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  • Le operazioni inesistenti ed i poteri del fisco

    Quali sono le operazioni inesistenti che possono essere contestate dall'agenzia delle entrate? Cosa rischia il contribute in caso di operazioni soggettivamente inesistenti? Quali sono le prove che l'agenzia delle entrate usa per definire una operazione inesistente ai fini iva? Quali sono le responsabilità del contribuente per le operazioni iva inesistenti? Su richiesta di un nostro lettore utilizzando la recente giurisprudenza rispondiamo ai quesiti frequenti per chi svolge attività di impresa. In tema di IVA, l'Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l'Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 9851 del 2018, Cass. n. 27555 del 2018, Cass. n. 15369 del 2020). Le operazioni inesistenti ed i poteri del fisco In caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’Amministrazione deve provare, oltre l’alterità soggettiva dell'imputazione delle operazioni (il soggetto formale non è quello reale), che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l'uso dell'ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente, con l'emissione della relativa fattura, aveva evaso l'imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale dubbio ovvero «a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente» (Corte di Giustizia 6 dicembre 2012, Bonik, C- 285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C-277/14, par. 50). Le operazioni inesistenti ed i poteri del fisco Questa prova può dirsi raggiunta qualora l'Amministrazione fornisca attendibili indizi, idonei ad integrare una presunzione semplice (v. Cass. n. 14237 del 2017; Cass. n. 20059 del 2014; Cass. n. 10414 del 2011; Corte Giust. Kittel, C-439/04; Corte Giust. Mahagèben e David, C-80/11 e C-142/11); è sufficiente che gli elementi forniti dall'Amministrazione si riferiscano anche solo ad alcune fatture o circostanze rilevanti per la qualificazione della società interposta come cartiera (quali ad es. la mancanza di sede, la mancanza di iscrizione, l'omesso versamento delle imposte, ...) ovvero a singole indicazioni significativamente riferibili alla sfera di conoscenza o conoscibilità dell'imprenditore, pur escludendo ogni automatismo probatorio o criterio generale predeterminato. L'onere dell'Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va dunque ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta all'Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l'operazione si inseriva in una evasione all'Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell'ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell'affare ed afferenti alla sua sfera di azione. Va osservato, in particolare, che (come già sottolineato da Cass. n. 24490 del 2015), se al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell'esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell'operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate, tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa dati il carattere strutturale e professionale della presenza dell'imprenditore nel settore di mercato in cui opera e l'aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo. Cass 26264/22 Raggiunta tale prova, è quindi onere del contribuente dimostrare - oltre all'effettività del suo interlocutore - la propria buona fede, ossia, mutuando i principi affermati dalle Sezioni Unite n. 21105 del 2017, che non disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale dubbio ovvero, come sopra osservato, a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente. Hai un quesito? Cerca nel blog o contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli avv Aldo Lucarelli

  • Forniture sanitarie il bando ed il valore della campionatura

    Quali sono i criteri per interpretare un bando di gara? È possibile soffermarsi sul significato letterale? Quando na clausola può avere un significato differente se contestualizzata nel bando? Come si può considerare la campionatura di un prodotto ai fini di gara? Per rispondere a tali domande analizziamo la recente giurisprudenza in materia di interpretazione della lex specialis di gara. Forniture sanitarie il bando ed il valore della campionatura Giova precisare, come anche ritenuto dal Consiglio di Stato (ex multis Cons. Stato Sez. V, 31/10/2022, n. 9386) che nelle gare pubbliche, nell’interpretazione della lex specialis di gara devono trovare applicazione le norme in materia di contratti, e dunque anzitutto i criteri letterale e sistematico previsti dagli artt. 1362 e 1363 cod. civ.. Ciò significa che, ai fini dell’interpretazione della lex specialis, devono essere applicate anche le regole civilistiche ed è proprio la tutela dei principi dell’affidamento e della parità di trattamento tra i concorrenti che conduce all’interpretazione complessiva o sistematica delle varie clausole. Soltanto se il dato testuale presenti evidenti ambiguità, anche in ordine all’individuazione ed interpretazione delle clausole previste a pena di esclusione, l’interprete, in forza del principio di favor partecipationis, deve prescegliere il significato più favorevole al concorrente (ex multis, Consiglio di Stato sez. V, 20 luglio 2023 n. n.7113). Forniture sanitarie il bando ed il valore della campionatura In sintesi, quindi: a) l’interpretazione della lex specialis deve essere prioritariamente effettuata in ossequio ai criteri ermeneutici letterali e sistematici, nel senso cioè che l’interprete deve far proprio – per ovvie esigenze di certezza del diritto e di par condicio tra i concorrenti – quel significato che emerge univocamente dalla lettera della singola disposizione di gara (o dalla combinazione sistematica delle disposizioni di gara); b) soltanto se (e nella misura in cui) i criteri letterali e sistematici impediscano di pervenire ad un’interpretazione univoca della lex specialis (lasciando quindi le clausole ambigue e contraddittorie), l’interprete potrà optare per il significato ermeneutico che più di altri assicura il rispetto del principio del favor partecipationis. Ancora più in sintesi, il criterio dell’interpretazione più favorevole al concorrente ha natura esclusivamente sussidiaria, atteso che lo stesso può venire in rilievo soltanto se (e nella misura in cui) i criteri letterali e sistematici si siano dimostrati inidonei ad estrarre un precetto univoco. Forniture sanitarie il bando ed il valore della campionatura E quale valore assume la campionatura? L"utilizzo di campionature nelle procedure di gara. Essi possono essere compendiati nei termini che seguono: a) per un verso è stato ripetutamente affermato che “il campione non è un elemento costitutivo, ma semplicemente dimostrativo dell’offerta tecnica, che consente all’Amministrazione di considerare e vagliare l’idoneità tecnica del prodotto offerto: non è sua parte integrante, per quanto sia oggetto di un’apposita valutazione da parte della Commissione giudicatrice, perché la sua funzione è quella, chiaramente stabilita dall’art. 42, comma 1, lett. l), d.lgs. n. 163 del 2006, di fornire la “dimostrazione delle capacità tecniche dei contraenti”, per gli appalti di forniture, attraverso la “produzione di campioni, descrizioni o fotografie dei beni da fornire” (cfr. tra le tante Cons. St., Sez. V, n. 371 del 30 gennaio 2017); b) per altro verso è stato osservato, tuttavia, che la concreta funzione della campionatura va esaminata in relazione alle caratteristiche e alla disciplina della singola gara, e non in via generale ed astratta (cfr. T.A.R. Milano, 10/8/2016, n. 1598); sicchè, nel caso in cui la gara preveda l’attribuzione di un punteggio tecnico sulla base della valutazione di campioni, detti campioni rappresentano un elemento costitutivo dell’offerta tecnica e ne seguono le vicende. In questo caso gli aspetti qualitativi da valutare sono strettamente legati alla verifica “fisica” del prodotto; quindi l’offerta diviene “completa” solo con il deposito della campionatura, la cui mancata ottemperanza va sanzionata con l’esclusione dalla procedura. In sintesi, se da un lato è vero che il campione non costituisce un elemento costitutivo dell’offerta tecnica (con tutte le conseguenze che ne derivano, ivi inclusa l’impossibilità di escludere il concorrente soltanto per un’eventuale parziale difformità del campione rispetto alle specifiche tecniche di gara), dall’altro lato è anche vero che esso ben può rappresentare un elemento costitutivo dell’offerta tecnica se così è disposto dalla lex specialis (tanto con previsione espressa quanto con previsione implicita, come nel caso in cui l’assegnazione di alcuni punteggi tecnici sia basata sul concreto apprezzamento delle specifiche qualità del campione). Cds 2617/24 Hai un quesito? Leggi il blog o contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli Avv Aldo Lucarelli

  • Farmacie quando è criticabile l'ubicazione scelta dal Comune?

    Come riconosciuto dalla giurisprudenza del Tar Roma 2024 e dalla consolidata giurisprudenza in materia, i comuni, nell'organizzare la dislocazione territoriale del servizio farmaceutico, godono di ampia discrezionalità, in quanto la scelta conclusiva si basa sul bilanciamento di interessi diversi attinenti alla popolazione, attuale e potenzialmente insediabile, alle vie e ai mezzi di comunicazione, alle particolari esigenze della popolazione, conseguendone che la scelta conclusiva è sindacabile solo sotto il profilo della manifesta illogicità ovvero della inesatta acquisizione al procedimento degli elementi di fatto presupposti della decisione, non potendo il giudice amministrativo sostituire la propria valutazione di opportunità a quella resa dall'amministrazione comunale. Farmacie quando è criticabile l'ubicazione scelta dal Comune? Alla realizzazione dell'equa distribuzione concorrono, infatti, plurimi fattori, quali in primo luogo l'individuazione delle maggiori necessità di fruizione del servizio che si avvertono nelle diverse zone del territorio, le correlate valutazioni di situazioni ambientali, topografiche e di viabilità, le distanze tra le diverse farmacie, le quali sono frutto di valutazioni ampiamente discrezionali, come tali inerenti l’area del merito amministrativo (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, 08/06/2021, n. 4374). Ciò premesso in ordine all’ambito del sindacato giurisdizionale sull’atto impugnato, la giurisprudenza ritiene opportuno precisare il quadro normativo di riferimento in cui si inscrive la fattispecie. La legge n. 475/1968, nel dettare le disposizioni sul “servizio farmaceutico” (“Norme concernenti il servizio farmaceutico”), stabilisce all’art. 1 che “Il numero delle autorizzazioni è stabilito in modo che vi sia una farmacia ogni 3.300 abitanti” e che “Ogni nuovo esercizio di farmacia deve essere situato ad una distanza dagli altri non inferiore a 200 metri e comunque in modo da soddisfare le esigenze degli abitanti della zona. La distanza è misurata per la via pedonale più breve tra soglia e soglia delle farmacie”. Il successivo art. 2 disciplina, poi, il procedimento di definizione delle zone “nelle quali collocare” le farmacie, attribuendo al Comune la relativa competenza funzionale. Farmacie quando è criticabile l'ubicazione scelta dal Comune? In particolare, dispone tale norma che “Ogni comune deve avere un numero di farmacie in rapporto a quanto disposto dall'articolo 1 (una farmacia ogni 3.300 abitanti). Al fine di assicurare una maggiore accessibilità al servizio farmaceutico, il comune, sentiti l'azienda sanitaria e l'Ordine provinciale dei farmacisti competente per territorio, identifica le zone nelle quali collocare le nuove farmacie, al fine di assicurare un'equa distribuzione sul territorio, tenendo altresì conto dell'esigenza di garantire l'accessibilità del servizio farmaceutico anche a quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate”. La ratio dell’istituzione delle zone di pertinenza delle sedi farmaceutiche è, dunque, quella di assicurare “un'equa distribuzione sul territorio” e di garantire “l'accessibilità del servizio farmaceutico anche a quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate” e non già di garantire una rendita di posizione degli operatori economici già titolari di una sede farmaceutica, apparendo invero gli interessi di quest’ultimi recessivi dinnanzi al perseguimento delle finalità sopra indicate, sempre che esse vengano correttamente perseguite (in tal senso, Consiglio di Stato, Sez. III, 5 maggio 2022, n. 3410) Possiamo quindi concludere che l'intervento giudiziario appare ammissibile in caso di 1) inesatta acquisizione al procedimento degli elementi di fatto presupposti della decisione, è il caso della mancanza di tutta quella attività istruttoria volta a supportare la decisione amministrativa, ad esempio, rilievi, planimetri, progetti, calcolo delle distanze etc.. 2) Manifesta illogicità della decisione, non potendo il giudice amministrativo sostituire la propria valutazione di opportunità a quella resa dall'amministrazione comunale. Tar Roma 1994/24. Hai un quesito? leggi il blog Studio Legale Angelini Lucarelli Avv Aldo Lucarelli

  • Farmacia e le istanze inascoltate del farmacista al Comune ed alla Regione

    Sono un farmacista, ho chiesto con una istanza al Comune che provveda alla revisione della pianta organica, e contestualmente autorizzi il decentramento della mia farmacia, il comune non risponde sebbene abbia mandato la stessa istanza anche alla Regione. Cosa posso fare? E' legittimo tale comportamento? Per rispondere a tale domanda, di cui anticipiamo la risposta, è necessario ripercorrere la normativa in tema di pianificazione territoriale delle farmacie e di rimedi avverso il silenzio della Pubblica Amministrazione. Quindi per anticiparle la risposta possiamo sintetizzare nell'affermare che il silenzio del Comune non è legittimo anche se non è automatico l'ottenimento di un provvedimento positivo nel suo caso in quanto in capo al Comune sussiste una discrezionalità nella scelta della regola da applicare, sebbene sussista comunque un obbligo di risposta. Vediamo nel dettaglio. L’interesse azionato, peraltro, attiene all’esercizio dei poteri di cui l’Amministrazione comunale dispone in materia di apertura, esercizio e trasferimento di farmacie ai sensi della legge n. 475 del 1968, come incisivamente modificata dal D.L. n. 1/2012, convertito dalla legge n. 27/2012. L’art. 2 di detta legge attribuisce ai Comuni la pianificazione territoriale del servizio farmaceutico. In particolare, tale norma prevede che il Comune, sentiti l’Azienda sanitaria e l’Ordine provinciale dei farmacisti, identifichi le zone di collocazione delle nuove farmacie per assicurarne un’equa distribuzione sul territorio, tenendo anche conto dell’esigenza di garantire l’accessibilità del servizio farmaceutico ai residenti in aree scarsamente abitate. La giurisprudenza ha più volte chiarito che, benché la legge non preveda più espressamente un atto tipico, denominato pianta organica, resta affidata alla competenza del Comune la formazione di uno strumento pianificatorio che sostanzialmente, per finalità, contenuti, criteri ispiratori ed effetti, corrisponde alla vecchia pianta organica. La competenza comunale si estende inoltre, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, anche al trasferimento della farmacia all’interno della sede assegnata, disciplinato dall’art. 1 della medesima legge (cfr., ex multis, TAR Umbria, sez. I, 26 aprile 2019, n. 209), che subordina l’autorizzazione al trasferimento all’unica condizione della distanza dagli altri esercizi non inferiore a 200 metri (comma 4). Farmacia e le istanze inascoltate del farmacista al Comune ed alla Regione Giova altresì precisare che, mentre il potere di decisione in ordine all’istituzione e all’assetto distributivo delle farmacie nel proprio territorio spetta ai Comuni, ex art. 11 del decreto legge n. 1 del 2012, alle Regioni e alle Province autonome spetta la gestione del concorso per l’assegnazione delle sedi individuate dai Comuni, oltre al potere sostitutivo nel caso espressamente previsto ex art. 1, comma 9, del decreto legge n. 1 del 2011; per cui, non è ravvisabile un autonomo potere di verifica e di controllo da parte della Regione sull’osservanza dell’asserito obbligo di revisione biennale del numero delle sedi farmaceutiche da parte del Comune ex multis, Consiglio di Stato, sent. n. 7998 del 2020, secondo cui “…Il compito di individuare le zone ove collocare le farmacie è assegnato espressamente ai soli comuni dall'articolo 11, commi 1 e 2, del dl 1/2012 a garanzia soprattutto dell'accessibilità del servizio farmaceutico ai cittadini. La decisione del legislatore statale di affidare ai comuni il compito di individuare le zone "risponde all'esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, corrispondente agli effettivi bisogni della collettività alla quale concorrono plurimi fattori diversi dal numero dei residenti, quali in primo luogo l'individuazione delle maggiori necessità di fruizione del servizio che si avvertono nelle diverse zone del territorio, il correlato esame di situazioni ambientali, topografiche e di viabilità, le distanze tra le diverse farmacie, le quali - come si è detto - sono frutto di valutazioni ampiamente discrezionali, come tali inerenti all'area del merito amministrativo, rilevanti ai fini della legittimità soltanto in presenza di chiare ed univoche figure sintomatiche di eccesso di potere, in particolare sotto il profilo dell'illogicità manifesta e della contraddittorietà (Cons. St., sez. III, 22 marzo 2017, n. 1305, 23 luglio 2018, n. 4449, e 15 ottobre 2019, n. 6998)”). Farmacia e le istanze inascoltate del farmacista al Comune ed alla Regione Inoltre, “…lo strumento pianificatorio (in passato denominato pianta organica) non è più configurato come atto complesso che si perfezioni con il provvedimento di un ente sovracomunale (la Regione ovvero la Provincia, o altro, a seconda delle legislazioni regionali), bensì come un atto di esclusiva competenza del Comune (e per esso della Giunta, secondo ripetute decisioni di questa Sezione): e ciò tanto nella prima applicazione del D.L. n. 1 del 2012 , quanto nelle future revisioni periodiche” (Cons. di Stato, sent. n. 2233 del 2020; n. 6998 del 2019; n. 3338 del 2019). Ciò posto, tenuto anche conto della natura discrezionale del potere sollecitato con le istanze in questione, la pretesa azionata deve trovare accoglimento nei soli limiti dell’accertamento dell’obbligo di provvedere da parte del Comune sulle istanze del farmacista mediante l’adozione di un provvedimento espresso e motivato. Hai un tema da proporre? Leggi il blog o contattaci Farmacia e le istanze inascoltate del farmacista al Comune ed alla Regione Non può invece trovare accoglimento la domanda con cui parte ricorrente ha chiesto che l’Amministrazione provveda nel senso suggerito nell’istanza. ( da ultimo conforme Tar Ancona 64/2024) Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Impugnazione del testamento quale utilizzare?

    Ci viene chiesto come e quando è possibile impugnare un testamento del caro defunto e soprattutto comprendere se è possibile utilizzare una copia dello stesso oppure necessita dell'originale. Elementi essenziali sono la olografia ovvero la scrittura di pugno dello stesso, la firma e la data. In tema di data ove questa risulti omessa o incompleta è causa di annullabilità dell’atto (Cass. Civ., VI sez., n. 9364/2020). Deve preliminarmente affermarsi che secondo il costante orientamento adottato dalla Corte a partire da SS.UU. 12307/2015, chi agisca contro l’erede testamentario deve proporre azione di accertamento negativo dell’autenticità del testamento olografo ed è onerato del relativo onere probatorio. il testamento olografo non è contestabile attraverso il procedimento previsto per le altre scritture private (Cass. 18363/18/15) quindi il giudizio di verificazione di un testamento olografo deve necessariamente svolgersi con un esame grafico espletato sull'originale del documento per rinvenire gli elementi che consentono di risalire, con elevato grado di probabilità, al reale autore della sottoscrizione; tuttavia, una volta verificati sul documento originale i dati che l'ausiliario reputi essenziali per l'accertamento dell'autenticità della grafia, il prosieguo delle operazioni può svolgersi su eventuali copie o scansioni. (Cass. 30804/24). La parte che contesti la veridicità del testamento olografo è tenuta a proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura ed a fornire la relativa prova. (Cass. 18363/15) Quindi la parte che contesti l’autenticita’ di un testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, gravando su di essa l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo. Impugnazione del testamento quale utilizzare? Le Sezioni Unite della Cass. Sez. U, 15/06/2015, n. 12307 , hanno ritenuto inadeguato, al fine di superare l’efficacia probatoria di un testamento olografo, sia il ricorso al disconoscimento che la proposizione di querela di falso, prescegliendo, all’uopo, la terza via secondo cui occorre proporre un’azione di accertamento negativo della falsita’ della scheda testamentaria. La sentenza delle Sezioni Unite ha concluso in tal senso in quanto la necessita’ di una siffatta azione per quaestio nullitatis consente di rispondere: – da un canto, all’esigenza di mantener il testamento olografo definitivamente circoscritto nell’orbita delle scritture private; – dall’altro, di evitare la necessita’ di individuare un (assai problematico) criterio che consenta una soddisfacente distinzione tra la categoria delle scritture private la cui valenza probatoria risulterebbe “di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso”, non potendosi esse “relegare nel novero delle prove atipiche”; – dall’altro, di non equiparare l’olografo, con inaccettabile semplificazione, ad una qualsivoglia scrittura proveniente da terzi, destinata come tale a rappresentare, quoad probationis, una ordinaria forma di scrittura privata non riconducibile alle parti in causa; – dall’altro ancora, di evitare che il semplice disconoscimento di un atto caratterizzato da tale peculiarita’ ed efficacia dimostrativa renda troppo gravosa la posizione processuale dell’attore che si professa erede, riversando su di lui l’intero onere probatorio del processo in relazione ad un atto che, non va dimenticato, e’ innegabilmente caratterizzato da una sua intrinseca forza dimostrativa; – infine, di evitare che la soluzione della controversia si disperda nei rivoli di un defatigante procedimento incidentale quale quello previsto per la querela di falso, consentendo di pervenire ad una soluzione tutta interna al processo, anche alla luce dei principi affermati di recente da questa stessa Corte con riguardo all’oggetto e alla funzione del processo e della stessa giurisdizione, apertamente definita “risorsa non illimitata” (conformi, di seguito, Cass. Sez. 2, 02/02/2016, n. 1995; Cass. Sez. 2, 04/01/2017, n. 109; Cass. Sez. 6-2, 12/07/2018, n. 18363). Hai quesito? Leggi il blog o contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli

  • Subappalto e tutela del subappaltatore in caso di concordato

    Nel presente testo affrontiamo il tema della tutela del subappaltore e la tutela nel vecchio come nel nuovo codice gli appalti in caso di mancato pagamento da parte dell'appaltatore. Esiste poi il caso non raro che il subappaltatore chieda la liquidazione delle proprie spettanze in pendenza della procedura di concordato in cui é incorsa l'impresa appaltatrice. Come si rende compatibile la tutela del subappaltatore con la procedura concordatoria dell'appaltatore? Cosa prevede il nuovo codice degli appalti in relazione alla tutela del subappaltatore? Per rispondere a tali quesiti precisiamo sin da subito che la tutela del subappaltatore prima prevista nell'articolo 105 del codice uscente oggi é prevista nell'articolo 119 d.lgs 36/23. Vediamo quindi l'applicazione pratica con le parole della giurisprudenza della tutela del subappaltatore. Ritiene il tribunale di Roma del 2022 che la tutela apprestata al subappaltatore dall'art. 105, comma 13, del d.lgs. 50/2016, a mente del quale: “La stazione appaltante corrisponde direttamente al subappaltatore, al cottimista, al prestatore di servizi ed al fornitore di beni o lavori, l'importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite nei seguenti casi: quando il subappaltatore o il cottimista è una microimpresa o piccola impresa ; in caso di inadempimento da parte dell'appaltatore; su richiesta del subappaltatore e se la natura del contratto lo consente” si inquadra nella fattispecie nella delegazione di pagamento ex lege disciplinata dall'art. 1269 c.c. , anche a seguito della previsione introdotta dal citato art. 105 d.lgs. n. 50/2016, (oggi art 119 nuovo codice degli appalti) ritenendosi che tra appaltante e subappaltatore si instauri esclusivamente una delegazione di pagamento ex lege, sullo schema previsto dall'art. 1269 c.c., ossia senza necessità di una espressa delegazione (cfr Trib Bolzano, sent. n. 908/2019; Trib Bologna, sent. n. 2222/21), che, secondo la chiara distinzione espressa dalla Suprema Corte (cfr Cass. n.  676/2020) differisce dalla delegatio promittendi ex art. 1268 c.c., per effetto della quale “…il delegato è direttamente obbligato verso il delegatario e questi può agire direttamente verso il delegato, mentre nella "delegatio solvendi" ex art. 1269 c.c. è esclusa l'azione diretta del delegatario verso il delegato”. Precisa la Corte che “la delegazione di debito ha funzione creditoria (delegatio promittendi), aggiungendo un nuovo debitore con posizione di obbligato principale accanto al debitore originario sì da rafforzare la posizione del creditore delegatario, mentre la delegazione di pagamento ha funzione solutoria (delegatio solvendi), prevedendo che l'obbligazione sia adempiuta da un terzo anziché dal debitore, senza per ciò solo aumentare gli obbligati verso il creditore delegatario (Cass. 12 marzo 1973 n.676)”. Inquadrato l'obbligo di pagamento posto dall'art. 105 nell'ambito della delegazione di pagamento ex art. 1269 c.c., deriva che la committente non si aggiunge al debitore principale con un'obbligazione autonoma, ma il suo intervento è previsto solo in funzione solutoria. Subappalto e Concordato Con riguardo al rapporto tra l'ammissione al concordato preventivo dell'appaltatrice e la speciale tutela di cui all'art. 105 del codice degli appalti, si ritiene che il pagamento da parte del delegato al delegatario inciderebbe sui principi fondanti la procedura concorsuale, violandone il fondamento: ed infatti, come condivisibilmente motivato da una recente sentenza della Corte di Appello di Milano “applicare l'art.  105 d.lgs. n. 50/2017 a casi come quello in esame, in cui il diritto di credito è sorto e divenuto esigibile prima del deposito della domanda di concordato, significherebbe mettere in discussione l'intero sistema della concorsualità, in quanto verrebbe aperta la strada ad imprevedibili iniziative dei singoli creditori dell'appaltatore, in grado di minare i presupposti di carattere economico e finanziario su cui la proposta di ristrutturazione - presentata in sede di concordatoè fondata. Una soddisfazione extra-concorsuale del fornitore, sia essa diretta o indiretta, si trasformerebbe inevitabilmente in un trattamento preferenziale del suo credito. Il pagamento della stazione appaltante eseguito a beneficio diretto del fornitore dopo la domanda di ammissione al concordato preventivo dell'appaltatore violerebbe infatti irrimediabilmente la par condicio creditorum: a fortiori se si tratta di crediti anteriori rispetto al momento in cui si è aperta la procedura concorsuale. Trib Roma 18327/22 Prima di chiudere é opportuno ricordare che il subappaltatore é tutelato nel nuovo codice degli appalti dall'art 119 d.lgs 36/2023 che ha ereditato quanto previsto dall'art 105 del d.lgs 50/2016 uscente a mente del quale La stazione appaltante corrisponde direttamente al subappaltatore ed ai titolari di sub-contratti non costituenti subappalto ai sensi del quinto periodo del comma 2 l'importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite nei seguenti casi: a) quando il subcontraente è una microimpresa o piccola impresa;b) in caso di inadempimento da parte dell'appaltatore;c) su richiesta del subcontraente e se la natura del contratto lo consente. Hai un quesito in tema di appalti e procedure amministrative? Leggi il blog o contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli Avv Aldo Lucarelli

  • Farmacia la decadenza e la revoca dell’autorizzazione

    la decadenza dell'autorizzazione per la violazione di legge farmaceutica ad esempio la violazione del vincolo dei dieci anni E La revoca dell'autorizzazione per violazione della legge farmaceutica Quali sono le differenze dei due istituti di decadenza e di revoca dell'autorizzazione? Quali i rimedi? Come già evidenziato dal T.A.R. con la sentenza della Sez. III, n. 3735/2022, ove veniva in rilievo una causa di decadenza per la violazione del divieto di il divieto di cessione della propria farmacia negli ultimi 10 anni operato mediante la cessione di quote societarie, con sentenza 02/08/2022, n. 6775, ha chiarito: -che le cause di decadenza de qua, ove ne siano riscontrati i presupposti, ineriscono a profili vincolati del potere esercitato dalla P.A. (cfr. punto 5 della motivazione); E che in tema di farmacia sotto forma di società -che la nozione di “cessione” dell’esercizio farmaceutico, la cui realizzazione nel decennio (antecedente alla data di presentazione della domanda di partecipazione al concorso straordinario) priva il cedente di uno dei requisiti partecipativi alla procedura di cui si tratta, si presti ad abbracciare anche l’attività modificativa posta in essere dalla ricorrente con riguardo alla imputazione, proprietaria e gestionale, della farmacia di cui era individualmente titolare: ciò anche limitando il raggio di osservazione al segmento, della complessiva operazione societaria, posto in essere nel 2018 e culminato nel trapasso della farmacia rurale dalla sua sfera di titolarità individuale a quella della neo-costituita società -che il termine “cessione” è caratterizzato da una ampia portata semantica, in quanto suscettibile di ricomprendere nel suo ambito espressivo tutti gli atti che, indipendentemente dal nomen iuris e dalla causa giustificativa, producano l’effetto finale di “separare” la titolarità di un bene (nella specie, l’esercizio farmaceutico, comprensivo del titolo amministrativo che, in chiave autorizzatoria, ne legittima lo svolgimento e dell’insieme dei rapporti, personali e reali, che ne integrano la componente patrimoniale) dalla sfera di disponibilità di un soggetto a quella di un altro (…). Farmacia la decadenza e revoca dell’autorizzazione Secondo il Consiglio di Stato, in altri termini, “non vi è dubbio che sia riconducibile alla suddetta figura giuridica l’attribuzione della titolarità della farmacia, intesa come “complesso aziendale unitario, comprensivo di tutti i suoi elementi materiali ed immateriali”, effettuata a titolo di conferimento aziendale a favore della società siccome dotata di autonoma personalità giuridica, quale contropartita e modalità di copertura della sottoscrizione pro quota del capitale sociale della neo-costituita società Non assume rilievo, in senso contrario, la natura giuridica dell’atto, in relazione all’alternativa qualificatoria “gratuità-onerosità”, atteso che, a prescindere dalla estraneità del profilo alla fattispecie normativa, incentrata come si è detto sull’ampia nozione di “cessione”, il cui elemento caratterizzante è relativo all’effetto traslativo dell’atto piuttosto che a quello causale-costitutivo, non può negarsi che il conferimento da parte della ricorrente della farmacia di cui era titolare nella neo-costituita società abbia natura di prestazione corrispettiva finalizzata a compensare, sul piano logico-causale, l’acquisizione al suo patrimonio della titolarità (maggioritaria) delle quote sociali, rappresentative della posizione dominicale del socio nei riguardi del patrimonio sociale. Nemmeno potrebbe riconoscersi rilievo al fatto che si ponga in essere una donazione delle quote sociali al fine di escludere la corrispondenza dell’atto costitutivo de quo alla fattispecie presidiata dal divieto intra-decennale di cessione. Con la stessa sentenza il Consiglio di Stato, richiamando il proprio precedente di cui alla sentenza n. 229/2020, ha ricordato che -con la disposizione normativa sopra richiamata- lo scopo del legislatore è di “evitare che il farmacista, il quale abbia ceduto la propria farmacia, si appropri, attraverso l’assegnazione concorsuale di un nuovo esercizio farmaceutico prima che sia trascorso un decennio dalla cessione, di un doppio vantaggio economicamente valutabile”. Detto precedente trova applicazione al caso in esame nel quale si ritrova il medesimo modus operandi. Quanto sopra ove si stia disquisendo di decadenza dell'autorizzazione mentre ove la pubblica amministrazione intervenga a seguito di un controllo per la verifica dei requisiti possiamo assistere alla revoca dell'autorizzazione La revoca dell'autorizzazione da parte della Regione nell’esercizio dei poteri che la Regione detiene in forza del comma 1 dell’art. 100 del d.lgs. 219/2006, il quale stabilisce che “La distribuzione all'ingrosso di medicinali è subordinata al possesso di un'autorizzazione rilasciata dalla regione o dalla provincia autonoma ovvero dalle altre autorità competenti, individuate dalla legislazione delle regioni o delle province autonome. Tale autorizzazione precisa per quali locali, stabiliti sul loro territorio, è valida”. Hai un quesito o una problematica in diritto farmaceutico? Contattaci Ne discende che il provvedimento di revoca rientra tra le prerogative regionali, posto che il soggetto che rilascia un determinato provvedimento può anche revocarlo, in forza del principio del contrarius actus (ex plurimis, Cons. St., sez. V, 15/11/2023, n.9781: in applicazione del principio del contrarius actus, la competenza all'adozione degli atti di secondo grado in funzione di autotutela deve provenire dall'organo che ha adottato l'atto della cui revoca si discute). Leggi il blog e trova il tuo caso Quale che sia la modalità la decadenza dell'autorizzazione e la revoca dell'autorizzazione sono due fenomeni distinti che si basano su un esercizio successivo del potere di controllo della pubblica amministrazione in capo alla farmacia ed al suo titolare. Studio Legale Angelini Lucarelli diritto farmaceutico Avv Aldo Lucarelli

  • Il dispensario farmaceutico ordinario e stagionale

    Dispensario farmaceutico ordinario e dispensario farmaceutico ordinario quali sono le differenze? Venendo, dunque, al merito della questione giova sunteggiare per brevi cenni la cornice normativa posta a disciplina della figura dei dispensari La disciplina primaria traccia una summa divisio tra dispensari ordinari e dispensari stagionali: l’art. 1 della legge 8 marzo 1968, n. 221, delinea ai commi 3 e 4 la figura del dispensario ordinario stabilendo che “nei comuni, frazioni, o centri abitati […], ove non sia aperta la farmacia privata o pubblica prevista nella pianta organica, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano istituiscono dispensari farmaceutici. La gestione dei dispensari, disciplinata mediante provvedimento delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, è affidata alla responsabilità del titolare di una farmacia privata o pubblica della zona con preferenza per il titolare della farmacia più vicina. Nel caso di rinunzia il dispensario è gestito dal comune. I dispensari farmaceutici sono dotati di medicinali di uso comune e di pronto soccorso, già confezionati”. Il dispensario farmaceutico ordinario e stagionale Di contro, la figura del dispensario stagionale è regolata dal successivo comma 5 alla stregua del quale “nelle stazioni di soggiorno, di cura e di turismo, nonché nelle altre località climatiche, balneari o termali o comunque di interesse turistico, di cui all’articolo 1 del R.D.L. 24 novembre 1938, n. 1926, convertito dalla L. 2 giugno 1939, n. 739, con popolazione non superiore a 12.500 abitanti, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono autorizzare, in aggiunta alle farmacie esistenti ai sensi dell’art. 1 della L. 2 aprile 1968, n. 475, e successive modificazioni, l’apertura stagionale di dispensari farmaceutici, tenuto conto della media giornaliera delle presenze annuali rilevate dalle aziende di promozione turistica di cui all’art. 4 della L. 17 maggio 1938, n. 217”. Ma esiste un diritto del farmacista di mantenere il dispensario stagionale una volta aperto? Il dispensario farmaceutico ordinario e stagionale La risposta è nella differenza tra dispensario stagionale e dispensario ordinario. Ed infatti il dispensario ordinario è regolato dal comma 4 dell’art. 1 legge n. 221/1968 ed ha carattere di stabilità nel tempo, salvo revoche o sopravvenienze, mentre il dispensario stagionale trova la propria disciplina nel successivo comma 5 e riveste carattere intrinsecamente transeunte (tant’è che la norma primaria discorre di “apertura stagionale di dispensari farmaceutici, tenuto conto della media giornaliera delle presenze annuali rilevate dalle aziende di promozione turistica”). É quindi da considerare come errato il presupposto che l’autorizzazione e l’assegnazione del dispensario stagionale siano suscettibili di mero rinnovo o di proroga, mentre in realtà essi sono oggetto di atti puntuali, efficaci per un determinato periodo di tempo, così come determinato è il lasso di tempo in cui si manifesta l’esigenza locale di un servizio farmaceutico aggiuntivo che l’apertura del dispensario è destinata a soddisfare. Tale esigenza peraltro viene verificata anno per anno attraverso il dato della presenza di turisti”. Va dunque affermata la regula iuris per cui il dispensario stagionale si distingue da quello ordinario per la sua intrinseca caducità – in coerenza con la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 febbraio 2015, n. 521; id., sez. IV, 25 marzo 2003, n. 1554) - da cui discende la natura ad tempus dei provvedimenti autorizzatori, insuscettibili di generare affidamento da un anno all’altro, in quanto subordinati alla verifica dei presupposti (flusso turistico e distanze chilometriche). CdS 558/24 Leggi il blog in diritto farmaceutico Studio Legale Angelini Lucarelli Avv Aldo Lucarelli

  • Il passaggio generazionale dell’azienda di famiglia il caso farmacia

    Come gestire il passaggio generazionale dell'azienda di famiglia? Come evitare liti tra i chiamati all'eredità? E' possibile porre in essere una transazione tra i futuri eredi per pianificare il passaggio generazionale? Passaggio generazionale dell'azienda di famiglia, dalla grande impresa alla farmacia di famiglia, come tutelare l'asset produttivo? Per rispondere a tali domande inerenti il passaggio generazionale dell'azienda di famiglia è opportuno soffermarsi su due aspetti ovvero: 1) ciò che è legittimo 2) ciò che è impugnabile per contrarietà alle norme in tema di successione. Ecco quindi che per rispondere ai primi due quesiti è opportuno richiamare la normativa in tema di patti di famiglia, previsti dal nostro codice civile secondo cui è patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti. Ti puo' interessare anche: "Farmacia ed il valore delle quote sociali nel tempo" Al contratto, nella forma dell'atto pubblico, devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell'imprenditore. Gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dalla legge, (art. 536 cc). I beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari della farmacia o in generale dell'azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti ma l'assegnazione può essere disposta anche con successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purchè vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti. La tutela si concretizza nel senso che quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione, quindi non è attaccabile successivamente. Questa la disciplina del patto di famiglia della farmacia. Invece per focalizzarsi su ciò che non è permesso nel nostro ordinamento è opportuno richiamare la disciplina in tema di divieto dei patti successori, ovvero degli accordi volti a regolare la successione quando il titolare è ancora in vita. Ed è infatti nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi. (art. 458 cc) Ed è altresì vietato rinunciare preventivamente a far valere l'azione legale di riduzione prima della apertura della successione. (art. 557 cc) Ecco quindi non è ammissibile, nel nostro ordinamento, una transazione o accordo con cui vengano concessi benefici in termini di rinuncia ad una controversia o in termini di accordi successori prima che si verifiche l'evento morte del titolare, salvo quanto già affrontato in tema di patti di famiglia. Ed infatti il patto di famiglia è escluso dall'azione di riduzione, da quella di collazione e non è soggetto al divieto dei patti successori. Rimane da affrontare il tema della transazione o accordo privatistico per gestire la successione dell'azienda, e per quel che qui interessa della farmacia. La Corte di Cassazione ha posto il principio che è nulla, per il contrasto con il divieto dei patti successori e della rinuncia all'azione di riduzione, la transazione conclusa da uno dei futuri eredi, allorquando sia ancora in vita il de cuius, con il quale egli rinunci ai diritti vantati, anche quale legittimario, sulla futura successione, ivi incluso il diritto a fare accertare la natura simulata degli atti di alienazione posti in essere dall'ereditando perché idonei a dissimulare una donazione (Cass.n.15919/18 e 366/24). Farmacia il patto di famiglia e la rinuncia preventiva all'eredità il passaggio generazionale della farmacia Come pure evidenziato che in relazione agli atti di disposizione posti in essere dal de cuius la parte acquisisce il diritto solo a seguito della morte, sicché è nulla la transazione con cui si rinunci preventivamente ad esercitare l'azione di riduzione. In conclusione nel caso del passaggio generazionale dell’azienda di famiglia il caso farmacia il patto di famiglia nella forma dell'atto pubblico e con le garanzie della partecipazione e della liquidazione delle quote è lo strumento posto nel nostro ordinamento per potersi "accordare" in tema di successione dell'azienda quando il titolare è ancora in vita, non essendo possibile procedere con accordi di diritto privato quali la transazione o con atti di ingegneria legale come atti simulati in vita e relative future rinunce alle azioni legali, come la rinuncia preventiva all'azione di riduzione che è espressamente esclusa dalla giurisprudenza citata e dalla normativa applicabile. Hai un quesito? Consulta il blog Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Farmacia SNC la liquidazione della quota del socio receduto o defunto

    Affrontiamo la delicata questione della liquidazione della quota del socio receduto, defunto o escluso nella farmacia sottoforma di società in nome collettivo con particolare riguardo alla questione inerente le "operazioni in corso" alla data del recesso che dovranno essere conteggiate nella quota da liquidare. Vi è poi un altro aspetto che ci viene chiesto, ovvero se la controparte sia unicamente la società o anche gli altri soci. I due quesiti sono di particolare rilevanza in quanto vanno ad incidere sia sul quantum da liquidare sia sul chi debba procedere alla liquidazione. Farmacia SNC la liquidazione della quota del socio receduto o defunto L'articolo 2289 del codice civile stabilisce che ai fini della liquidazione della quota spettante al socio uscente, «se vi sono operazioni in corso, il socio e i suoi eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime». La Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che il concetto di operazioni in corso di cui all'art. 2289 co. 3 c.c. ricomprende ogni situazione idonea a determinare utili e spese, che, pur non in atto e non definita al momento dello scioglimento del rapporto sociale, debba considerarsi conseguenza necessaria ed inevitabile di rapporti giuridici preesistenti. Inoltre, poiché l'operazione in corso incide sulla liquidazione della quota in relazione agli utili ed alle spese, l'operazione stessa deve essere idonea a determinare utili e spese (cfr. Cass.n.6709/1982, n.1027/1993, n.6966/1996 e n. 960/2000.) Leggi il blog in diritto societario In particolare, nelle prime due pronunce la Corte ha esaminato casi -accostabili a quello qui in esame- nei quali era in discussione una sopravvenienza attiva (le altre riguardano sopravvenienze passive per debiti anteriori) per crediti riconducibili a situazioni già verificatesi al momento del recesso. Contattaci per il Tuo caso Il concetto di "operazioni in corso" puo' riguardare anche operazioni extra giudiziali nascenti anche da un rapporto con la Pubblica Amministrazione, ad esempio la ASL per la l liquidazione delle fatture inerenti le prescrizioni a carico del Sistema Sanitario Nazionale, ed anche se tali questioni siano materializzate successivamente al recesso ma riconducibili a quel determinato periodo,quindi riferibili al periodo anteriore al recesso del socio dalla SNC. Sul punto Cass. 1027/1993. Prima di chiudere precisiamo che in tema di liquidazione della quota di partecipazione a società di persone, con domanda proposta, ai sensi dell'art. 2289 cod. civ., dall'erede del socio defunto, ovvero dal socio che abbia esercitato la facoltà di recedere o che sia stato escluso, le Sezioni semplici hanno dato difformi risposte al quesito della spettanza della qualità di contraddittore alla società medesima ovvero agli altri soci (od anche a costoro). L'orientamento prevalente è nei senso di ritenere passivamente legittimata soltanto la società. Cass. 5853 1984. La società di persone, si è osservato, anche se priva dì personalità giuridica, è autonomo soggetto dell'ordinamento, in quanto è titolare dei beni sociali ed ha capacità sostanziale e processuale nei rapporti "esterni" che coinvolgano i beni stessi; fra tali rapporti, si è rilevato, rientra quello inerente alla liquidazione della quota, perché riguarda un credito verso la società di soggetti ormai usciti dal novero dei soci, e non comporta un mutamento della struttura sociale, già verificatosi in dipendenza dei fatto risolutivo della partecipazione del singolo socio, cioè la morte, il recesso o l'esclusione. In sintonia con detto enunciato, si è ritenuto che l'art. 2284 cod. civ, quando prevede il dovere degli "altri soci" di liquidare la quota agli eredi del socio defunto, si riferisca in effetti alla società, ormai costituita soltanto dai soci restanti. Si è aggiunto che l'art. 2285 cod. civ., ove indica gli "altri soci" come destinatari della comunicazione del recesso del singolo socio, risponde ad esigenze e finalità estranee alla problematica sulla liquidazione della quota. In conclusione. con la composizione del contrasto giurisprudenziale, si devo affermare che la domanda di liquidazione della quota di una società di persone, da parte dei socio receduto od escluso, ovvero degli eredi dei socio defunto, fa valere un'obbligazione non degli altri soci, ma della società, e, pertanto, ai sensi dell'art. 2266 cod. civ., va proposta noi confronti della società medesima, quale soggetto passivamente legittimato, senza che vi sia necessità di evocare in giudizio anche dotti altri soci. Cass. Sez. Un. 291 2000. Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli Non costituisce consulenza

  • L'impresa sanitaria nel sistema sanitario nazionale e la tutela del budget

    E' ammissibile una la riduzione del budget regionale per una impresa operante in favore dell'amplimento delle imprese private da far entrare nel mercato? La partecipazione del privato nell' sistema sanitario nazionale deve tutelare la concorrenzialità tra le imprese? E' possibile contestare il budget regionale assumendo la violazione dei principi di libera concorrenza? A tutta questa serie di quesiti aventi una unica matrice ovvero, il regime dell'impresa sanitaria privata nel sistema sanitario nazionale rispondiamo traendo spunti dalla recente giurisprudenza. Leggi il blog in diritto Sanitario Secondo la nota sentenza CdS n. 207/2016 “gli operatori privati accreditati non sono semplici fornitori di servizi, in un ambito puramente contrattualistico, sorretto da principi di massimo profitto e di totale deresponsabilizzazione circa il governo del settore, ma sono soggetti di un complesso sistema pubblico-privato qualificato dal raggiungimento di fini di pubblico interesse di particolare rilevanza costituzionale, quale il diritto alla salute, su cui gravano obblighi di partecipazione e cooperazione nella definizione della stessa pianificazione e programmazione della spesa sanitaria (Cons. St., sez. III, 29 luglio 2011 n. 4529, 14 giugno 2011 n. 3611 e 13 aprile 2011 n. 2290; Corte Costituzionale 28 luglio 1995 n. 416)”. Hai un quesito di diritto sanitario? Contattaci Ne deriva che il privato che concorra, a determinate condizioni, oltre che allo svolgimento dell’attività d’impresa in regime privatistico, anche all’erogazione delle prestazioni del servizio pubblico, non versa certamente nella medesima condizione e posizione rispetto alle strutture pubbliche, tale da legittimare una rivendicazione all’equiparazione del regime del finanziamento del comparto» (Consiglio di Stato, III, 31 maggio 2021, n. 4168). Quindi, «le riduzioni o meglio la razionalizzazione della spesa dell’ordinamento regionale non è vincolata al D.L. n. 95/2012, che fissa obiettivi minimi di contenimento, ma rientra nella potestà programmatorie delle regioni e, conseguentemente, anche la determinazione del quantum da destinare al finanziamento delle “funzioni non tariffabili” rientra senza dubbio nelle scelte della Regione, cui è affidato il governo della spesa sanitaria e l’organizzazione del relativo sistema, scelte ampiamente discrezionali, sindacabili solo per manifesta irragionevolezza» (Consiglio di Stato, III, 31 maggio 2021, n. 4168; anche 11 maggio 2021, n. 3719). Del resto, come già evidenziato nella sentenza 13 gennaio 2021, n. 94, nel sistema sanitario nazionale pur esistendo elementi di concorrenzialità nella gestione dei servizi sanitari, in tale ambito non vige un regime di puro di mercato. L'impresa sanitaria nel sistema sanitario nazionale e la tutela del budget Il sistema misto pubblico-privato costituisce, piuttosto, uno strumento correttivo correlato alla introduzione di meccanismi di gestione orientati all’efficienza ed alla programmazione delle procedure di erogazione delle prestazioni, sebbene persistano stringenti ragioni di ordine economico che giustificano la sottrazione dei servizi sanitari alle forze del libero mercato, «venendo in questione tipologie di “beni” che per le loro particolari caratteristiche non consentono un’allocazione efficiente delle risorse disponibili nell’ambito di un contesto economico di tipo concorrenziale, ma generano, piuttosto, rilevanti casi di “fallimento del mercato”» (così, T.A.R. Lombardia, Milano, III, 16 giugno 2010, n. 1891) La qualificazione, in termini economici o meno, dell’attività esercitata dalle strutture pubbliche erogatrici di servizi sanitari delinea un carattere non imprenditoriale dell’attività in questione. Le strutture pubbliche del SSN non costituiscono imprese o associazioni di imprese dal momento che: - svolgono una funzione di carattere esclusivamente sociale, basata sul principio della solidarietà, sprovvista di ogni scopo di lucro, dove le prestazioni sono previste dalla legge ed erogate gratuitamente indipendentemente dalla loro remuneratività, assicurando la copertura universale dei cittadini il cui benessere è in linea con gli obiettivi posti dagli articoli 2 e 3 Cost.; - il finanziamento proveniente dalla fiscalità generale consente la redistribuzione del reddito da soggetti economicamente più abbienti ad altri che, in mancanza di questo meccanismo ed in ragione dei loro mezzi e condizioni di salute, sarebbero privati della necessaria tutela; - la disciplina legale regolamenta gli aspetti qualitativi e quantitativi delle prestazioni da erogare; - l’attività dei gestori è, pertanto, sottoposta ad un pieno e pervasivo controllo statale senza che essi abbiano alcuna possibilità di influire sull'impiego dei fondi pubblici e sulla determinazione dell’entità delle prestazioni; - la funzione esclusivamente sociale svolta è assolutamente prevalente rispetto alle ragioni che militerebbero a favore di una gestione economica dell'attività in questione e ciò fa sì che le strutture pubbliche non sono in effettiva concorrenza né tra loro né con gli istituti privati per quanto riguarda l’erogazione delle prestazioni legali ed obbligatorie di tipo medico; - gli elementi proconcorrenziali introdotti dal legislatore vanno collocati all’interno delle politiche di contenimento della spesa e di implementazione dell’efficienza e non sono in grado di trasfigurare un regime ancora fortemente permeato da elementi solidaristici e redistributivi. Dagli elementi riportata ne discende la piena legittimità della regione in ordine alla decurtazione del budget per favorire l’ingresso di nuovi operatori privati, come statuito con la sentenza del Consiglio di Stato, III, 16 settembre 2013, n. 4574. Studio Legale Angelini Lucarelli Diritto Sanitario Avv. Aldo Lucarelli

  • L'amministratore di SRL ed il conflitto di interessi

    Quando si concretizza il conflitto di interessi di un amministratore con la società dallo stesso gestita? E' sufficiente una decisione in apparente conflitto con l'interesse della società? Quali sono i rimedi per i soci avverso le decisioni dell'amministratore? Ed invero, sul punto occorre innanzitutto evidenziare che ai sensi dell'art. 2475 ter cc: “i contratti conclusi dagli amministratori che hanno la rappresentanza della società in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, con la medesima possono essere annullati su domanda della società, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo”. L'articolo disciplina, quindi, l'applicazione nel diritto societario del generale principio sancito, per i contratti, all'art. 1394 c.c. (contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato) e dall'art. 1395 c.c. (contratto con se stesso), secondo cui la volontà di concludere il contratto è viziata - con conseguente annullabilità del contratto- nel caso in cui il rappresentante lo abbia stipulato in conflitto con gli interessi del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o quantomeno conoscibile dal terzo contraente. Tale rimedio di annullamento si applica agli amministratori unici, agli amministratori delegati con poteri rappresentativi e anche gestori (rientranti nella delega loro conferita), agli amministratori muniti di poteri di rappresentanza, ma privi dei corrispondenti poteri di gestione, nonché agli amministratori rappresentanti in regime di amministrazione disgiuntiva. Quindi a tutti coloro che hanno un potere gestorio effettivo. L'amministratore di SRL ed il conflitto di interessi Quanto agli elementi necessari per l'annullamento del contratto la norma richiede, su di un piano oggettivo, che sussista un interesse dell'amministratore nell'affare, che può essere di qualunque natura e, quindi, patrimoniale o meno. Non è invece richiesto che vi sia una assoluta incompatibilità tra la realizzazione dell'interesse sociale - anche solo potenzialmente leso dal negozio - e quello personale dell'amministratore. Dal punto di vista soggettivo, invece, è necessario e sufficiente che la situazione di conflitto di interessi appaia riconoscibile al terzo contraente. Peraltro, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, soprattutto di merito (ivi compreso Trib. Roma n. 6617 del 3.4.2017), gli elementi integranti la fattispecie di cui all'art. 2475 ter c.c. debbono essere interpretati nel senso che, affinché ricorra la situazione di conflitto di interessi, è necessario “un rapporto di incompatibilità tra le esigenze del rappresentato e quelle personali del rappresentante (o di un terzo che egli a sua volta rappresenti) e tale rapporto - da riscontrare non in termini astratti ed ipotetici, ma con riferimento specifico al singolo atto, e che costituisce causa d'annullabilità per vizio della volontà negoziale (sempre che detta situazione sia conosciuta o conoscibile dall'altro contraente) - è ravvisabile rispetto al contratto le cui intrinseche caratteristiche consentano l'utile di un soggetto solo passando attraverso il sacrificio dell'altro (Cass. civ. Sez. 3, Sent. n. 15879 del 17/07/2007). Inoltre, l'art. 2475 ter c.c. presuppone che l'amministratore, portatore di un interesse in conflitto con la società, abbia avuto la possibilità di influire sul contenuto negoziale dell'atto. Al contrario, ove egli si sia per ipotesi limitato a recepire all'interno del contenuto negoziale la volontà dei soci cristallizzatasi in una decisione della società, verrebbe meno la ratio che giustifica l'applicazione della norma: tale soluzione appare d'altra parte coerente con la norma di ordine generale di cui all'art. 1395 c.c. che esclude l'annullabilità del contratto con se stesso in caso di predeterminazione del contenuto del contratto da parte dello stesso rappresentato. Ancora, in ordine ai presupposti dell'annullamento del contratto ai sensi dell'art. 2475 ter c.c., la giurisprudenza ha costantemente ribadito che l'esistenza di un conflitto d'interessi tra la società parte del contratto che si assume viziato ed il suo amministratore, non può farsi discendere genericamente dalla mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore delle due società contraenti, ma deve essere accertata in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità degli interessi di cui siano portatori, rispettivamente, la società - che sostiene di aver stipulato il contratto contro la propria volontà - ed il suo amministratore e della riconoscibilità della stessa da parte dell'altro contraente (Cass. Civ. Sez. 3, Sent. n. 27547 del 30/12/2014). E cosa dire dei prestiti fatti dalla società all'amministratore? In tale caso non si tratta di atti illeciti ma è opportuno evidenziare che il prestito deve essere valutato in relazione all'entità, all'oggetto sociale, alla tempistica ed alle modalità di restituzione che "normalmente" dovrebbero prevedere un corrispettivo. Trattasi di operazione che per la modalità in cui è espletata potrebbe incagliarsi nelle maglie delle previsioni degli articoli 2391 cc e 2475 ter cc in termini di "conflitto di interessi" e che avranno un riflesso anche in relazione alla solidità e liquidità della società specialmente in caso di crisi di impresa. E' opportuno tener presente che in tema di finanziamenti sociali la Cassazione con l'ordinanza 15761 del 2021 ha sancito la presunzione legale della onerosità dei prestiti sociali. Per concludere la disamina quindi possiamo dire che non tutti i contratti "sospetti" possono essere annullati, bensì' i soci avranno il rimedio dell'annullamento del contratto concluso dall'amministratore in conflitto di interessi ove ricorra un conflitto di interessi concreto ed attuale e quindi  la possibilità per l'amministratore di influenzare, nel merito, la scelta negoziale assunta dalla società e la conoscibilità del conflitto di interessi da parte del terzo contraente. (Trib. Roma n. 17475/22) Hai un quesito? Leggi il blog Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

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