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Diritto ambientale, la responsabilità soggettiva dell'autore dell'inquinamento.

Nel lessico del diritto ambientale, si puo' prescindere dalla "colpa" per valutare l'illecito?
E' possibile ritenere che nell'ambito del diritto ambientale la responsabilità sia solo di carattere oggettivo?

No secondo la recente giurisprudenza andrà valutato anche il lato "soggettivo" dell'attività posta in essere in relazione alle condotte previste dal codice dell'ambiente.


Ed infatti prima di giungere ad una conclusione unica occorre cioè stabilire se il responsabile della violazione del divieto di abbandono di rifiuti, di cui all’art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006, possa essere individuato solo in chi abbia compiuto l’azione di deposito/spargimento dei rifiuti sul suolo prescindendo da ogni valutazione di colpevolezza, ovvero se si richieda anche l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, e quindi, nella fattispecie, la consapevolezza della natura di rifiuto del materiale depositato.


Ritiene la giurisprudenza dei TAR che l’applicazione del principio, di origine comunitaria (art. 174 del Trattato CE) ed ora espressamente menzionato dall’art. 3-ter del d.lgs. n. 152 del 2006, del “chi inquina paga”, imponga una ricostruzione in senso soggettivo della responsabilità dell’operatore per violazione del divieto di abbandono di rifiuti.



Tale particolare fattispecie costituisce infatti una forma di danno ambientale, a sua volta collocata in un sistema più generale di responsabilità ispirato a quella tradizionale aquiliana ex art. 2043 del codice civile (imperniata sulla clausola generale del «danno ingiusto» provocato da «qualunque fatto doloso o colposo»). 


Ebbene, sulla base di tale impianto, l’obbligo di adottare le misure riparatorie, sia urgenti che definitive, previste dal Codice dell’ambiente al fine di fronteggiare la situazione d’inquinamento, con l’eccezione delle misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma 1, lett. i), è sempre posto a carico di colui che vi ha dato causa con dolo o colpa (cfr. da ultimo, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 1° febbraio 2023, n. 3077; nonché T.A.R. Toscana, II sez., n. 2316 del 2010).


E’ anche vero che la direttiva europea sul danno ambientale n. 2004/35 prevede due regimi differenti di responsabilità in capo a chi eserciti attività professionali: uno, di natura oggettiva, che riguarda gli operatori che esercitino attività considerate in sé pericolose per l’ambiente; l’altro di natura soggettiva, che si applica agli operatori che svolgano attività professionali diverse da quest’ultime.


E il Codice dell’ambiente, è stato armonizzato recependo tale doppio regime di responsabilità. In particolare, all’art. 298 bis del Codice dell’ambiente si stabilisce che la disciplina della parte sesta del decreto legislativo (quella relativa alla tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente) si applica: “a) al danno ambientale causato da una delle attività professionali elencate nell'allegato 5 alla stessa parte sesta e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno derivante dalle suddette attività; b) al danno ambientale causato da un'attività diversa da quelle elencate nell'allegato 5 alla stessa parte sesta e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno derivante dalle suddette attività, in caso di comportamento doloso o colposo”.


A sua volta, l’art. 311, comma 2, primo periodo, prevede ora che: “Quando si verifica un danno ambientale cagionato dagli operatori le cui attività sono elencate nell'allegato 5 alla presente parte sesta, gli stessi sono obbligati all'adozione delle misure di riparazione di cui all'allegato 3 alla medesima parte sesta secondo i criteri ivi previsti, da effettuare entro il termine congruo di cui all'articolo 314, comma 2, del presente decreto. Ai medesimi obblighi è tenuto chiunque altro cagioni un danno ambientale con dolo o colpa”.


Ed invero, come si era sostenuto in giurisprudenza (Cons. St., A.P. n. 25 del 13 novembre 2013; Corte di Giustizia UE del 9 marzo 2010, Causa C-378/08), il punto di equilibrio fra i diversi interessi di rilevanza costituzionale alla tutela della salute, dell’ambiente e dell’iniziativa economica privata andrebbe ricercato in un criterio di “oggettiva responsabilità imprenditoriale”, in base al quale gli operatori economici che producono e ritraggono profitti attraverso l’esercizio di attività pericolose in quanto ex se inquinanti, sono perciò stesso tenuti a sostenere integralmente gli oneri inerenti alla riparazione dell’inquinamento causato da tali attività, senza che l’autorità competente sia tenuta a dimostrare l’esistenza di un comportamento doloso o colposo in capo agli stessi.


Volendo calare le suddette acquisizioni nell’ambito della responsabilità per abbandono o deposito incontrollato di rifiuti, vi si potrebbero enucleare, sulla base dei medesimi presupposti, alcune ipotesi di responsabilità oggettiva, ma secondo la recente giurisprudenza del TAR Toscana del 2023 si deve comunque valutare un regime di responsabilità di tipo soggettivo.



Si può dunque affermare con sicurezza che l’art. 192 citato presuppone, di norma, una responsabilità quantomeno a titolo di colpa sia per l’autore della condotta di deposito e abbandono di rifiuti, sia per il proprietario del terreno. Il comma 3 di tale articolo infatti dispone che “…chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa...”.

Peraltro, il fatto che il terzo comma dell’art. 192 richieda espressamente che la violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa solo con riferimento al proprietario o al titolare di diritti reali, non significa che per gli altri responsabili l’elemento soggettivo non sia richiesto, ma solo che per il proprietario che non ha commesso materialmente l’illecito, il nesso di responsabilità può essere di tipo meramente psicologico.


In conclusione l’art. 192 presuppone che chi deposita o sparga rifiuti sul suolo violando il relativo divieto, come normalmente accade nella maggioranza dei casi, sia consapevole dell’illiceità dell’azione commessa, e in particolare della natura di rifiuto della sostanza o dell’oggetto depositato o sparso.

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