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Le incompatibilità dei farmacisti in chiave evolutiva

Perché le incompatibilità previste dall'art. 8 della legge 362 del 1991 sono ancora così attuali anche dopo l'apertura del mondo della farmacia e dei farmacisti al sistema imprenditoriale societario?

Dal punto di vista ella coerenza complessiva del sistema, del resto, deve escludersi che la portata delle novità normative di cui si è fatta latrice la l. n. 124/2017 sia tale da determinare la vanificazione della ratio cui l’art. 8, comma 1, lett. b) l. n. 362/1991 era (ed è, come si vedrà) funzionale.


Al fine di chiarire le ragioni di tale conclusione, è d’uopo premettere qualche cenno sull’evoluzione legislativa registratasi in materia.


La disposizione in tema di incompatibilità di cui si tratta è stata introdotta contestualmente alla previsione della possibile titolarità dell’esercizio della farmacia privata in capo a società (in origine solo di persone) (art. 7, comma 1, l. cit.).


All’epoca in cui fu prevista tale possibilità, la gestione della farmacia da parte della società titolare del relativo esercizio doveva rispondere ai medesimi principi di personalità e professionalità che governavano la gestione e la titolarità individuale, essendo prescritto che solo i farmacisti iscritti all’albo potessero essere soci della società titolare dell’esercizio farmaceutico (art. 7, comma 2, l. n. 361/1992) e che la direzione della farmacia gestita dalla società fosse affidata ad uno dei soci che ne era responsabile (art. 7, comma 3, l. cit.).

Era inoltre previsto che ciascuna società (di persone, come si è detto) potesse essere titolare dell’esercizio di una sola farmacia (art. 7, comma 5, l. cit.) e che ciascun farmacista potesse partecipare ad una sola società titolare dell’esercizio di farmacia (art. 7, comma 6, l. cit.).



Le incompatibilità dei farmacisti in chiave evolutiva

Le incompatibilità dei farmacisti in chiave evolutiva


In tale contesto normativo, si spiega che il legislatore abbia nel contempo introdotto i necessari contemperamenti tra il nuovo spazio di libertà organizzativa concessa ai farmacisti – non più legati ad una gestione strettamente individuale e monocratica della farmacia, essendo data ad essi la possibilità di associarsi ai fini di una più efficiente e sostenibile gestione collettiva – e l’esigenza che tale possibilità non incidesse sul corretto – dal punto di vista essenzialmente della tutela dell’interesse dei fruitori – esercizio del servizio farmaceutico.


In un quadro normativo in cui la società di farmacisti, al pari del farmacista-persona fisica (ex art. 112, comma 2, T.U.LL.SS.), poteva essere titolare di una sola farmacia, e la stessa gestione societaria era fortemente caratterizzata in chiave personalistica, era invero del tutto plausibile, sul piano della coerenza complessiva del sistema, che il legislatore si prefiggesse di evitare commistioni tra gestioni individuali e societarie in capo allo stesso farmacista, le quali, dietro lo schermo della diversa soggettività (sebbene non personalità, trattandosi di società di persone) giuridica tra soci e società, avrebbero dato luogo ad un sostanziale cumulo di distinti esercizi farmaceutici in capo al medesimo professionista, facendogli dismettere la veste professionale, caratterizzante la figura ed orientata alla tutela primaria dell’interesse alla salute degli utenti, per assumere quella propriamente imprenditoriale, ispirata al perseguimento del lucro.


Le incompatibilità dei farmacisti in chiave evolutiva


Inoltre, il diretto coinvolgimento gestionale del socio, tipico della struttura organizzativa della società di persone (all’epoca unico schema, come si è detto, per attuare la gestione collettiva della farmacia), giustificava la preclusione, posta dalla suindicata norma in tema di incompatibilità, alla contestuale partecipazione a diversi esercizi farmaceutici, in un caso nella veste individuale e in un altro in quella societaria, onde evitare la perdita di “efficacia” nella gestione che la suddivisione delle energie del farmacista tra più sedi farmaceutiche avrebbe determinato.


Non trascurabile altresì, quale obiettivo del legislatore del tempo, quello di prevenire situazioni di conflitto di interesse conseguenti alla titolarità, diretta o indiretta, di più esercizi farmaceutici in capo allo stesso farmacista, il quale avrebbe potuto essere indotto ad assumere decisioni gestionali ispirate da interessi alieni rispetto a quello del più efficace e corretto svolgimento del servizio farmaceutico.


Da questo punto di vista, invero,


la normativa palesa la concezione dell’attività farmaceutica che aveva il legislatore del tempo, secondo la quale ciascun esercizio farmaceutico doveva essere considerato come una entità a sé stante,


Il descritto assetto normativo subiva una prima revisione ad opera del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, per effetto del quale, così come modificato ed integrato dalla legge di conversione del 4 agosto 2006, n. 248, veniva in primo luogo ampliato (fino a 4 farmacie, ex art. 7, comma 4-bis, l. n. 362/1991) il previgente limite numerico alla titolarità delle farmacie da parte delle società (di persone o anche delle società cooperative a responsabilità limitata) che avessero ad oggetto esclusivo la gestione di una farmacia, la partecipazione alle quali restava comunque riservata ai farmacisti iscritti all’albo, mentre veniva del tutto rimosso il limite numerico alla partecipazione di ciascun farmacista a società titolari di farmacia.


Invero, la possibilità per la società di farmacisti di essere titolare di più di un esercizio farmaceutico attiene al piano meramente patrimoniale e gestionale dell’”azienda” farmacia, ferma restando la connotazione personale e professionale della relativa direzione,

la quale continuava, ai sensi dell’art. 7, comma 3, ad essere “affidata ad uno dei soci che ne è responsabile” e garantiva l’indipendenza del servizio, nel suo concreto svolgimento a favore degli utenti, da criteri di carattere meramente speculativo-imprenditoriale.


Allo stesso modo, la possibilità per il farmacista di partecipare a più di una società titolare di farmacia concorreva alla emersione, sul piano ordinamentale, di una nuova figura di “farmacista-imprenditore”,

in quanto interessato più alla gestione (imprenditoriale, appunto) del servizio farmaceutico, avvalendosi dello schema societario, che alla sua concreta erogazione a favore degli utenti, senza intaccare l’esigenza di conservare apposite garanzie – come appunto l’incompatibilità di cui all’art. 8, comma 1, lett. b) l. n. 362/1991 –


a tutela del “farmacista-professionista del farmaco” e custode principale dell’interesse degli utenti del servizio.

Deve anzi ritenersi che l’ampliamento delle possibilità di ricorso al modulo societario ai fini della titolarità e della gestione delle farmacie, derivante dalla novella legislativa poc’anzi menzionata, rafforzasse la ratio sottesa alla suddetta previsione di incompatibilità, in quanto, contribuendo


a delineare più nettamente la distinzione tra le due figure di farmacista (quella del “farmacista-imprenditore” e quella del “farmacista-professionista”),

imponeva l’esercizio di una opzione di base a chi intendesse operare nel settore farmaceutico, la quale trovava appunto espressione (e sanzione) nella disposizione innanzi citata in tema di incompatibilità. CdS 6137/22



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