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Società, la "testa di legno" non risponde dei reati dell'amministratore di fatto..?

Come osservato  la giurisprudenza di legittimità ha sempre sostenuto, seppur con le debite differenze nelle varie tipologie di reati economici e tributari, che l'amministratore di diritto risponde unitamente all'amministratore di fatto per non avere impedito l'evento che aveva l'obbligo di impedire, essendo sufficiente,


sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza che l'amministratore effettivo ponga in essere condotte illecite, consapevolezza che, tuttavia, non può dedursi dal solo fatto che il soggetto abbia accettato di ricoprire formalmente la carica di amministratore,

essendo necessari "segnali di allarme" dai quali desumere l'accettazione del rischio -


secondo i criteri propri del dolo eventuale - del verificarsi dell'evento illecito e, dall'altro, della volontà - nella forma del dolo indiretto - di non attivarsi per scongiurare detto  evento.



In sintesi si è sempre sostenuta l'estensione all'amministrazione di diritto delle responsabilità degli atti commessi nella gestione sociale da parte dell'amministratore di fatto, reale dominus della società.


Amministratore testa di legno e responsabilita


Tale principio però sembra vacillare dalla Giurisprudenza della Cassazione di dicembre 2022, per quelle attività non tipiche che vengono poste in essere dall'amministratore di fatto come nel caso della commissione di reati riferiti alla gestione ma scollegati con i doveri dell'amministratore.



La stessa giurisprudenza ha precisato che, allorchè si tratti di soggetto che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, la sola

consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico) o l'accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale) possono risultare sufficienti per l'affermazione della responsabilità penale.(Sez. 5n. 7332 del 07/01/2015 Ud. (dep. 18/02/2015 ) Rv. 262767 ).



Tuttavia questi principi trovano applicazione nell'ipotesi di violazione dei doveri propri dell'amministratore e cioè la vigilanza in ordine ai criteri di gestione e di economicità


dell'impresa e sul regolare assolvimento degli obblighi di contabilità. Tali obblighi giuridici permettono l'applicazione della clausola di cui all'articolo 40 capoverso codice penale,


ma non consentono l'estensione di responsabilità dell'amministratore di diritto anche a tutti gli altri reati consumati all'interno di compagini sociali o mediante le stesse ,


proprio per l'assenza di un obbligo giuridico ricavabile da uno specifico riferimento normativo in tal senso.


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In sostanza le considerazioni formulate dalla giurisprudenza di legittimità e riferite ad ipotesi di reati tributari, per i quali incombe sull'amministratore di diritto l'onere della regolare tenuta delle scritture e del pagamento delle imposte, non possono essere automaticamente estese alla posizione dell'amministratore di diritto, a fronte di condotte  di riciclaggio e autoriciclaggio compiute dei gestori di fatto delle società .


Riciclaggio ed Auto riciclaggio nelle Società


La responsabilità a titolo di concorso dell'amministratore di diritto non può derivare esclusivamente dalla assunzione della carica, poiché le condotte di sostituzione dei proventi illeciti punite dalla fattispecie di riciclaggio e autoriciclaggio costituiscono un quid pluris rispetto alle semplici


attività di evasione fiscale e richiedono la prova sotto il profilo soggettivo di un concorso,


quantomeno morale, da parte dell'amministratore di diritto e cioè la coscienza e volontà

che la società verrà utilizzata anche per il compimento di tali attività, non bastando una generica consapevolezza della destinazione della struttura ad attività di elusione fiscale.



Quindi per trarre la conclusione, nell'attuale diritto societario nel caso in esame questa dimostrazione sembra mancare poiché gli indici di rischio che vengono evidenziati si riferiscono ad attività connesse alla costituzione della società e alla gestione ordinaria e non offrono alcuna dimostrazione della consapevolezza da parte dell'indagato, nella sua veste di amministratore di diritto, della peculiare finalità illecita delle società da lui rappresentate.


Quindi l'amministratore di diritto chiamato volgarmente testa di legno, non risponderebbe di quegli atti che esulano la gestione ordinaria della società a meno che non ci sia la prova concreta di una coscienza e volontà nella commissione degli stessi.


Cass. 16.12.22.



Avv Aldo Lucarelli

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