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Amministratori di Società, quando il socio può richiedere i danni ex art. 2395 cc?


Affrontiamo un tema molto spesso discusso ma non perfettamente delineato, ovvero quello relativo


all'azione diretta del singolo socio nei confronti dell'amministratore per i danni da questo subiti.

Ma quali danni?


Si potrà parlare di danni solo ove questi siano "autonomi" e direttamente configurabili in capo al singolo socio, non invece quando tali danni siano "compresi" in quelli alla società.

Ed infatti la normativa di riferimento contenuta nell'art. 2395 c.c. espressamente prevede che



E sul tema la giurisprudenza della Cassazione è pacifica nel ritenere che


in tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art. 2395 cod. civ., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore,
solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, dovendosi proporre, altrimenti, l’azione, contrattuale, di cui all’art. 2394 cod. civ., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell’art. 146 della legge fall. (Cass. 8458/ 2014; Cass. 2157/2016).

La regola costituisce specificazione del principio per cui i soci di una società di capitali non hanno titolo al risarcimento dei danni che costituiscano mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alla società, in quanto siano una mera porzione di quello stesso danno subito dalla (e risarcibile in favore della) stessa, con conseguente reintegrazione indiretta a favore del socio. (Cass. 27733/2013).



Ecco quindi che l’azione individuale prevederebbe che la lesione di un diritto soggettivo patrimoniale del socio o del terzo che non sia conseguenza del depauperamento del patrimonio della società.





Ciò nel senso che delle condotte che arrecano danno alla società è quest’ultima (o la sua curatela) a doversi dolere, e che la reintegrazione della società nel valore perduto è conseguentemente reintegrazione del socio, per la sua parte.


Come danno di natura extracontrattuale quindi l'azione risarcitoria prevista per il singolo socio dovrà avere una allegazione probatoria completa sia del danno patito che del nesso causale tra la condotta dell'amministratore e la conseguenza patita, come conseguenza immediata e diretta, secondo il principio del "piu' probabile che non", si pensi alle inesatte e forvianti inforamzioni fornite in sede di acquisto di azioni e/o quote contenute nel bilancio e negli allegati.




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