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  • Nella responsabilità sanitaria tra medico e struttura passano 5 anni

    Nel danno da mala sanità occorre distinguere la responsabilità del Medico dalla responsabilità della Struttura sanitaria. Oggi la responsabilità medica ed il riparto di responsabilità con la struttura sanitaria è governato dalla legge Gelli Bianco, ovvero la legge 24 del 8 marzo 2017 che stabilisce – tramite l'articolo 7 – una netta distinzione tra responsabilità del medico come singolo e della clinica come struttura. La responsabilità del medico infatti: Ha natura extracontrattuale, quindi il medico risponde dei danni causati al paziente in base alle norme sulla responsabilità aquiliana, prevista dal codice civile ai sensi dell'art. 2043 c.c., secondo cui: “ Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.” Si tratta di una regola generale del nostro ordinamento – la responsabilità extracontrattuale – il ché comporta che sarà il paziente a dover provare la colpa del medico, ed il termine di prescrizione è di 5 anni. Leggi il blog e trova il tuo articolo in tema di risarcimento e malasanità In chiave penale invece l'art. 590 sexies prevede che: " qualora l'evento morte o lesioni del paziente si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità (del medico) è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto". Leggi il blog e trova il tuo caso altrimenti contattaci Quindi la responsabilità penale è esclusa ove siano rispettate le linee guida e non vi sia prova dell'imperizia. Sul punto abbiamo scritto altro contributo per individuare quale sia il concetto di imperizia e la c.d. “controprova”. Leggi qui l'articolo su “operazione medica non riuscita e la prova del danno” La struttura sanitaria invece ha una responsabilità di natura contrattuale , ovvero in base al rapporto - appunto da contratto - che si instaura tra struttura Clinica ed il paziente, quindi la stessa risponderà per i danni causati nel termine di 10 anni, danni dovuti ed imputabili quindi alla struttura ed agli ausiliari e dipendenti della stessa, ai sensi dell' articolo 7 della legge 24/2017 la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile , delle loro condotte dolose o colpose. Leggi pure: medico e responsabilità, quale confine A livello assicurativo la struttura quindi potrà coprire il danno salvo il diritto di manleva verso i propri sanitari. Nella responsabilità sanitaria tra medico e struttura passano 5 anni Un ruolo importante nella gestione del sinistro verrà assunto dal sistema di gestione del rischio sanitario (risk management) oggi obbligatorio ai sensi dell'art. 16 della legge Gelli Bianco. Prima di chiudere una recente pronuncia della Cassazione 547/2025 sul tema: “in caso di responsabilità derivante da un'omissione diagnostica, in relazione alla quale il giudizio controfattuale, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, ove eseguita, avrebbe potuto evitare l'evento, richiede il preliminare accertamento di ciò che è naturalisticamente accaduto (cd. giudizio esplicativo), mentre il giudizio controfattuale (c.d. giudizio implicativo) implica la necessaria valutazione sul potenziale carattere salvifico della condotta doverosa omessa...” I risvolti sopra individuati avranno un grande impatto sia in termini di diritto al risarcimento sia in termini assicurativi (articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private), soprattutto nei rapporti interni tra medico e struttura per quanto attiene ai profili di manleva e responsabilità solidale. Contattaci per approfondire un caso specifico Studio Legale Angelini Lucarelli Diritto Sanitario Avv. Aldo Lucarelli

  • Urbanistica La conferenza di servizi ed i vizi della Autorizzazione Unica

    L’autorizzazione unica all’esito di una conferenza di servizi vizi ed impugnabilità L’esito della conferenza di servizi può essere impugnato da una amministrazione dissenziente? Il diniego al riesame della vicenda collegata alla conferenza di sevizi é impugnabile? L’autorizzazione unica ambientale AuA La conferenza di servizi è un modulo organizzativo pensato per semplificare, coordinando le varie pubbliche amministrazioni interessate, la complessa attività amministrativa che sfocia nell’adozione di una determinazione rispettosa delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza (art. 14, comma 7, l. n. 241 del 1990). La conferenza di servizi garantisce un dialogo tra amministrazioni e rientra, insieme al silenzio assenso e alla s.c.i.a., ai sensi dell’art. 29, comma 2, l. n. 241 del 1990, tra gli istituti che sono volti a garantire il livello essenziale delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Ciascuna amministrazione, ai sensi dell’art. 14 bis , comma 3, deve, entro un termine perentorio, previsto dal comma 2, lett. c), rendere la propria determinazione, relative alla decisione oggetto della conferenza. Il comma 4 specifica che la mancata comunicazione della determinazione entro il termine di cui al comma 2, lettera c), ovvero la comunicazione di una determinazione priva dei requisiti previsti dal comma 3, equivalgono ad assenso senza condizioni. L’art. 2, comma 8 bis ,, dispone che le determinazioni adottate dopo la scadenza del predetto termine sono inefficaci, con ciò riconoscendo al termine a provvedere natura perentoria. L’art. 14 quater specifica che “La determinazione motivata di conclusione della conferenza, adottata dall'amministrazione procedente all'esito della stessa, sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle amministrazioni e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati”. Il comma 2 della norma appena richiamata detta le condizioni affinché un’autorità amministrativa possa contestare l’esito della conferenza di servizi. In particolare, è specificato che le amministrazioni, i cui atti sono sostituiti dalla determinazione motivata di conclusione della conferenza, possono sollecitare con congrua motivazione l'amministrazione procedente ad assumere, previa indizione di una nuova conferenza, determinazioni in via di autotutela ai sensi dell'articolo 21- nonies . Autorizzazioni per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili ne é un esempio Autorizzazione Unica (AU) che è il provvedimento introdotto dall'articolo 12 del D.Lgs. 387/2003 per l'autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da FER, al di sopra di prefissate soglie di potenza. Solo per le amministrazioni dissenzienti preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini, che abbiano espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza, è previsto un potere di contestazione della determinazione finale, attraverso l’opposizione (art. 14 quinques ). Da tale ordito normativo emerge che le amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi, non rientranti tra le amministrazioni dissenzienti portatrici di interessi sensibili, che vogliano contestarne gli esiti hanno a disposizione esclusivamente un potere sollecitatorio nei confronti dell’amministrazione procedente che può, nell’ambito della sua discrezionalità, decidere di ritirare il provvedimento in attuazione del potere di autotutela previsto dall’art. 21 nonies l. n. 241 del 1990. Riconoscere, a fianco di tale potere sollecitatorio, anche il potere di impugnare la determinazione finale, significherebbe frustrare la ratio della conferenza di servizi e lo stesso meccanismo organizzativo ad essa sotteso. In particolare, se fosse riconosciuto ad un’amministrazione partecipante alla conferenza di servizi di contestare l’esito finale della stessa, attraverso la proposizione di un autonomo ricorso, sarebbe sostanzialmente superfluo, se non del tutto inutile, l’art. 14 quater , comma 2, prima visto, che, nel limitare le contestazioni delle autorità amministrative coinvolte nella conferenza di servizi al solo potere sollecitatorio, predilige un modello semplificato e agile che possa consentire l’emanazione del provvedimento finale nel minor tempo possibile, senza permettere contestazioni al di fuori di quanto consentito dalla legge che ritarderebbero la procedura. Principio di buona fede e non contraddizione si oppongono, dunque, all’ammissibilità di un’autonoma impugnazione della determinazione finale da parte dell’autorità amministrativa che ha scelto di non partecipare alla conferenza di servizi, accettando consapevolmente la formazione del silenzio assenso. Né tale limitazione può essere vista in contrasto con la Costituzione ai sensi della sentenza n. 45 del 2019. Da quanto, dunque, esposto si deve desumere che l’attuale quadro normativo non consente ragionevolmente all’autorità amministrativa, che ha consapevolmente scelto di non partecipare alla conferenza di servizi, restando inerte, di impugnare in sede giurisdizionale il provvedimento conclusivo della conferenza di servizi. Nel caso il Comune non abbia partecipato alla conferenza di servizi, pur essendo stato regolarmente convocato, e, quindi, in applicazione dell’art. 14 quater , comma 4, l. n. 241 del 1990 si è formato il silenzio assenso. Ne consegue la sola ammissibilità sel meccanismo procedimentale previsto dall’art. 14 quater comma 2, l. n. 241 del 1990. Se il comune non può impugnare l’esito della Conferenza dei Servizi cosa dire invece del provvedimento successivo all’esito di una Istanza di riesame? Ove il Comune abbia presentato una Istanza di autotutela si avrà una autonoma determinazione dell’amministrazione procedente ed ecco quindi che Il diniego di ritirare il provvedimento originariamente emanato può, invece, essere contestato in sede giurisdizionale non emergendo elementi preclusivi dal decritto quadro normativo. TAR Campania 2407/2024. Hai un quesito consulta il blog o contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli Avv Aldo Lucarelli

  • Pagamenti dal Comune e verifica presso Agenzia delle Entrate

    Capiamo come funziona la verifica ex art 48 bis dpr 602/1973 per le Imprese che devono essere pagate da un Comune e quale sia l’esito dei controlli in caso di cessione d’azienda in caso di pendenze con il Fisco. cessione d'azienda e le norme di contrasto all'evasione fiscale sui pagamenti della Pubblica Amministrazione. 📅 Efficacia della Cessione per il Cessionario L'efficacia del trasferimento dei crediti verso il Comune in caso di cessione di ramo d'azienda (atto notarile) segue le regole speciali del Codice Civile per l'azienda, e non quelle ordinarie della cessione del 1) effetto naturale della cessione Ai sensi dell'Art. 2559 c.c. (Crediti relativi all'azienda ceduta), la cessione dei crediti ha effetto, nei confronti dei terzi (come l'Agenzia delle Entrate-Riscossione e il Comune debitore), dal momento dell'iscrizione del trasferimento del ramo d'azienda nel Registro delle Imprese. Dal momento dell'iscrizione, il cessionario è il nuovo titolare del credito. La verifica ex art. 48-bis, pertanto, deve essere indirizzata al cessionario (il soggetto a cui deve essere effettuato il pagamento), ferma restando la necessità di valutare anche la posizione del cedente come creditore originario, come indicato dalla prassi. 2. Efficacia verso il Comune (Debitore Ceduto) Anche se la cessione è efficace con l'iscrizione, il Comune (debitore ceduto) è liberato se, in buona fede, paga al cedente (il vecchio creditore), a meno che non sia venuto a conoscenza dell'avvenuta cessione (Art. 2559 c.c., II comma). L'atto notarile di cessione del ramo d'azienda (che include i crediti) deve essere notificato formalmente al Comune per rendere la cessione pienamente opponibile. Infatti solo dopo la notifica e l'eventuale non-rifiuto (o l'accettazione) da parte del Comune, il pagamento può essere effettuato in sicurezza solo a favore del cessionario. In sintesi, gli effetti per il cessionario si producono con l'iscrizione nel Registro delle Imprese, ma l'opponibilità piena al Comune si ottiene con la notifica/accettazione. Durata del Blocco dei Pagamenti (Art. 48-bis) Il blocco del pagamento da parte del Comune è una misura cautelare attivata a seguito dell'esito positivo della verifica ex art. 48-bis, che segnala l'inadempienza del beneficiario (in questo caso il cessionario, se la cessione è efficace e opponibile). L'Agenzia delle Entrate - Riscossione (AdER ) non "blocca" direttamente, ma esercita un vero e proprio pignoramento presso terzi in forma semplificata (ex Art. 72-bis del D.P.R. 602/73). Il Comune deve sospendere il pagamento e comunicare l'esito della verifica ad AdER. A partire da tale comunicazione: Termine di 60 giorni: AdER ha un termine di 60 giorni dalla ricezione della segnalazione di inadempienza da parte della PA per notificare al Comune (terzo pignorato) l'atto di pignoramento. Questo atto determina in via definitiva il vincolo sulle somme dovute. Se AdER notifica il Pignoramento: Il blocco termina e il Comune deve versare ad AdER l'importo pignorato (fino alla concorrenza del debito). Se AdER non notifica il Pignoramento: Se l'atto di pignoramento non viene notificato al Comune entro i 60 giorni, l'obbligo di sospensione decade . Il Comune è liberato dall'obbligo di sospensione e può procedere al pagamento della somma al creditore (il Cessionario). L'Agenzia delle Entrate-Riscossione può mantenere il pagamento "bloccato" (sospeso) solo per il tempo necessario a notificare l'atto di pignoramento, che non deve superare i 60 giorni dalla segnalazione ricevuta dal Comune. Ed in caso di Cessione d azienda? In caso di cessione d'azienda che include crediti verso un Comune, l'interpretazione di prassi sull'articolo 48-bis richiede che il Comune esegua la verifica sia sul cedente che sul cessionario, ma con finalità e tempistiche diverse. 🏛️ Ruolo del Comune nella Verifica 48-bis (Cessione di Credito/Azienda) La necessità di coinvolgere il cedente è legata al fatto che la Pubblica Amministrazione (il Comune) è tecnicamente estranea al rapporto contrattuale di cessione. La prassi amministrativa (Circolare MEF n. 29/2009 e precedenti) ha distinto tre scenari, applicabili per analogia anche alla cessione di crediti compresi nel ramo d'azienda: 1. 🔄 Verifica sul CESSIONARIO (Titolare del Pagamento) Il Comune deve sempre effettuare la verifica ex art. 48-bis (superiori a 5.000 €) nei confronti del cessionario (l'acquirente del ramo d'azienda) perché è lui il beneficiario del pagamento finale. Bloccare o ridurre il pagamento in caso di morosità del soggetto che sta per ricevere la somma. 2. 🔄 Verifica sul CEDENTE (Creditore Originario) La verifica sul cedente è fondamentale e va eseguita, anche se il Comune paga il cessionario. Scenario A: Cessione Notificata ma NON Accettata Se il Comune è stato solo informato dell'avvenuta cessione (tramite l'atto notarile notificato), ma non ha prestato il suo consenso o accettazione espressa (o non è decorso il termine per il rifiuto nei contratti d'appalto): La verifica 48-bis deve essere effettuata ESCLUSIVAMENTE sul CEDENTE. Sebbene il pagamento vada al cessionario, il Comune può opporre al cessionario tutte le eccezioni che poteva far valere nei confronti del cedente, inclusa l'eccezione disciplinata dall'art. 48-bis. Se il cedente risulta inadempiente, il Comune può legittimamente sospendere o ridurre il pagamento anche nei confronti del cessionario. Scenario B: Cessione Accettata o Consenziente Se il Comune ha accettato espressamente la cessione (o non si è opposto): Verifica ex art 48 bis in due fasi: 1) Prima verifica (al momento dell'accettazione/notifica): Sul cedente (per liberare la sua posizione). 2) Seconda verifica (al momento del pagamento): Sul solo cessionario. L'accettazione del Comune libera il cessionario dal rischio di eccezioni connesse alla situazione del cedente al momento del pagamento. 🎯 Conclusione per il Comune Considerando che la cessione di ramo d'azienda implica il trasferimento del credito, per la massima cautela e per tutelarsi da eventuali eccezioni, il Comune è tenuto a: 1) Verificare sempre la posizione del Cessionario al momento dell'emissione del mandato di pagamento. 2) Verificare la posizione del Cedente se non ha espresso un formale consenso/accettazione alla cessione del credito, in quanto le sue morosità possono essere opposte al nuovo creditore. In pratica, se il Comune non ha formalizzato l'accettazione dopo la notifica, dovrà operare la verifica ex art. 48-bis in capo al cedente (creditore originario) per determinare la morosità e, in caso di esito negativo, dovrà negare il pagamento al cessionario. leggi i post nel blog o contattaci per un caso prima di chiudere una precisazione sui termini Il termine di 30 giorni per l'opposizione alla cessione dei crediti nei contratti pubblici non è un termine per l'opposizione in senso stretto (come un ricorso), bensì il termine concesso alla stazione appaltante per rifiutare il pagamento al cessionario, in presenza di specifiche motivazioni. 🏛️ il termine è sancito nell'Allegato II.14 (concernente la Direzione dei lavori e l'esecuzione dei contratti) del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (il nuovo Codice dei contratti pubblici), che all'articolo 12, comma 3, stabilisce le condizioni per l'opponibilità delle cessioni di crediti alla stazione appaltante. ⏳ Il Termine dei 30 Giorni L'articolo 12, comma 3, dell'Allegato II.14 stabilisce che: “La cessione del credito è efficace e opponibile alla stazione appaltante, ... , quando la stessa non la rifiuti con comunicazione da notificarsi al cedente e al cessionario entro quarantacinque giorni dalla notifica (atto che può assumere la forma della comunicazione alla stazione appaltante) e comunque non oltre trenta giorni dall'accettazione della cessione con riguardo alle ragioni creditorie già esistenti." Quindi nel caso di crediti esistenti (già maturati e liquidati), la stazione appaltante ha 30 giorni dalla ricezione della documentazione di cessione per comunicare il rifiuto al pagamento al cessionario, se sussistono motivi per farlo (ad esempio, compensazioni o debiti dell'appaltatore). In generale, il termine per il rifiuto del pagamento da parte della stazione appaltante è fissato a 45 giorni dalla notifica dell'atto di cessione. Quindi, i 30 giorni sono il termine per il rifiuto del pagamento al cessionario per ragioni creditorie già esistenti, che rende la cessione non opponibile alla Stazione Appaltante, non un termine per un'azione legale di opposizione. 📝 Perché la cessione sia efficace e opponibile alla stazione appaltante, è necessario che il contratto di appalto non lo vieti espressamente e che la cessione sia: 1) Notificata alla stazione appaltante. 2)Accompagnata dalla documentazione idonea a dimostrare l'avvenuta cessione e l'accettazione da parte del cessionario. Se la stazione appaltante non comunica il rifiuto entro i termini stabiliti (45 o 30 giorni a seconda dei casi), la cessione diventa efficace nei suoi confronti, che è obbligata a pagare direttamente il cessionario. Seguici on Line Studio Legale Angelini Lucarelli Avv Aldo Lucarelli

  • Responsabilità medica e giudizio sull’operazione non riuscita

    Il giudizio sull’operato dei medici deve avere come riferimento l’alternativa tra intervento invasivo oppure non invasivo in relazione ad una guarigione oppure in relazione al danno subito? Quando si può dire che un’operazione che ha creato un danno è preferibile ad una operazione che non avrebbe guarito ugualmente ma non avrebbe creato alcun danno? quale è il confine tra errore medico per non aver operato ed errore medico per aver affrontato una operazione che non ha portato miglioramenti? A questo quesito risponde la Cassazione con una articolata sentenza che precisa come per valutare la responsabilità ed il danno del medico la scelta tra una operazione rischiosa ed una attività meno rischiosa va valutata non in relazione alla possibilità dí guarigione bensì in relazione al danno subito. Leggi i post in diritto sanitario precisa la Cassazione 25825/2024 “ l'errore di ragionamento controfattuale sta nel fatto che l'efficacia causale dell'antecedente, ossia la scelta del tipo di intervento da effettuare, se chirurgico o meno, non andava valutata rispetto all'evento guarigione, ma rispetto all'evento concretamente verificatosi di danno permanente subìto dal paziente.” In altri termini, il giudizio controfattuale andava effettuato chiedendosi se l'intervento conservativo, in luogo di quello chirurgico, avrebbe evitato o meno i danni permanenti al paziente, piuttosto che chiedersi se l'intervento conservativo avrebbe sortito effetti benefici per l'interessato guarendolo dalla patologia. Nell'accertamento del nesso causale, infatti, la condotta alternativa lecita va messa in relazione all'evento concretamente verificatosi, e di cui si duole il danneggiato, e non già rispetto ad un evento diverso: se il danno di cui ci si lamenta è costituito dalla paralisi permanente, l'indagine causale va effettuata ponendo in relazione questo danno con la condotta alternativa lecita, ossia chiedendosi se tale danno era evitabile sostituendo la condotta posta in essere con una condotta alternativa. Responsabilità medica e giudizio sull’operazione non riuscita Non è quindi una comparazione sulla efficacia terapeutica bensì sulla conseguenza prodotte. Invece, i giudici di appello, come si è detto prima, hanno effettuato l'indagine controfattuale considerando quale evento non già il danno subìto, ma l'inefficacia terapeutica del trattamento, e dunque un evento diverso, di cui il ricorrente non si duole. Non v'è dubbio che non guarire dalla lombosciatalgia è evento diverso dal subire la paralisi: ed occorreva chiedersi se, evitare l'intervento, avrebbe evitato la paralisi. L'evento che, per il ricorrente, ha costituito danno è, per l'appunto, la paralisi, non la mancata guarigione dalla lombosciatalgia, e dunque la questione causale è conseguente: stabilire se la condotta alternativa lecita avrebbe evitato quell'evento, non altro (la mancata guarigione dalla lombosciatalgia). In altri termini, il ragionamento controfattuale, come svolto dai giudici di appello, può esprimersi nel modo seguente: "il trattamento conservativo non era necessariamente da preferire in quanto già in passato si era dimostrato inefficace", quando invece l'assunto del ricorrente era: "il trattamento conservativo era da preferire in quanto avrebbe evitato i danni permanenti, poco importando la sua efficacia curativa". Il giudizio controfattuale consiste nella verifica della fondatezza di questa seconda proposizione linguistica, non della prima. Leggi i post dedicati in tema di Diritto Sanitario e Responsabilità medica Come è evidente, l'efficacia causale della condotta alternativa lecita, ossia del trattamento conservativo, che era richiesto di accertare, non era quella di comportare la guarigione ma quella ben diversa di evitare il danno permanente. Detto in termini semplici: il consiglio dato dagli altri medici di non fare l'intervento chirurgico, bensì trattamenti meno invasivi, non necessariamente era giustificato dalla maggiore efficienza di questi ultimi, ma ben poteva essere giustificato dalla minore rischiosità di essi, che è cosa ben diversa anche sul piano della individuazione dell'evento rispetto a cui effettuare il giudizio controfattuale. E dunque la corte di merito avrebbe dovuto valutare se la condotta alternativa lecita (trattamento meno invasivo) era da pretendersi a prescindere dalla sua efficacia sulla patologia in corso, ma per via del fatto che garantiva, a differenza di quella di fatto tenuta, di evitare il rischio: se cioè vi sia stata colpa nella scelta dell'intervento chirurgico alla luce di tale previsione. Leggi il blog e trova il tuo caso Prima di chiudere una precisazione l' azione diretta del danneggiato  (terzo) nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura sanitaria è una previsione chiave della L. n. 24/2017 (Art. 12), che la Cartabia non ha modificato  nel suo impianto sostanziale. Il danneggiato mantiene quindi la facoltà di agire: 1. Contro la struttura  (responsabilità contrattuale). 2. Contro il professionista  (responsabilità extracontrattuale, salvo eccezioni). 3. Direttamente contro l'assicurazione  della struttura. Un ruolo preponderante sarà quindi quello della rivalsa verso il medico da parte dell’assicurazione e/o della Corte dei Conti in caso di strutture pubbliche. hai un quesito in tema di responsabilità medica e risarcimento del danno civile ? Contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli Diritto Sanitario Avv Aldo Lucarelli

  • Il riproporzionamento dei posti riservati nei concorsi pubblici

    Nel post dedicato (leggi qui) abbiamo affrontato il delicato tema delle "riserve" di posti nei concorsi pubblici imposte dalla legge. Hai un quesito? contattaci per una risposta oppure Leggi il blog o seguici on line Nel presente post affrontiamo un altro aspetto non meno importante, ovvero il limite di legge per i posti riservati e la problematica della presenza di piu' tipi di riserve di posti, con il conseguente problema del calcolo dei posti disponibili. Chiaramente ove venissero lese le quote sarebbe sempre possibile adire il Tribunale Amministrativo per una verifica concreta. Leggi qui. La riserva per i volontari delle Forze Armate (VFP1, VFP4, etc.) Come abbiamo visto, questa riserva è obbligatoria e pari al 30% dei posti disponibili. È un diritto di precedenza che spetta a coloro che hanno svolto un servizio militare volontario senza demerito. Esistono però altre categorie di riserva Oltre ai militari, le principali riserve previste dalla legge sono: Categorie protette (Legge 68/1999):  Questa legge riserva una quota dei posti a persone con disabilità e ad altre categorie (come orfani, coniugi superstiti, etc.). Le percentuali variano in base al numero di dipendenti dell'amministrazione (ad esempio, il 7% per le amministrazioni con più di 50 dipendenti). Volontari del Servizio Civile Universale:  Anche a questa categoria è riservata una quota di posti, in genere pari al 15% . La legge prevede un blocco del 50% dei posti disponibili per le riserve, per tutelare anche i soggetti privi di riserve. Sì, esiste un limite. La normativa (in particolare l'articolo 5 del DPR 487/1994, modificato dal DPR 82/2023) stabilisce che la somma delle quote di riserva non può superare il 50% dei posti messi a concorso . Ciò significa che se la somma delle percentuali di riserva (ad esempio, 30% per i militari e 15% per il Servizio Civile) supera il 50%, le quote devono essere ridotte in maniera proporzionale in modo da non superare tale soglia. Ed ecco il primo dubbio ma come si calcola la riserva nella pratica del concorso? Il processo è il seguente (in via teorica non ci sostituiamo alle commissioni): Calcolo iniziale:  Si calcolano le singole riserve in base alle percentuali previste. Esempio: 10 posti a concorso. Riserva militari (30%): 10×0.30=3 posti. Riserva servizio civile (15%): 10×0.15=1.5 posti. Riserva categorie protette (es. 7%): 10×0.07=0.7 posti. Verifica del blocco del 50%:  Si sommano le percentuali. Nell'esempio precedente, 30%+15%+7%=52%. Poiché 52% supera il 50%, le quote devono essere riproporzionate. Riprogrammazione proporzionale:  Le quote vengono ridotte in modo che la loro somma non superi il 50%. Il calcolo esatto può variare, ma in sostanza si distribuiscono i 5 posti riservati (il 50% di 10) tra le diverse categorie in base alla loro quota iniziale. Criterio di precedenza:  Dopo aver stabilito il numero di posti riservati per ciascuna categoria, l'amministrazione scorre la graduatoria unica e, per i posti riservati, assegna la posizione al candidato idoneo che ne ha diritto, a prescindere dal punteggio, purché abbia superato le prove. Se non ci sono candidati idonei per una specifica riserva, il posto viene assegnato al candidato successivo in graduatoria, senza che si proceda all'ulteriore scorrimento tra le altre riserve. Frazioni di posto:  Come già detto, le frazioni di posto (nell'esempio il 0.5 per il servizio civile e il 0.7 per le categorie protette) non si perdono, ma si sommano con le riserve dei successivi concorsi banditi dalla stessa amministrazione. Esempio pratico con 10 posti: 10 posti totali. Numero massimo di posti riservabili (50%): 5 posti. Riserva militare (30%): 3 posti. Riserva servizio civile (15%): 1 posto (arrotondamento per difetto). Totale posti riservati: 4 posti, che è inferiore al limite del 50%. In questo caso, non c'è bisogno di riproporzionamento. L'amministrazione assumerà i 4 riservisti idonei che rientrano nelle categorie, anche se hanno un punteggio inferiore ai non riservisti. Gli altri 6 posti verranno assegnati ai candidati migliori in graduatoria. Questo schema garantisce un equilibrio tra il diritto di accesso al pubblico impiego per tutti e le tutele previste per alcune specifiche categorie di cittadini. Continua a seguirci per aggiornamenti Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Costi della manodopera e verifica dell’anomalia nelle gare pubbliche

    L’articolo. 41, comma 14, del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, dispone che “ nei contratti di lavoro e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13. I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato a ribasso. Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di   dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale ”. La disposizione deve essere interpretata, secondo la tecnica esegetica del combinato disposto, coerentemente con: - l’articolo 108, comma 9, del d.lgs. n. 36 del 2023, che prescrive al concorrente di indicare nell’offerta economica, a pena di esclusione, i costi della manodopera, oltre agli oneri di sicurezza aziendali; - l’art. 110, comma 1, del d.lgs. n. 36 del 2023, ai sensi del quale “ Le stazioni appaltanti valutano la congruità, la serietà, la sostenibilità e la realizzabilità della migliore offerta, che in base a elementi specifici, inclusi i costi dichiarati ai sensi dell’articolo 108, comma 9, appaia anormalmente bassa. Il bando o l’avviso indicano gli elementi specifici ai fini della valutazione ”. Leggi nel blog I costi della manodopera sono assoggettabili a ribasso, come è del resto espressamente previsto dall’ultimo periodo del comma 14, dell’art. 41 citato, secondo cui: “ Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale ”. Quindi, l’art. 41, comma 14, non ha determinato la totale equiparazione tra i «costi della manodopera» e gli «oneri di sicurezza da interferenze» (c.d.  oneri fissi ): solo questi ultimi, infatti, sono (come già lo erano, per giurisprudenza pacifica, nella vigenza del precedente codice) integralmente predeterminati dall’amministrazione aggiudicatrice in maniera fissa ed immodificabile (cfr., recentemente, Cons. Stato, sez. V, 19 novembre 2024, n. 9254). Segui la Pagina Il Cons. Stato, sez. V, 9 giugno 2023, n. 5665 con riferimento al previgente Codice dei contratti pubblici, ha osservato che “ la clausola della lex specialis che imponga il divieto di ribasso sui costi di manodopera, sarebbe in flagrante contrasto con l’art. 97, comma 6 d.lgs. n. 50/2016 e, più in generale, con il principio di libera concorrenza nell’affidamento delle commesse pubbliche ”; e, richiamando, quale supporto interpretativo, l’art. 41 comma 14 del d.lgs. 36 del 2023, ha precisato che: “ persino nel “nuovo Codice”, che in applicazione di un preciso criterio di delega di cui all’art. 1 comma 2 lett. t) della L. 78/2022, ha previsto “in ogni caso che i costi della manodopera e della sicurezza siano sempre scorporati dagli importi assoggettati a ribasso” è stata fatta salva la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che un ribasso che coinvolga il costo della manodopera sia derivante da una più efficiente organizzazione aziendale così armonizzando il criterio di delega con l’art. 41 della Costituzione ”. Contatti per un tuo caso Più recentemente (Cons. Stato, sez. V, n. 9254/2024): “ Sulla base del combinato disposto degli artt. 41, comma 14, 108, comma 9, e 110, comma 1, del D.Lgs. n. 36 del 2023, deve ritenersi che, per l'operatore economico che applichi il ribasso anche ai costi della manodopera, la conseguenza non è l'esclusione dalla gara, ma l'assoggettamento della sua offerta alla verifica dell'anomalia: Solo seguendo tale impostazione si spiega anche l'obbligo del concorrente di indicare i propri costi della manodopera, a pena di esclusione dalla gara (art. 108, comma 9 del D.Lgs. n. 36 del 2023), previsione che sarebbe evidentemente superflua se i costi della manodopera non fossero ribassabili, e il successivo art. 110, comma 1, che include i costi della manodopera dichiarati dal concorrente tra gli elementi specifici, in presenza dei quali la stazione appaltante avvia il procedimento di verifica dell'anomalia ” (conf. Cons. Stato, sez. V, 9 giugno 2023, n. 5665 e 29 aprile 2025, n. 3611) Anche l’ANAC, nel bando tipo n. 1/2023 (articolo 17), ha previsto che “ l’operatore economico dovrà indicare in offerta il costo della manodopera. Se l’operatore economico riporta in offerta un costo della manodopera diverso da quello stimato dalla stazione appaltante, l’offerta è sottoposta al procedimento di verifica dell’anomalia ai sensi dell’art. 110, D.Lgs. 36/2023 ”; L’interpretazione è stata condivisa dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con il parere del 17 aprile 2024, n. 2505, secondo cui “ l’importo assoggettato a ribasso comprende i costi della manodopera, ma la stazione appaltante è tenuta a indicare, come parametro, quanti sono questi costi ”. Dunque, in base al comma 14 dell’art. 41 del d.lgs. n. 36 del 2023, la conseguenza, per l’operatore economico che applichi il ribasso anche ai costi della manodopera, non è l’esclusione dalla gara, ma l’assoggettamento della sua offerta alla verifica di anomalia: in quella sede l’operatore economico ha l’onere di dimostrare che il ribasso deriva da una più efficiente organizzazione aziendale nel rispetto dei minimi salariali. CdS 7813/25 Leggi il blog Studio Legale Angelini Lucarelli Avv Aldo Lucarelli

  • Autorizzazione Unica Ambientale e Suap

    Ci viene chiesto di chiarire la competenza del Suap ad emettere le autorizzazioni ambientali ai sensi dell’art. 208 del d.lgs. 152/2006 in tema di " Autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti" Il decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160, contiene il Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008. L’art. 38 citato, rubricato “Impresa in un giorno” semplifica e riordina la disciplina dello sportello unico per le attività produttive In particolare, ai sensi dell’art. 2 d.P.R. n. 160 del 2010, “… è individuato il SUAP quale unico soggetto pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l’esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi, e quelli relativi alle azioni di localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o riconversione, ampliamento o trasferimento, nonché cessazione o riattivazione delle suddette attività, ivi compresi quelli di cui al decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59. (…)”. Sono esclusi dall'ambito di applicazione del presente regolamento gli impianti e le infrastrutture energetiche, le attività connesse all'impiego di sorgenti di radiazioni ionizzanti e di materie radioattive, gli impianti nucleari e di smaltimento di rifiuti radioattivi, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, nonché' le infrastrutture strategiche e gli insediamenti produttivi di cui agli articoli 161 e seguenti del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163”. Autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti e Suap Pertanto, lo sportello unico costituisce l’unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua attività produttiva e fornisce, altresì, una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni comunque coinvolte nel procedimento, ivi comprese quelle di cui all’art.14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241; laddove esso non sia sostituito o affiancato nell’attività di istruttoria da soggetti privati accreditati («Agenzie per le imprese»). La citata disposizione non prevede in alcun modo un’esclusione del ruolo del Suap per le autorizzazioni ai sensi dell’art. 208 d.lgs. 152/2006, per cui – ad eccezione degli ambiti espressamente esclusi dalla disposizione regolamentare - il SUAP svolge il ruolo di autorità procedente del procedimento principale e, come previsto dal citato art. 2, provvede “all’inoltro telematico della documentazione alle altre amministrazioni che intervengono nel procedimento, le quali adottano modalità telematiche di ricevimento e di trasmissione” . Tali disposizioni relative al Suap non hanno modificato l’attribuzione delle competenze in capo alle diverse amministrazioni coinvolte nel procedimento, ma hanno reso il Suap l’organo (comunale) che emette il provvedimento finale dopo aver raccolto gli atti di tutte le amministrazioni e gli enti coinvolti, come è avvenuto nel caso di specie. Invero, il comma II dell’art. 4 d.P.R. n. 160 del 2010, dispone che “Le comunicazioni al richiedente sono trasmesse esclusivamente dal SUAP; gli altri uffici comunali e le amministrazioni pubbliche diverse dal comune, che sono interessati al procedimento, non possono trasmettere al richiedente atti autorizzatori, nulla osta, pareri o atti di consenso, anche a contenuto negativo, comunque denominati e sono tenute a trasmettere immediatamente al SUAP tutte le denunce, le 12 domande, gli atti e la documentazione ad esse eventualmente presentati, dandone comunicazione al richiedente”. Leggi il blog e trova il tuo caso altrimenti contattaci senza impegno Ciò significa che il Suap funge da unico canale informativo sia verso le Amministrazioni che verso i soggetti istanti ed emette il provvedimento finale sulla base dei pareri delle Amministrazioni competenti sui vari aspetti, senza che ciò alteri il sistema delle competenze. CdS 8086/2024 Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • La farmacia dei servizi e le analisi in farmacia

    La Farmacia dei Servizi  rappresenta un’evoluzione del ruolo tradizionale della farmacia, passando da un semplice luogo di dispensazione di farmaci a un centro polifunzionale di salute, in cui vengono offerti una serie di servizi aggiuntivi ai cittadini. Questo modello è stato promosso in Italia per migliorare l’accesso alle cure e alleggerire la pressione sui servizi sanitari tradizionali, come ospedali e ambulatori. Segui la pagina sui social e rimani aggiornato Normativa e contesto della Farmacia dei Servizi La Farmacia dei Servizi è regolamentata da diverse disposizioni normative, tra cui: • Decreto Legislativo 153/2009 , che istituisce formalmente la Farmacia dei Servizi. • Decreto Ministeriale 16 dicembre 2010 , che definisce i nuovi servizi erogabili dalle farmacie. • Leggi regionali  e accordi con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che possono variare l’attuazione dei servizi sul territorio. Segui la pagina sui social e rimani aggiornato Nuovi servizi erogabili dalla farmacia Tra i servizi previsti dal modello della Farmacia dei Servizi, vi sono: 1. Prestazioni di primo livello : • Misurazione della pressione arteriosa. • Monitoraggio di parametri come glicemia, colesterolo e trigliceridi (servizi collegati alle analisi del sangue ). • Misurazione della saturazione dell’ossigeno. • Test per il monitoraggio del rischio cardiovascolare o del diabete. 2. Screening e prevenzione : • Test rapidi per malattie infettive (come COVID-19, influenza, HIV, epatite). • Screening oncologici (ad esempio per il tumore al colon-retto o al seno). 3. Servizi avanzati : • Somministrazione di vaccini (ad esempio antinfluenzali e anti-COVID-19). • Servizi di telemedicina, come elettrocardiogramma (ECG) e holter cardiaco/pressorio, con refertazione da parte di un medico specialista. • Educazione sanitaria, come supporto per la cessazione dal fumo. 4. Servizi di assistenza integrata : • Supporto ai pazienti cronici, con monitoraggio dei piani terapeutici. • Prenotazione di visite mediche e specialistiche attraverso il CUP (Centro Unico di Prenotazione). Analisi del sangue in farmacia Le analisi del sangue  rappresentano un ambito particolarmente interessante per la Farmacia, soprattutto per la loro utilità nel monitoraggio e nella prevenzione. Tuttavia, è importante distinguere tra: 1. Misurazioni di parametri ematici rapidi : • Si tratta di auto analisi eseguibili direttamente in farmacia grazie a dispositivi Point of Care Testing (POCT), come: • Glicemia. • Colesterolo totale e HDL/LDL. • Trigliceridi. • INR (per monitorare la coagulazione del sangue). • Questi test sono semplici, immediati e non richiedono un laboratorio di analisi. • Sono permessi in base alla normativa vigente, purché il farmacista sia formato adeguatamente. 2. Prelievo ematico per analisi di laboratorio • Alcune farmacie possono offrire il servizio di prelievo del sangue  per analisi più approfondite, grazie alla collaborazione con laboratori accreditati, costituendo un punto prelievo dello stesso, a sua volta autorizzato Asl. • Questo servizio richiede personale sanitario qualificato (ad esempio infermieri ) e il rispetto delle normative locali per l’esecuzione di prelievi in ambiente diverso da un laboratorio. Non è sufficiente la presenza dell'infermiere per le analisi in quanto il locale della farmacia dovrà essere un punto prelievo autorizzato sempre riferito ad un laboratorio analisi accreditato, non si tratta quindi di un servizio della farmacia dei servizi, né di attività riservate del farmacista. • La Farmacia quindi fornirebbe supporto logistico del punto prelievi autorizzato, quale sede secondaria del laboratorio analisi a sua volta autorizzato (iter per ciascuna regione si veda a titolo esemplificativo nel Lazio il DCA 00008 del 10.02.2001 allegato C e seguenti) Requisiti normativi e autorizzativi Per offrire servizi come le analisi del sangue, la farmacia deve rispettare precise norme da richiedere alle rispettive Regioni, alle ASL previa informativa dell’Ordine e quindi: • Disporre di locali adeguati, separati dagli spazi principali di vendita e conformi alle normative igienico-sanitarie. • Garantire la presenza di personale sanitario formato e abilitato per i prelievi (quando previsti). • Utilizzare dispositivi certificati e conformi ai requisiti di sicurezza (ad esempio per i test rapidi). • autorizzazione specifica del punto di prelievo. Le regioni italiane possono regolamentare in modo diverso questi servizi, per cui è fondamentale verificare le disposizioni specifiche nel territorio in cui si opera. Vantaggi del servizio di analisi in farmacia • Accessibilità : I cittadini possono accedere a servizi di monitoraggio senza dover prenotare visite in ospedale o presso ambulatori. • Prevenzione : Le farmacie diventano punti centrali per promuovere campagne di prevenzione e diagnosi precoce. • Riduzione della pressione sul SSN : Alleggerisce il carico su strutture pubbliche, migliorando la gestione delle risorse sanitarie. La farmacia dei servizi e le analisi in farmacia La possibilità di effettuare analisi del sangue in farmacia dipende dal tipo di analisi e dalla normativa regionale, che regola i servizi offerti dalla Farmacia dei Servizi . Ecco una panoramica su quando e come ciò è possibile: 1. Test rapidi su parametri ematici (Point of Care Testing - POCT) Le farmacie possono eseguire test rapidi  di auto controllo non invasisi su piccoli campioni di sangue capillare (ottenuto tramite auto puntura del dito), utilizzando dispositivi certificati come glucometri o strumenti di analisi portatili. I parametri comunemente misurati includono: • Glicemia  (livello di zucchero nel sangue). • Colesterolo totale, HDL e LDL . • Trigliceridi . • INR  (tempo di coagulazione per chi assume anticoagulanti). • Emoglobina glicata  (monitoraggio del diabete). Requisiti per questi test: • Non necessitano di personale sanitario qualificato per il prelievo (il farmacista, se formato, può eseguirli). • Devono essere effettuati in locali separati e conformi alle norme igienico-sanitarie. • I dispositivi utilizzati devono essere certificati come dispositivi medici CE. 2. Prelievo ematico per analisi di laboratorio Alcune farmacie offrono il servizio di prelievo venoso per inviare i campioni a laboratori accreditati. Questo tipo di analisi è più approfondito e richiede: • Personale sanitario qualificato : Il prelievo deve essere eseguito da infermieri o medici abilitati. • Collaborazione con un laboratorio di analisi : La farmacia funge da punto di raccolta e intermediazione, inviando i campioni al laboratorio. • Autorizzazione sanitaria specifica del punto di prelievo. (L’iter è quello del laboratorio analisi) Quando è possibile offrire questo servizio: • Solo in presenza di accordi regionali o locali con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) o laboratori privati. • È necessario rispettare requisiti strutturali, igienici e operativi definiti dalla normativa regionale. 3. Normativa di riferimento • Decreto Legislativo 153/2009 : Istituisce la Farmacia dei Servizi e definisce la possibilità di eseguire test diagnostici di primo livello. • Decreto Ministeriale 16 dicembre 2010 : Regola i requisiti tecnici e strutturali per le farmacie che vogliono offrire servizi di diagnostica. • Normative regionali : Ogni regione regolamenta in modo autonomo l’iter da seguire per l’autorizzazione dei laboratori di analisi e dei punti di prelievo. 4. Limitazioni • Le farmacie non possono sostituirsi ai laboratori di analisi : i test effettuati in farmacia devono essere complementari al sistema sanitario tradizionale e limitati alla auto diagnosi. • Le farmacie non possono eseguire analisi che richiedono processi complessi nè prelievi venosi. • Il farmacista non può emettere diagnosi, ma può fornire un referto tecnico o indirizzare il paziente al medico. Vantaggi per il paziente Maggiore accessibilità ai test di base. Riduzione dei tempi di attesa rispetto agli ambulatori tradizionali. Possibilità di monitorare regolarmente la propria salute in un contesto familiare. Studio Legale Angelini Lucarelli Avv Aldo Lucarelli Non costituisce consulenza

  • Mantenimento figli e proporzionalità tra ex

    Mantenimento dei figli e criterio di proporzionalità tra ex coniugi il punto della Cassazione 25534/2025 Leggi gli articoli in diritto di famiglia Com'è noto, ai fini della determinazione della misura del contributo al mantenimento, sia esso destinato ai figli minori di età o ai figli maggiorenni ma non ancora dipendenti economicamente, deve guardarsi al disposto dell'art. 337 ter, comma 4, c.c. che, introdotto dall'art. 55 D.Lgs. n. 154 del 2013, riproduce quanto già stabilito all'art. 155, comma 4, c.c. a seguito delle modifiche apportate dall'art. 1 L. n. 54 del 2006 (così Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 2020 del 28/01/2021 e Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 19299 del 16/09/2020). La norma prevede, in particolare, che "Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore." Si deve, a questo proposito, considerare che l'obbligo di mantenimento dei figli ha due dimensioni. Da una parte vi è il rapporto tra genitori e figlio e da un'altra vi è il rapporto tra genitori obbligati. Il principio di uguaglianza che accumuna i figli di genitori coniugati ai figli di genitori separati o divorziati, come pure a quelli nati da persone non unite in matrimonio (che continuano a vivere insieme o che hanno cessato la convivenza), impone di considerare che tutti i figli hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni (art. 315 bis, comma 1, c.c.). Segui la pagina È per questo che l'art. 337 ter c.c., nel disciplinare la misura del contributo al mantenimento del figlio, nel corso dei giudizi disciplinati dall'art. 337 bis c.c., pone subito, come parametri da tenere in considerazione, le attuali esigenze dei figli e il tenore di vita goduto da questi ultimi durante la convivenza con entrambi i genitori (art. 337 ter, comma 4, nn. 1 e 2, c.c.). I diritti dei figli di genitori che non vivono insieme, infatti, non possono essere diversi da quelli dei figli di genitori ancora conviventi, né i genitori possono imporre delle privazioni ai figli per il solo fatto che abbiano deciso di non vivere insieme. Nei rapporti interni tra genitori vige, poi, il principio di proporzionalità rispetto al reddito di ciascuno. In generale, l'art. 316 bis, comma 1, c.c. prevede che i genitori (anche quelli non sposati) devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Lo stesso criterio di proporzionalità deve essere seguito dal giudice, quando, finita la comunione di vita tra i genitori (siano essi sposati oppure no) è chiamato a determinare la misura del contributo al mantenimento da porre a carico di uno di essi, dovendo considerare le risorse economiche di ciascuno (art. 337 ter, comma 4, n. 4, c.c.), valutando anche i tempi di permanenza del figlio presso l'uno o l'altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno (art. 337 ter, comma 4, nn. 3 e 5, c.c.), quali modalità di adempimento in via diretta dell'obbligo di mantenimento che, pertanto, incidono sulla necessità e sull'entità del contributo al mantenimento in termini monetari. Studio Legale Angelini Lucarelli

  • La proroga della Farmacia come servizio può essere imposta?

    Ci viene chiesto se è possibile che un ente, come il Comune o Regione possa prorogare un servizio affidato ad un vincitore di concessione della farmacia comunale in una gara, anche senza il consenso del privato che svolge il servizio e con particolare riguardo alle modalità. Il privato che svolge il servizio è obbligato a proseguire in caso di proroga unilaterale alle stese condizioni? A tal domanda possiamo rispondere affermando che È illegittimo il provvedimento della Regione che imponga, in via unilaterale, la proroga dell’affidamento di un servizio pubblico , in quanto  presuppone comunque necessariamente il consenso del privato, affidatario del servizio e destinatario della proroga stessa, non potendo tale norma essere interpretata nel senso di consentire all’amministrazione di imporre, in via unilaterale, una proroga al contratto contro la volontà dell’affidatario. Ed inoltre in tema di danno e responsabilità ed ultra vigenza dell'affidamento: Ha natura di danno ingiusto e deve essere risarcito il pregiudizio patrimoniale subito dall’affidatario di un servizio pubblico che abbia continuato a svolgere il servizio alle medesime condizioni economiche nelle more dell’individuazione del nuovo affidatario anche oltre lo svolgimento di una prima procedura andata deserta, in quanto, anche in presenza di una clausola contrattuale che ciò preveda, essa deve essere interpretata secondo buona fede ex art. 1366 c.c., con la conseguenza che la ultra-vigenza del corrispettivo può estendersi temporalmente fino all’espletamento della prima gara, ma non anche per tutto il successivo periodo di tempo necessario per l’espletamento di ulteriori gare, qualora la prima gara sia andata deserta . (Corte Giustizia Amministrativa 527/2024). Nel caso richiesto dal nostro lettore quindi non sembra possibile una proroga della concessione della farmacia comunale imposta per mancanza di partecipanti da parte di un Comune, la concessione infatti dovrà essere oggetto di nuova gara, e la proroga sarà legittimità solo per il tempo necessario ad espletare la nuova gara per l'affidamento. La proroga infatti è un termine usato per differire una scadenza e richiede solitamente il consenso di entrambe le parti in gioco, sebbene nel mondo amministrativo la proroga è "concessa" dalla pubblica amministrazione che è la titolare del potere esercitato, (apertura/decentramento farmacia) ed ha quindi un contenuto discrezionale nella concessione ove chiesta, ma non può essere imposta. La proroga della Farmacia come servizio può essere imposta? Leggi pure: La proroga del termine di apertura della farmacia è perentoria Può un Farmacia o un terzo impugnare la proroga concessa dal Comune all'apertura di una sede farmaceutica? La proroga concessa dalla Regione per l'apertura delle sede da concorso è un diritto del farmacista che ha vinto il concorso? Nel presente post affrontiamo il tema della "proroga" all'apertura di una farmacia, termine molto in voga da quando a seguito dei vari concorsi (straordinari o ordinari) le Regioni concedono il termine solitamente di 180 giorni per l'apertura della sede. Ma la proroga del termine all'apertura è un diritto del farmacista? I requisiti raccolti dalla pratica quotidiana, per richiedere una proroga sono sicuramente da rintracciare nell'obbligo di motivazione . Non sono ammesse infatti proroghe in bianche non sorrette da adeguata motivazione. Ricordiamo infatti che il termine di apertura è perentorio  quindi l'amministrazione pubblica necessita di una motivazione per sorreggere la proroga che rimane un atto amministrativo. Oltre alla motivazione sarà necessario avere delle cause documentabili, come ad esempio vicende urbanistiche  o cantieristiche, e comunque sempre nel rispetto del termine previsto, ovvero prima della scadenza del termine all'apertura. Questo aspetto è determinante perché una richiesta pervenuta fuori termine si trasforma in richiesta di nuovo termine e non in una proroga. La proroga in ogni caso è rimessa alla discrezionalità amministrativa  e quindi non si può ritenere un diritto del farmacista, che rimane sempre obbligato al termine iniziale previsto nel bando o nella determina di assegnazione. E cosa dire di una procedura selettiva di decentramento della farmacia? E' possibile per un confinante opporsi alla proroga della procedura? No,  il caso è stato affrontato dalla recente sentenza del Tar Napoli n. 6757/2025 secondo cui in carenza di presentazione della domanda di partecipazione all’avviso pubblico da parte dei soggetti ricorrenti, l’impugnazione del provvedimento di concessione (d’uso a titolo oneroso) sia inammissibile (richiamo del principio della sentenza T.A.R. Abruzzo - L'Aquila, sez. I, 18/10/2010, n. 702). Infatti, da un lato i ricorrenti non possono dolersi dei vizi (riguardanti la motivazione del provvedimento, lo svolgersi del procedimento e il rispetto della normativa urbanistica) interni ad una procedura alla quale non hanno partecipato; dall’altro essi non possono censurare gli effetti derivanti da una concorrenza asseritamente iniqua e, più a monte, da un avviso pubblico che ne poneva le basi, non avendo impugnato quest’ultimo, né nel presente giudizio né tantomeno entro i termini di legge. Quindi se la proroga da una parte non è un diritto di chi la ottiene, dall'altro è un provvedimento che non può essere impugnato da chi non fa parte del rapporto con la pubblica amministrazione Precisa il Tar Napoli: "La parte ricorrente lamenta che tali proroghe sarebbero incompatibili con la necessità di garantire celermente lo svolgimento del servizio farmaceutico in una zona di forte incremento demografico. Ritiene tuttavia il Collegio che i ricorrenti debbano considerarsi, in primo luogo, privi della legittimazione a ricorrere avverso i provvedimenti di proroga, perché essi non sono portatori dell’interesse pubblico all’efficiente funzionamento del servizio farmaceutico, potendo piuttosto far valere in giudizio solo i propri interessi privati." Si condivide infatti il consolidato orientamento secondo cui « Nel caso in cui il ricorrente non ha dato sufficiente prova della sua legittimazione ad agire dopo l'eccezione sollevata dal resistente, il ricorso proposto è inammissibile » (Cons. Stato, sez. IV, n. 462/1990). In secondo luogo, in base a quanto ritenuto da un condivisibile indirizzo ermeneutico, il provvedimento regionale con cui è stata concessa la proroga dei termini per l’apertura di una sede farmaceutica non incide sull’interesse personale delle farmacie ricorrenti (tanto più qualora queste non abbiano partecipato alla proceduta selettiva per il decentramento), poiché « L’interesse a ricorrere deve essere (…) attuale e concreto, caratteri entrambi evidentemente assenti nella specie, essendo la proroga un atto neutro che non determina alcuna lesione in capo a soggetti contrapposti a quelli che ne sono destinatari » (T.A.R. Puglia – Bari, n. 966/2022). Diverso invece il caso della proroga della concessione della farmacia comunale di cui ci siamo occupati in altro post. (Clicca qui). Leggi pure: Farmacia Comunale tra appalto di servizi e concessione Seguici sulla pagina social Hai un tema da affrontare? Contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Il silenzio assenso nella Valutazione di Impatto Ambientale

    Il silenzio assenso orizzontale  è un meccanismo del diritto amministrativo introdotto dall'articolo 17-bis della legge n. 241/1990. Si applica specificamente ai rapporti tra diverse amministrazioni pubbliche  o tra pubbliche amministrazioni e gestori di servizi pubblici. In sostanza, questo istituto, ed in particolare il meccanismo previsto dai commi 2 e 3 stabilisce che, se un'amministrazione deve acquisire pareri, assensi o nulla osta da altre amministrazioni per concludere un procedimento, e queste ultime non rispondono entro un termine stabilito, il loro silenzio viene interpretato come assenso favorevole . Si definisce "silenzio orizzontale" poichè si differenzia dal silenzio assenso "verticale", che si applica invece ai rapporti tra il privato cittadino e la pubblica amministrazione. Le sue caratteristiche principali riguardano: Rapporto tra più Amministrazioni : Riguarda esclusivamente le comunicazioni tra enti pubblici. Non si applica all'istanza del privato, che rimane soggetta alle regole del silenzio assenso ordinario (se applicabile), si pensi al caso di Comune/Provincia, Comune/Anas, Comune/Regione Lo scopo è quello di ottenere una semplificazione e la celerità del procedimento : Nasce con l'obiettivo di snellire i procedimenti amministrativi complessi, evitando che l'inerzia di un'amministrazione blocchi l'intero iter. Riguarda pareri vincolanti : Si applica ai pareri che sono vincolanti  per l'amministrazione procedente, ovvero quelli senza i quali il procedimento non può essere concluso. Prevede, come per altri istituti della legge 241/90 termini precisi : Il silenzio assenso orizzontale si forma decorso il termine di 90 giorni  dalla richiesta di parere, a meno che non siano previsti termini diversi da specifiche normative. Il silenzio nella procedura di Via Un caso è l'autorizzazione paesaggistica ma esistono altri e numerosi casi, come per l'installazione di cartelli pubblicitari etc, e si è molto discusso ma poi chiarito di recente dalla giurisprudenza è l'applicazione del silenzio assenso orizzontale al parere della Soprintendenza  in un procedimento di autorizzazione paesaggistica. Sennonché il Tar Roma con la sentenza 12331 2025 ha statuito che in tema di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) vi è l'esclusione del silenzio-assenso orizzontale su atto di concerto del Ministero della cultura precisa il Tribunale Amministrativo romano: Al concerto del Ministero della cultura previsto dalla disciplina in materia di VIA di cui all'articolo 25 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell'ambiente) non è applicabile il silenzio - assenso orizzontale di cui all’art. 17-bis della legge 8 agosto 1990, n. 241, trattandosi di procedimento in cui le disposizioni del diritto dell'Unione europea richiedono l'adozione di provvedimenti espressi. (Tar Roma 2024, n. 19686 ). Leggi pure: "Diritto Ambientale chi inquina paga" In motivazione il Tar Roma (di cui esiste però corrente difforme si veda Tar Puglia n. 500/2024) ha precisato che dal tenore della direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, si ricava che il procedimento di VIA postula l’esigenza di una valutazione appropriata da trasfondere in una decisione motivata  - che espressamente contempli gli effetti del progetto sul patrimonio culturale e sul paesaggio – di cui devono essere prontamente informati il pubblico e le autorità interessate dal progetto. Leggi il blog e rimani aggiornato, se hai un caso da sottoporci contattaci senza impegno Tale circostanza osta, ai sensi dell’art. 17-bis, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, a che sugli atti che intervengono nella fase decisoria del procedimento, quale il concerto del Ministero della cultura, possa applicarsi il silenzio-assenso orizzontale. Studio Legale Angelini Lucarelli Diritto Amministrativo ed Ambientale Avv. Aldo Lucarelli

  • L'assegno divorzile e l'assegno di mantenimento nel diritto di famiglia

    Assegno divorzile ed Assegno di mantenimento quali differenze? Secondo il diritto vivente elaborato nella disciplina del matrimonio, assegno divorzile e assegno di mantenimento sono due istituti diversi. Il secondo, che presuppone il perdurare del vincolo matrimoniale pur nella condizione separativa, è fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale e morale, ed è correlato al tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio di cui tendenzialmente deve garantire la conservazione, anche se non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell'ordinaria diligenza, il richiedente sia effettivamente in grado di procurarsi da solo (Cass. n. 234/2025). Segui il blog L’assegno di divorzio, invece, presuppone lo scioglimento del vincolo e che gli ex coniugi intraprendano una vita autonoma, per cui residua solo un vincolo di solidarietà post-coniugale, con più forte rilevanza della autoresponsabilità, che a seguito del divorzio diventa individuale, sicché entrambi sono tenuti a procurarsi i mezzi che permettano a ciascuno di vivere in autonomia e con dignità. Segui il blog in diritto di famiglia e trova il tuo caso altrimenti contattaci per assistenza specifica La funzione assistenziale dell’assegno di divorzio è quindi diversa da quella dell’assegno di separazione e non risponde alla esigenza di perequare, sempre ed in ogni caso, la disparità economica tra le parti; diversamente si farebbe riemerge il criterio del diritto a mantenere il medesimo tenore di vita proprio della convivenza matrimoniale -in questo caso dell’unione civile- ormai abbandonato dalla giurisprudenza di questa Corte, mentre, come peraltro chiaramente esplicitato anche dalla citata sentenza a sezioni unite n. 35969/2023, «va ribadito il carattere intrinsecamente relativo del parametro della inadeguatezza». In tema di assegno divorzile, di esigenza assistenziale può parlarsi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, quando l’ex coniuge sia privo di risorse economiche bastanti a soddisfare le normali esigenze di vita, sì da vivere autonomamente e dignitosamente, e non possa in concreto procurarsele, con la conseguenza che non può affrontare autonomamente, malgrado il ragionevole sforzo che gli si può richiedere in virtù del principio di autoresponsabilità, il percorso di vita successivo al divorzio. La sola funzione assistenziale può giustificare l’assegno divorzile, ma in tal caso l’assegno resta parametrato tendenzialmente ai criteri di cui all’art. 438 c.c. (Cass. 19306/2023); diversamente, ove ricorra anche la funzione perequativa compensativa, se lo squilibrio economico sia conseguenza delle scelte fatte nella vita matrimoniale, esso va parametrato al contributo che il richiedente dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale . Cass. 25495/2025 Sempre aggiornati sulle ultime tendenze giurisprudenziali Studio Legale Angelini Lucarelli Diritto di Famiglia

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gli articoli del blog non costituiscono consulenza sono casi di scuola ad uso studio di carattere generale e non prescindono dalla necessità di un parere specifico su caso concreto.

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