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La casalinga è una lavoratrice non dipendente ai fini della tutele familiari?


La questione oggi dibattuta ma di particolare interesse, rimessa al Consiglio di Stato, è volta a chiarire:


a) Se la casalinga possa avere lo status di "non lavoratrice dipendente" posizione che comporta diritto a trattamenti economici di maternità a carico dell’Inps o di altro ente previdenziale;


b) in caso di risposta affermativa, se il diritto del padre a fruire dei riposi giornalieri previsti dall’art. 40, d.lgs. n. 151 del 2011 abbia portata generale, ovvero sia subordinata alla prova che la madre casalinga, considerata alla stregua della lavoratrice non dipendente, sia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato, ovvero affetta da “infermità”, seppure temporanee e/o non gravi;


c) quale sia l’esatta accezione da attribuire alla nozione di alternatività tra i due genitori in caso di parto gemellare, ove la madre sia casalinga.

Tali questioni sono all'esame del Consiglio di Stato, che dovrà fornire una risposta. (CdS 2649/22)


Infatti i diritti al riposo dei genitori a tutela del bambino, per la prima volta riconosciuti alle lavoratrici madri nel 1971 non furono inizialmente accordati al padre lavoratore al quale invece solo nel 1977 furono riconosciuti diritti tramite una legge intesa a realizzare la parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro e si incominciò a riconoscere il diritto di assentarsi dal lavoro del padre in alternativa alla madre lavoratrice ovvero quando i figli erano affidati solo a lui.


Da tali disposizioni di legge degli anni 70 si è sviluppata una legislazione del diritto nel senso della valorizzazione del prevalente interesse del bambino, riconosciuto autonomo titolare di interessi da salvaguardare, e del conseguente riconoscimento di paritetici diritti-doveri di entrambi i coniugi e della loro reciproca integrazione nella cura dello sviluppo psico-fisico del figlio.


E’ stato così progressivamente riconosciuto in via generale che (anche) il padre è idoneo - e quindi tenuto - a prestare assistenza materiale e supporto affettivo al minore.



La domanda è al vaglio del Consiglio di Stato. Articolo in diritto di famiglia con l'avvocato Aldo Lucarelli di Avezzano.
Famiglia: la madre casalinga è una non lavoratrice dipendente?


In tale prospettiva va ricordata la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 14 gennaio 1987, che ha esteso il principio sulla parità di trattamento fra uomini e donne, previsto dall’art. 7, l. n. 903 del 1977, ritenendo che il diritto ai riposi giornalieri retribuiti, previsti per la lavoratrice dall’art. 10, l. n. 1204 del 1971, dovesse essere riconosciuto al padre lavoratore nel caso (che era quello esaminato dalla Corte) in cui l’assistenza della madre al minore fosse diventata impossibile per decesso o grave infermità.


E’ stato così chiarito che la natura e la finalità dei riposi giornalieri non risponde soltanto all’allattamento del neonato e altre sue esigenze biologiche, ma é finalizzata a qualsiasi forma di assistenza del bambino nel primo anno di vita.

Nella stessa scia si pone la successiva sentenza della Corte costituzionale 2 aprile 1993, n. 179, che, riesaminando la questione in termini più generali, ha ritenuto ormai superata la concezione di una rigida distinzione dei ruoli fra i genitori nell’assistenza del bambino, dichiarando incostituzionale il menzionato art. 7, l. n. 903 del 1977 nella ulteriore parte in cui non estendeva in ogni ipotesi (e non in limitati casi) al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice, purché consenziente, il diritto ai riposi giornalieri per assistere il figlio nel suo primo anno di vita: secondo il giudice delle leggi, i due genitori nello spirito di leale collaborazione e nell’esclusivo interesse del figlio devono di volta in volta decidere quale di essi, assentandosi dal lavoro, possa meglio provvedere alla sua assistenza.



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