutuo da restituire. Se infatti per i versamenti in conto capitale isolate pronunce giurisprudenziali hanno ammesso la sufficienza della del vincolo dalla delibera assembleare, (Trib. Trani 23.10.2003 in Le Società 2004, 4, 477 e Trib. Roma 3 Maggio 2017) cosa differente accade ove tale versamento avvenga a titolo di finanziamento, rendendosi necessaria una specifica pattuizione per la restituzione che la stessa società dovrà formalizzare verso il socio finanziatore. In conclusione quale che sia lo scopo, ovvero finanziamento o aumento di capitale, e quale che sia la modalità, ovvero a titolo di mutuo o in conto capitale, sembra preferibile l'orientamento secondo cui la delibera dell'assemblea non sia sufficiente a far sorgere alcun obbligo in capo al socio per il successivo versamento, occorrendo a tal riguardo uno specifico e separato accordo. Sul punto conforme anche Trib. Roma imprese del 4 aprile 2018. Legale Oggi Società: L'assemblea della Srl può vincolare il socio ai versamenti? No, è necessario un ulteriore atto che regoli i rapporti tra socio e società, se il versamento è a titolo di finanziamento, e questo perché i soci sono terzi con i quali la società dovrà costituire uno specifico rapporto contrattuale.

  • Appalti: consorzio stabile ed avvalimento a cascata.

    La giurisprudenza qualifica il Consorzio stabile, quale operatore economico costituente un’impresa collettiva operante mediante un patto consortile con le imprese consorziate avente finalità mutualistica. (TAR Bologna 975/21). Da ciò discenda la possibilità per il Consorzio di utilizzare tanto le risorse proprie, quanto quelle delle imprese ad esso consorziate, avente uno scopo mutualistico. Per ciò che riguarda l’avvalimento del Consorzio nella veste di impresa ausiliaria si deve rilevare che, secondo l’oramai consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa, è pienamente ammissibile e legittimo senza ricadere nel fenomeno – non consentito dall’ordinamento – del c.d. “avvalimento a cascata” È solo il caso di precisare che nella l'Anac ha precisato che «si configura avvalimento a cascata quando l'impresa ausiliaria si avvale a sua volta dei requisiti di un'impresa terza e tale non è il caso di consorzio stabile che dichiara di “avvalersi” di un'impresa esecutrice». Quanto al contenuto Il contratto di avvalimento non deve quindi necessariamente spingersi, ad esempio, sino alla rigida quantificazione dei mezzi d’opera, all’esatta indicazione delle qualifiche del personale messo a disposizione ovvero alla indicazione numerica dello stesso personale. Tuttavia, l’assetto negoziale deve consentire quantomeno “l’individuazione delle esatte funzioni che l’impresa ausiliaria andrà a svolgere, direttamente o in ausilio all’impresa ausiliata, e i parametri cui rapportare le risorse messe a disposizione” Legale Oggi a cura dell'Avvocato Aldo Lucarelli Consiglio di Stato, sez. IV, 11 maggio 2020 n. 2953; Cons. Stato, sez. IV, 26 luglio 2017, n. 3682, e CdS 6212/21. Riferimenti normativi: art. 45 d.lgs. n. 50/2016 art. 89 d.lgs. n. 50/2016

  • Appalti: Il Consorzio Stabile e l'impresa consorziata possono partecipare alla stessa gara.

    Facciamo il punto della questione, per la giurisprudenza l’automatico divieto di partecipazione a una gara, tanto a carico del consorzio stabile quanto della consorziata non indicata quale esecutrice, può giustificarsi solo laddove un’indagine in concreto dimostri che il rapporto fra i relativi organi conduca a individuare un unico centro decisionale; la mera partecipazione dell’impresa a un determinato consorzio stabile non può fornire elementi univoci in tal senso, tali da fondare una vera e propria praesumptio juris et de jure, che si traduce in una sorta di sillogismo categorico circa l’esistenza di un’unicità di rapporti fra consorzio stabile e proprie consorziate. L’analisi quindi deve spostarsi sul concreto centro decisionale che dirige il Consorzio e l’impresa in relazione alla gara e ciò in quanto in via di principio Il Consorzio stabile, il quale partecipa a una gara d’appalto in proprio deve ritenersi - in linea di principio - un soggetto distinto dai consorziati, con conseguente irragionevolezza, sotto il profilo della sproporzione, dell’esclusione automatica di tutti i soggetti imprenditoriali che ne fanno parte non designati quali esecutori. Tale principio tuttavia non sottrae il potere di controllo della stazione appaltante. Rimane salvo il potere/dovere della stazione appaltante di verificare l’esistenza in concreto di un collegamento tra il Consorzio stabile e le imprese consorziate o tra queste ultime che possa fare ritenere che le offerte sono espressione di un unico centro decisionale con conseguente alterazione della concorrenza; non sono, invece, ammissibili meccanismi automatici i quali sono sproporzionati. Tar Palermo 3318/2021. Legale Oggi a cura dell'Avvocato Aldo Lucarelli

  • Appalti: il Consiglio di Stato ritorna sui "gravi illeciti professionali"

    Torniamo a parlare dell'articolo 80 del codice degli appalti. La giurisprudenza amministrativa ha statuito che l’esistenza dei “gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia l’integrità o affidabilità” dell’operatore economico è rimessa alla valutazione discrezionale dell’Amministrazione, potendo perciò essere disposta l’esclusione dalla gara dell’operatore economico solo in presenza di tale concreto ed effettivo apprezzamento da parte della Stazione appaltante delle circostanze rilevanti ai fini della partecipazione alla gara, ma non per la mera omessa dichiarazione di siffatte circostanze. Invero, come statuito dalla giurisprudenza, la violazione degli obblighi informativi discendenti dall’art. 80, comma 5, lett. c), D.Lgs. 50/2016 intanto può comportare l’esclusione del concorrente reticente, in quanto essa sia stata valutata dalla Stazione appaltante in termini di incidenza sulla permanenza degli imprescindibili requisiti di integrità ed affidabilità del concorrente stesso sì che “l’esclusione non è automatica, ma è rimessa all’apprezzamento discrezionale della Stazione Appaltante, la quale potrà adottare la misura espulsiva una volta appurato, indipendentemente dalle modalità di acquisizione dei relativi elementi di fatto, che l’omissione dichiarativa abbia intaccato l’attendibilità professionale del singolo operatore economico, minando la relazione di fiducia venutasi a creare a seguito della partecipazione alla gara” (così Consiglio di Stato, Sez. V, 9 gennaio 2019, n. 196). Infatti la giurisprudenza ha altresì chiarito che “in tanto una ricostruzione a posteriori degli obblighi dichiarativi può essere ammessa, in quanto si tratti di casi palesemente incidenti sulla moralità ed affidabilità dell’operatore economico, di cui quest’ultimo doveva ritenersi consapevole e rispetto al quale non sono predicabili esclusioni “a sorpresa” a carico dello stesso» (v. Cons. Stato, sentenza n. 4316 del 2020)” (Cons. Stato, IV, 5 agosto 2020, n. 4937) Va infatti conferita “determinatezza e concretezza” all’elemento normativo della fattispecie, ovvero al carattere “dovuto” dell’informazione, al fine di “individuare con precisione le condizioni per considerare giuridicamente dovuta l’informazione”, dovendosi tenere distinte le due fattispecie: a) dell’omissione delle informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, che comprende anche la reticenza, cioè l’incompletezza della dichiarazione resa; e b) della falsità delle dichiarazioni, per tale intendendosi la presentazione nella procedura di gara in corso di dichiarazioni non veritiere, rappresentative di una circostanza in fatto diversa dal vero (cfr. ordinanza Cons. Stato, V, 9 aprile 2020, n. 2332). Nelle omissioni dichiarative certamente non può essere insito alcun automatismo escludente, in quanto essa postula sempre un “apprezzamento di rilevanza della stazione appaltante, a fini della formulazione di prognosi in concreto sfavorevole sull’affidabilità del concorrente” (Consiglio di Stato, ordinanza V, 9 aprile 2020, n. 2332; IV, n. 4937/2020 cit.). Del resto, nemmeno nelle Linee Guida ANAC n. 6 si fa alcun riferimento all’esclusione automatica per omessa dichiarazione di circostanze non tipizzate: al punto anzi, tali Linee Guida precisano che a dover essere comunicata dall’operatore economico, mediante autocertificazione nel D.G.U.E., è soltanto la sussistenza delle «cause di esclusione individuate dall’art. 80», fra le quali non rientrano quelle oggetto di causa. Infine, l’Adunanza Plenaria, con la citata sentenza n. 16 del 28 agosto 2020, ha ribadito che «l’esclusione per omissioni dichiarative del concorrente in relazione a reati c.d. “non ostativi” non può essere automatica». Legale Oggi Consiglio di Stato 1108 del 2 dicembre 2021.

  • Diritto Bancario: abusiva concessione del credito e dissesto del debitore fallito.

    Quando sussiste l'abusiva concessione del credito? e Quando la Banca creditrice può ritenersi responsabile da parte del Curatore dell'impresa poi fallita? Se hai un Tuo caso scrivici A tali domande ha risposto, dopo diversi orientamenti contrastanti, la Cassazione Civile nella recente pronuncia di Settembre 2021. La Sezione Prima, in tema di concessione del credito da parte della banca ad impresa in crisi e della conseguente responsabilità verso il ceto creditorio nonché con riguardo alla legittimazione attiva del curatore fallimentare per la reintegrazione del patrimonio del fallito, ha affermato i seguenti principi di diritto: “L’erogazione del credito che sia qualificabile come “abusiva”, in quanto effettuata con dolo o colpa, ad impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi, integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere egli venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, che obbliga il medesimo al risarcimento del danno, ove ne discenda l’aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività di impresa.” E quindi, “Non integra abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell’impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell’intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un’impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito a detti scopi”. Quanto poi alla posizione del curatore dell'impresa debitore poi fallita, e sul ruolo dello stesso nei confronti dell'istituto Bancario ha avuto modo di precisare la suprema Corte che: “Il curatore fallimentare è legittimato ad agire contro la banca per la concessione abusiva del credito, in caso di illecito nuovo finanziamento o di mantenimento dei contratti in corso, che abbia cagionato una diminuzione del patrimonio del soggetto fallito, per il danno diretto all’impresa conseguito al finanziamento e per il pregiudizio all’intero ceto creditorio a causa della perdita della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.” Ed infine sul versante processuale, un ultima analisi in tema di corresponsabilità degli organi sociali della società fallita, anche a causa dell'abusiva concessione del credito, e del ruolo della Banca, quale è la responsabilità degli uni e dell'altra. Per la Cassazione si tratta di concorso di responsabilità che sebbene abbiano una solidarietà passiva (art. 2055 cc) trattandosi della causazione del medesimo danno, non necessitano tuttavia una azione processuale unica, classificandosi quindi quale mero liticonsorzio facoltativo. Il tema rimane aperto, in quanto sempre piu' di frequente accade che grandi dissesti sono susseguenti a gestioni critiche delle risorse finanziarie reperite a debito senza una adeguata e preventiva valutazione del rischio d'impresa nell'uso delle risorse impiegate e della relativa sostenibilità. Ordinanza 18610/21 Cass. Civ. Legale Oggi

  • Società: Cessione di azienda e Bancarotta, elementi collegati dagli eventi.

    Ci è stato chiesto se possa rispondere del reato di bancarotta fraudolenta l'imprenditore poi dichiarato fallito di una società che abbia precedentemente ceduto il proprio ramo d'azienda, e se l'affitto del ramo di azienda possa essere parificato alla cessione per quanto concerne la responsabilità. In particolare nel quesito la cessione del ramo d'azienda era stata effettuata per rispondere ad esigenze del mercato e per monetizzare un complesso di beni ancora capace di redditività economica. Per rispondere al quesito è opportuno richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui «integra il reato di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale la cessione di un ramo d'azienda che renda non più possibile l'utile perseguimento dell'oggetto sociale senza garantire contestualmente il ripiano della situazione debitoria della società» L'elemento dirimente quindi per valutare la responsabilità, non è la cessione del ramo di azienda in sé considerato ma il riflesso che tale condotta comporta a carico dell'impresa cedente. La cassazione penale nella pronuncia 16989 del 2014 ha avuto modo di precisare che la bancarotta sussiste ove dalla cessione del ramo di azienda derivi l'impossibilità di perseguire l'oggetto sociale della società cedente. Più in generale, del tutto costante è l'affermazione della Cassazione secondo cui l'alienazione di cespiti della fallita - espressione questa alla quale può ricondursi anche il contratto di affitto - integra la fattispecie di bancarotta per distrazione qualora ad essa non sia seguito «il pagamento del prezzo pattuito ovvero, come nel caso di specie, la prestazione pattuita. Ecco quindi che la cessione del ramo di azienda è parificato all'affitto dell'azienda, ove ai fini degli effetti anche l'affitto, per le modalità in cui è stipulato non garantisca il ripiano dei debiti da parte della società che concede in affitto il proprio ramo. Dunque, integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale la cessione di un ramo di azienda senza corrispettivo o con corrispettivo inferiore al valore reale, mentre non assume rilievo, al riguardo la responsabilità dell'acquirente per i debiti aziendali pregressi, in quanto per detti debiti sussiste una normativa ad hoc, stante una co- responsabilità ove detti debiti risultino dai libri sociali, così come previsto dall'art. 2560 cc, senza che tale aspetto possa riguardare la distrazione già compiuta da parte della società alienante. Legale Oggi La cessione del ramo di azienda e bancarotta.

  • Concorso Farmacie e Pianta Organica.. un binomio esplosivo

    Il decreto legge n. 1/2012,ha previsto l’indizione di un bando di concorso straordinario per la copertura di nuove sedi farmaceutiche da individuarsi secondo nuovi e minori parametri demografici (una farmacia ogni 3300 abitanti anzichè, come in precedenza, una farmacia ogni 4000 o 5000 abitanti). La normativa prevedeva una ricognizione del numero di abitanti presenti al 31.12.2010, appunto al fine di individuare quei comuni in cui deve realizzarsi l’ampliamento della pianta organica. Poni il Tuo quesito! Sei un farmacista rurale? In attuazione della normativa i Comuni hanno effettuato la ricognizione demografica al fine di istituiva nuove sedi da inserire nel bando di concorso. Il concorso straordinario, secondo le previsioni normative, avrebbe dovuto concludersi entro il marzo 2013 (quindi in tempi coerenti con la possibilità di una prima revisione della pianta organica nel dicembre 2014) ma, pacificamente per ragioni imputabili alla parte di competenza nazionale di gestione del medesimo, la tempistica si è prolungata e di molto. Ecco che oggi quindi si assiste ad una nuova composizione demografica rispetto a quella oggetto del rilevamento antecedente il concorso visto altresì che sono trascorsi quasi dieci anni da allora. Il sistema normativo ha distribuito le competenze di modo che, oggi, la revisione delle piante organiche delle farmacie competa ai Comuni mentre, pacificamente, la gestione del concorso compete alla Regione. Ex lege la revisione di organico al 31.12.2010 rappresentava il presupposto per l’individuazione dell’oggetto del concorso (numero e sedi messe a bando). Per la Giustizia Amministrativa (Tar Torino n. 1571/2015) sino alla definitiva chiusura del concorso, il suo “oggetto” non possa essere influenzato dalla fisiologica e possibile ulteriore modificazione di una innumerevole serie di dati di fatto (popolazione di tutti i Comuni che hanno, in attuazione della legge, provveduto all’ampliamento delle piante organiche); avallare una simile interpretazione significherebbe per il TAR, vanificare ogni possibilità di chiusura regolare del concorso, essendo evidente che tutti i concorrenti vi hanno partecipato sulla base delle presupposte sedi individuate e che, ogni modifica delle stesse, inciderebbe sulle regole del concorso esponendola ad una sorta di imprevedibile incertezza incompatibile con lo svolgimento regolare di una procedura concorsuale. In presenza di sedi, ancorchè in esubero, tutte occupate, si porrebbe innanzitutto il problema di con quale criterio individuare la sede da sopprimere e, in ogni caso, l’astratta possibilità di soppressione comporterebbe che una attività imprenditoriale resti irrimediabilmente condizionata da imprevedibili andamenti demografici, del tutto a prescindere dal suo effettivo buon funzionamento. Alla luce di siffatte considerazioni ritiene il Tar Torino che, da un lato, si imponga una interpretazione della normativa che escluda fenomeni di variazione dei presupposti a concorso in atto; è quindi evidente che l’originaria previsione di periodica revisione ogni anno pari non possa che essere intesa come operante da momento successivo alla conclusione del concorso, come in effetti congegnata dal legislatore nell’originaria disciplina; in ogni caso non si potrà che ritenere che una sede messa a concorso è assimilabile ad una sede occupata ai fini della revisione in quanto il suo inserimento nel bando di concorso già ha condizionato ed orientato le scelte imprenditoriali di tutti i concorrenti. Tale principio deve essere poi contemperato con quanto statuito di recente dal Tar Palermo n. 288/2021 secondo cui “…la finalità di garantire l’accessibilità degli utenti al servizio distributivo dei farmaci non può significare che occorra procedere all’allocazione delle nuove sedi di farmacia in zone disabitate o del tutto sprovviste di farmacie, né può significare che debba essere evitata la sovrapposizione geografica e demografica con le zone di pertinenza delle farmacie già esistenti, essendo, invece, fisiologica e del tutto rispondente alla ratio della riforma (D.L. 24 gennaio 2012, n.1, art.11) l’eventualità che le nuove zone istituite dai Comuni o dalle Regioni incidano sul bacino d’utenza di una o più sedi preesistenti” (Cons. di Stato, Sez. III, n. 4614/2016; n. 2562/2018; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, n. 2205/2018 e n. 1154/2018). Deve tuttavia tenersi presente che rimane un diritto del titolare di una farmacia quello di sollecitare il Comune alla verifica/revisione periodica della piata organica secondo le esigenze del territorio alla luce dell'andamento demografico, e ciò al fine di evitare “cattedrali nel deserto”, ovvero sedi prive di bacini di utenza effettiva. La tematica è tutt'altro che scontata, anzi, l'avvicinarsi della conclusione del Concorso, e l'aumento delle sedi renderà tale tematica particolarmente calda nei prossimi anni. Contattaci per ogni esigenza sul tema. Potrebbe interessarti: "possibile sopprimere una sede farmaceutica" Legale Oggi Concorso Farmacie Revisione pianta organica farmacie avvocato Aldo Lucarelli

  • Il dispensario farmaceutico chiude se arriva la nuova farmacia!

    Dispensario.. .. abbiamo affrontato diverse volte l‘argomento, il dispensario è diventato il punto di scontro dei neo titolari di farmacia che abbiano scelto una nuova sede, lì dove invece per anni imperava la sede comunale o principale con un dispensario, soprattutto nelle zone di circa 1000 utenti e nelle zone con affluenze stagionali a causa del turismo. ... altro punto riguarda la liquidazione della sede pre esistente, ma su questo se ne parlerà in altro approfondimento, senza tralasciare il ruolo della determina regionale nella quantificazione.. … quindi che fine fa il vecchio dispensario farmaceutico? chiude! Questa la sintesi a cui giunge il Consiglio di Stato nella pronuncia 2240/2021 approfondiamo l’argomento.. se invece hai fretta ed hai un quesito contattaci. °°° Dispensario “il dispensario costituisce una presidio suppletivo rispetto a quello primario delle farmacia, al quale pertanto non è assimilabile, tanto è vero che - diversamente da quest'ultimo - risulta privo di circoscrizione territoriale e di autonomia tecnico-funzionale, finalizzato esclusivamente a rendere più agevole l'acquisto di farmaci di uso comune e di pronto soccorso in zone territoriali sprovviste di presidi farmaceutici, sopperendo alle esigenze primarie ed immediate della popolazione (Cons. Stato, sez. III, 27 giugno 2018, n. 3958; n. 521/2015 e 749/2015)”. E’, dunque, dirimente la considerazione che il dispensario non può essere assimilato alla farmacia. (CdS 2240/21) Precisa il Consiglio di Stato: Si tratta, infatti, di un mero presidio sul territorio al servizio dei cittadini, che tuttavia non viene riconosciuto dalla costante interpretazione giurisprudenziale né come soggetto economico in grado di competere con le farmacie; né come struttura autonoma, essendo gestito, di norma, dalla sede farmaceutica più vicina, di cui è parte integrante. e quanto all’istituzione del dispensario? Anche la sua istituzione risponde ad una logica del tutto diversa da quella delle farmacie, in quanto è finalizzata esclusivamente a rendere più agevole l'acquisto di farmaci di uso comune e di pronto soccorso in zone territoriali sprovviste di presidi farmaceutici, sopperendo alle esigenze primarie ed immediate della popolazione (Cons. St., sez. III, 27 febbraio 2018 n. 1205). Presupposti per l'istituzione del dispensario sono: a) la previsione in pianta organica della farmacia privata o pubblica; b) la mancata apertura della farmacia prevista in pianta. ed in relazione alle nuove sedi cosa accade al perimetro del dispensario? Risulta fisiologica e del tutto rispondente alla ratio della riforma l'eventualità che le nuove zone istituite dai Comuni o dalle Regioni incidano sul bacino d'utenza di una o più sedi preesistenti; Quindi: Ed, invero, deve ritenersi che l'istituzione del dispensario sia giustificata e condizionata ex lege, almeno in via tendenziale, dalla inesistenza o dalla mancata attivazione della farmacia prevista in pianta organica e mira, dunque, a garantire “l'assistenza farmaceutica minima” alla popolazione di una determinata zona. Farmacia e Dispensario: La coesistenza tra farmacia attiva e dispensario ordinario deve, infatti, ritenersi tendenzialmente esclusa in quanto essa, per un verso, viene a contraddire la natura essenzialmente suppletiva ed emergenziale del dispensario; Ne deriva che l’istituzione e la conseguente attivazione della farmacia, fa in via ordinaria, e salve motivate eccezioni, venir meno “le condizioni per il mantenimento del dispensario farmaceutico a suo tempo istituito” ( in tal senso vedi Consiglio di Stato, sez. III, 21/01/2013, n. 309, “(…) il dispensario farmaceutico, legittimamente soppresso per far luogo alla nuova farmacia, in quanto soluzione di breve periodo destinata, nel sistema normativo vigente, ad essere sostituita con una farmacia in piena titolarità (…); ciò che determina la cessazione del dispensario è data dal fatto che la nuova farmacia venga effettivamente aperta e messa in esercizio dal nuovo titolare (…)”. L’interesse alla coesistenza di farmacia e dispensario deve, viceversa, ritenersi atipico ed eccezionale (cfr. Cons. St., sez. III, 27 febbraio 2018 n. 1205). I Conclusione: Nel nuovo assetto normativo, tanto a livello di disciplina nazionale che a livello di disciplina regionale, il suddetto principio non patisce, invero, eccezione dovendo i vecchi dispensari rimanere assorbiti nell’implementazione della pianificazione comunale e nei relativi sviluppi attuativi. per ogni esigenza non esitare a Legale Oggi

  • Farmacia: il punteggio delle rurali nel Concorso.

    Farmacie: Concorso straordinario per il Consiglio di Stato la maggiorazione del punteggio per ruralità non deve essere considerata aggiuntiva al tetto massimo dei 35 punti. Questa la pronuncia del Consiglio di Stato n  2312 del 2020  secondo cui la maggiorazione per la “ruralità” è una maggiorazione da calcolarsi nei limiti in cui il punteggio per esperienza professionale non abbia raggiunto il tetto massimo di 35 punti. Pertanto, il rispetto del punteggio massimo attribuibile per titoli professionali di 35 punti comporta che, anche se conseguito un maggior punteggio per il requisito professionale della “titolarità”, il punteggio complessivo per esperienza professionale non possa poi essere ulteriormente incrementato del premio della maggiorazione del 40% per “ruralità” della sede. E ciò in quanto il combinato disposto della legge n. 221/1968 e della legge n. 362/1991, lungi dal vanificare l’intento del legislatore di attribuire un 'premio' al farmacista che ha lavorato in sedi disagiate (id est, quelle rurali), conferma il sistema su cui si fonda il concorso per l’assegnazione di sedi farmaceutiche, che è certamente quello di valorizzare l’esperienza professionale, ma entro limiti determinati, come dimostra l’esclusione della valutazione dei periodi di esercizio professionale superiori a venti anni (art. 5, comma 2, Dpcm 298/1994)". Motiva il Collegio che una diversa conclusione farebbe assumere al requisito dell’esercizio professionale in sede rurale natura di criterio selettivo (pressoché) dirimente, anche a detrimento di altri criteri espressamente presi in considerazione dalla legge istitutiva della sessione straordinaria per l’assegnazione delle nuove sedi farmaceutiche. Peraltro, l’attribuzione di un peso ponderale sproporzionato al requisito della ruralità nell’attribuzione dei punteggi per titoli professionali esporrebbe del resto il sistema regolatorio a dubbi di compatibilità con il diritto europeo, rischiando di risolversi in un vantaggio competitivo in favore dei cittadini residenti. Ad oggi quindi possiamo concludere che la ruralità dovrà essere ricompresa nei limiti già esistenti del punteggio massimo, almeno fino a nuovi orientamenti giurisprudenziali. Sei interessato? Visita la sezione Legale Oggi Concorso Straordinario Farmacie, il punteggio delle sedi rurali.

  • Concorso Farmacie: il calcolo del punteggio al vaglio della Cassazione!

    È uscita solo il 7 luglio scorso la sentenza della Cassazione Civile a sezioni unite n. 19244 che ha analizzato un tema delicato relativo Eccesso di potere del Consiglio di Stato. Dopo una articolata ricostruzione, per la Cassazione il vizio è configurabile solo qualora il Consiglio di Stato abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete. Sulla base di tale principio è stato presentato lo scorso Giugno, un ricorso in Cassazione dall’Avvocato Aldo Lucarelli avverso la decisione del Consiglio di Stato che in applicazione del proprio parere - adunanza plenaria n. 19/2020 - avrebbe colmato una presunta lacuna della normativa del Concorso Straordinario Farmacie in tema di attribuzione di punteggi. Il Consiglio di Stato infatti ha recentemente affermato che l’attribuzione dei punteggi delle associazioni di giovani farmacisti NON segue un principio meritocratico, ammettendo il cumulo matematico del punteggio degli associati senza premiare la qualità delle esperienze dei partecipanti più titolati ma in forma singola. Afferma infatti il Consiglio di Stato nella sentenza 3973/2021: La norma (art. 11, comma 7, del d.l. n. 1/2012),introduce, dunque, consapevolmente una deroga al principio meritocratico posto a base del concorso ordinario (cfr. §§ 20-21 del parere n. 69 del 3 gennaio 2018) proprio attraverso la possibilità di cumulare i punteggi per "favorire l'accesso alla titolarità delle farmacie da parte di un più ampio numero di aspiranti, aventi i requisiti di legge" (Cons. St. Ad. Plen., 17 gennaio 2020, n.19). Afferma il legale incaricato, l’avvocato Aldo Lucarelli autore del ricorso in Cassazione, che la ricostruzione del Consiglio di Stato basata sulla propria giurisprudenza, sarà legittima e granitica, solo ove confermata dal vaglio della Cassazione che potrà sindacare il criterio usato dalla Giustizia amministrativa e quindi valutare l’ipotesi di invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore. Un tema spinoso che avrebbe permesso a giovani associazioni di bypassare associazioni meno numerose o candidati singoli ma più esperti. In conclusione appare coerente che il calcolo dei punteggi nel concorso avrebbe dovuto essere regolamentato solo in via legislativa e non da una giurisprudenza innovativa. Sei interessato al tema? Visita la sezione Legale Oggi

  • I "Gravi Illeciti professionali" secondo il codice degli appalti.

    Codice degli appalti, i “gravi illeciti professionali” non comportano una automatica esclusione dalla gara..ma attenzione al nuovo articolo 80 comma 5 lettera c-bis E’ quanto emerso dalla recente sentenza Tar Lazio, 8978/2020 secondo cui: “l’esistenza degli atipici ed innominati “gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità è rimessa alla valutazione discrezionale dell’amministrazione…ne consegue che, in assenza di un preventivo apprezzamento la stessa non possa essere de plano opposta da un concorrente a pretesa dell’immediata espulsione del suo diretto competitor, all’uopo adducendo omissioni dichiarative, ritenute rilevanti…Ne discende che l’esclusione non è automatica, ma è rimessa all’apprezzamento discrezionale della Stazione Appaltante…” Ma attenzione al ruolo delle linee guida ANAC n. 6 richiamate dal Tribunale Romano, ad avviso delle quali: “se è vero che la sussistenza dei “gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità” di cui alla lettera c) del citato comma 5 è rimessa alla valutazione della stazione appaltante, è altrettanto vero che ciascun operatore economico ha l’onere di dichiarare tutte le situazioni e gli eventi potenzialmente rilevanti, che consentano a quest’ultima – a prescindere dai dati acquisiti d’ufficio, ad esempio presso il cd. Casellario Informatico di cui all’art. 213 Codice appalti – di verificare la sussistenza di eventuali clausole di esclusione, tra cui proprio quella di cui alla lettera c). In altri termini, ciascun operatore ha l’onere di rappresentare all’amministrazione tutti i fatti e le circostanze rilevanti in quanto potenzialmente qualificabili – secondo quello che poi sarà il prudente apprezzamento della stazione appaltante – in termini di “grave illecito professionale”. Il mancato assolvimento di tale onere e, dunque, la presentazione in sede di gara di dichiarazioni reticenti ed incomplete relative a procedure bandite in epoca antecedente all’entrata in vigore D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito in l. 11 febbraio 2019, n. 12, è stato ricondotto dalla giurisprudenza amministrativa, anche di questo Tribunale, al combinato disposto di cui alle fattispecie escludenti previste dalle lettere c) ed f bis) del comma 5 dell’art. 80. E’ stato, infatti, in più occasioni affermato che “l’omessa dichiarazione di precedenti sentenze di condanna, riportate da esponenti aziendali, costituisce legittima causa di esclusione dell’impresa da una gara ad evidenza pubblica, ai sensi dell’art. 80 comma 5, lett. c), f -bis, d.lgs. n. 50/2016, trattandosi di dichiarazione reticente, in quanto non fornisce un quadro completo della situazione effettivamente esistente, la quale non consente il normale ed esauriente dispiegarsi del processo decisionale della S.A. in merito alla sussistenza di eventuali gravi illeciti professionali”(così T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 05/02/2019, n. 1476). Ed ancora: “L’omessa dichiarazione di precedenti sentenze di condanna, riportate da esponenti aziendali, costituisce legittima causa di esclusione dell’impresa dalle gare ad evidenza pubblica, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c.) ed f-bis) d.lg. n. 50 del 2016, trattandosi di dichiarazione reticente, in quanto non fornisce un quadro completo della situazione effettivamente esistente, la quale non consente il normale ed esauriente dispiegarsi del processo decisionale della stazione appaltante in merito alla sussistenza di eventuali gravi illeciti professionali. Tali principi trovano applicazione anche laddove la stazione appaltante non abbia espressamente previsto l’obbligo per i concorrenti di dichiarare tutte le condanne penali eventualmente riportate, spettando alla stessa S.A. ogni valutazione circa la concreta incidenza di tali condanne” (così T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 05/12/2018, n. 11826); Ed ecco quindi la conseguenza dettata dal nuovo articolo 80 comma 5 lettera c-bis) in relazione a tutte le circostanze rilevanti qualificabili come illecito professionale: Per effetto della novella di cui al D.L. n. 135/2018, l’aver omesso, anche solo per negligenza e, quindi, a prescindere, da un atteggiamento soggettivo di carattere doloso, di rappresentare all’amministrazione, in sede di partecipazione, circostanze di fatto potenzialmente rilevanti in quanto idonee ad influenzarne le decisioni della stazione appaltante sull’esclusione e, quindi, anche in ordine all’eventuale esistenza dei “gravi illeciti professionali” di cui alla lettera c), comma 5 art. 80 Codice appalti, è adesso, a ben vedere, sanzionato dalla lettera c-bis) del medesimo comma 5, secondo cui devono essere esclusi dalla procedura gli operatori economici che abbiano: “tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”. Avv. Aldo Lucarelli

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gli articoli del blog non costituiscono consulenza sono casi di scuola ad uso studio di carattere generale e non prescindono dalla necessità di un parere specifico su caso concreto.

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