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Riconoscimento titoli professionali in Europa e prova attitudinale o tirocinio?

Immagine del redattore: Avv Aldo LucarelliAvv Aldo Lucarelli


Occorre preliminarmente richiamare il consolidato orientamento espresso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema


di riconoscimento delle qualifiche professionali,

costantemente diretto alla massima armonizzazione delle procedure di riconoscimento, al fine di dare piena e completa attuazione alle libertà assicurate dagli articoli 45 e 49 TFUE.


Sulla base di tale orientamento il giudice nazionale e l’amministrazione sono tenuti a fornire un’interpretazione elastica delle norme nazionali, al fine di non ostacolare la piena e compiuta attuazione delle suddette libertà.

La Corte di Lussemburgo ha chiarito, con la sentenza del 6 ottobre 2015, C-298/14, che la libera circolazione delle persone non sarebbe pienamente realizzata qualora gli Stati membri potessero negare il godimento delle libertà garantite dagli articoli 45 e 49 TFUE a quei loro cittadini che abbiano fatto uso delle agevolazioni previste dal diritto dell’Unione e che abbiano acquisito, grazie a queste ultime, qualifiche professionali in uno Stato membro diverso da quello di cui essi possiedono la cittadinanza. Questa considerazione si applica parimenti quando il cittadino di uno Stato membro ha ottenuto, in un altro Stato membro, una qualifica universitaria, della quale egli intenda avvalersi nello Stato membro di cui possiede la cittadinanza.





Con la successiva sentenza dell’8 luglio 2021, C-166/20 la Corte ha poi precisato che le autorità di uno Stato membro - alle quali un cittadino dell’Unione abbia presentato domanda di autorizzazione all’esercizio di una professione il cui accesso, secondo la legislazione nazionale,


è subordinato al possesso di un diploma o di una qualifica professionale, o anche a periodi di esperienza pratica - sono tenute a prendere in considerazione l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli, nonché l’esperienza pertinente dell’interessato, procedendo a un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalla legislazione nazionale.

Infine, con la sentenza del 3 marzo 2022, C-634/20 la CGUE ha fornito un metro interpretativo generalmente valido in tema di riconoscimento dei titoli, statuendo che le direttive relative al reciproco riconoscimento dei diplomi, e in particolare la Direttiva 2005/36, non possano avere come obiettivo o come effetto quello di rendere più difficile il riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli nelle situazioni da esse non contemplate.


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Venendo alla cornice normativa


- dall’art. 14, par. 2, della Direttiva n. 2005/36/CE, secondo cui “se lo Stato membro ospitante ricorre alla possibilità di cui al paragrafo 1, esso lascia al richiedente la scelta tra il tirocinio di adattamento e la prova attitudinale”;


- dall’art. 22 (“Misure compensative”) del D.lgs. n. 206/2007, che subordina il riconoscimento al compimento di un tirocinio di adattamento non superiore a tre anni o di una prova attitudinale, a scelta del richiedente;



- dall’art. 23 del medesimo D.Lgs., commi 2 e 2 bis, che disciplina lo svolgimento della prova attitudinale, precisando che “In caso di esito sfavorevole o di mancata presentazione dell’interessato senza valida giustificazione, la prova attitudinale non può essere ripetuta prima di sei mesi e che le autorità competenti di cui all’articolo 5 possono stabilire il numero di ripetizioni cui ha diritto il richiedente, tenendo conto della prassi seguita per ciascuna professione a livello nazionale e nel rispetto del principio di non discriminazione”.


Ci si chiede quindi se un candidato non avendo superato la prova attitudinale per piu' volte possa modificare tale scelta in favore di un tirocini al fine di conseguire un grado di preparazione idoneo a consentirle lo svolgimento della professione in Italia.

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Tale possibilità, inizialmente ritenuta ammissibile dal Ministero della Salute e posta in alternativa rispetto allo svolgimento della prova attitudinale,


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A ben guardare, pertanto, lo svolgimento del tirocinio formativo rappresenta, in concreto, l’unica modalità rimasta a disposizione della parte che non abbia superato la prova attitudinale.


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A ciò deve anche aggiungersi un dovere per il Ministero di fornito indicazione in merito ad eventuali risoluzioni alternative della problematica, ai sensi del comma 2-bis dell’art. 23 cit., che pone in capo all’Autorità preposta il compito di individuare:


il numero di ripetizioni cui ha diritto il richiedente, tenendo conto della prassi seguita per ciascuna professione a livello nazionale e nel rispetto del principio di non discriminazione”.


In mancanza di una prassi consolidata in tale senso, deve ritenersi ammissibile la possibilità di modifica della iniziale scelta dalla prova attitudinale al tirocinio formativo, anche all'esito di un risultato negativo della prova già espletata. (CdS 100/2025.)




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