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Quando la trasformazione dell'azienda può considerarsi in frode alla legge.

Sovente ci è stato chiesto se è possibile utilizzare gli schermi societari, oppure i meccanismi societari per arginare o meglio eludere i divieti imposti dalla normativa nazionale o meglio dal bando del #concorso #farmacie.

Si tratta di quei meccanismi astrattamente leciti, che però nelle propria configurazione complessiva raggiungono scopi che sarebbero #vietati dalla normativa.



Ci riferiamo a quelle prescrizioni imposte a tutela di particolari settori come quello della concorrenza o quello farmaceutico, ove ad esempio viene imposto il rispetto di un decennio dalla cessione della propria farmacia per poter partecipare al concorso farmacie, e cio' al fine di evitare quello che si chiama divieto del doppio vantaggio.



Esistono anche altri campi, come quello della concorrenza o ambiti soggetti a prescrizioni specifiche, come l'accordo tra debitore e creditore per arginare il divieto del patto commissorio mediante la vendita con patto di riscatto, oppure il mandato irrevocabile per mascherare ipotesi di cessione e via dicendo, come nel caso della trasformazione dell'azienda individuale in società e successiva donazione di quote al fine di arginare il divieto di cessione infrannuale della farmacia.


La figura giuridica che emerge nella fattispecie è quella del negozio in frode alla legge.


Si tratta del fenomeno caratterizzato da un comportamento astrattamente lecito diretto a conseguire un risultato analogo a quello vietato da una disposizione di legge inderogabile, la quale viene aggirata attraverso l'appropriata utilizzazione di schemi normativi tipici. Nel codice civile l'articolo 1344 prevede testualmente che la causa “si reputa altresì illecita” quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l'applicazione di una norma imperativa, con conseguente sanzione di invalidità nella forma più grave (la nullità).


In buona sostanza si assiste alla trasformazione di un modello legale tipico in uno strumento a fini illeciti, poiché il primo trascende la funzione che l'ordinamento espressamente gli assegna inserendosi in una fattispecie più vasta, secondo un'oculata combinazione di elementi: la funzione tipica del negozio subisce un'alterazione sostanziale grazie alla concreta articolazione del programma concordato dalle parti, e il risultato finale dell'operazione è proprio la predisposizione di uno schema causale allargato idoneo a realizzare lo scopo vietato (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I – 7/7/2010 n. 2454; si veda anche Corte di Cassazione, sez. I civile – 7/3/2014 n. 5407).






E così nel rapporto debitore / creditore il divieto di patto commissorio sancito dall'art. 2744 c.c. si estende a qualsiasi negozio, ancorché lecito e quale ne sia il contenuto, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall'ordinamento, dell'illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento di proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito; ove, pertanto, venga a mancare la funzione di scambio a parità di condizioni, tipica di ogni contratto di compravendita, costituente elemento indispensabile per la liceità del negozio, si ricade nella causa illecita, quindi sotto la sanzione della nullità, in quanto il negozio concluso costituisce il mezzo che permette di raggiungere il risultato vietato dalla legge. Cass. Civ. 1233/1997.


Ecco quindi che nell'analisi dell'operazione che viene posta in essere bisognerà valutare oltre alla liceità immediata dell'atto che si pone, anche il fine che si raggiunge, al fine di evitare di incorrere nella figura dell'atto in frode alla legge.


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