Responsabilità medica e giudizio sull’operazione non riuscita
- Avv Aldo Lucarelli
- 30 ott
- Tempo di lettura: 3 min
Il giudizio sull’operato dei medici deve avere come riferimento l’alternativa tra intervento invasivo oppure non invasivo in relazione ad una guarigione oppure in relazione al danno subito?
Quando si può dire che un’operazione che ha creato un danno è preferibile ad una operazione che non avrebbe guarito ugualmente ma non avrebbe creato alcun danno?
quale è il confine tra errore medico per non aver operato ed errore medico per aver affrontato una operazione che non ha portato miglioramenti?
A questo quesito risponde la Cassazione con una articolata sentenza che precisa come per valutare la responsabilità ed il danno del medico la scelta tra una operazione rischiosa ed una attività meno rischiosa va valutata non in relazione alla possibilità dí guarigione bensì in relazione al danno subito.
precisa la Cassazione 25825/2024
“l'errore di ragionamento controfattuale sta nel fatto che l'efficacia causale dell'antecedente, ossia la scelta del tipo di intervento da effettuare, se chirurgico o meno, non andava valutata rispetto all'evento guarigione, ma rispetto all'evento concretamente verificatosi di danno permanente subìto dal paziente.”
In altri termini, il giudizio controfattuale andava effettuato chiedendosi se l'intervento conservativo, in luogo di quello chirurgico, avrebbe evitato o meno i danni permanenti al paziente, piuttosto che chiedersi se l'intervento conservativo avrebbe sortito effetti benefici per l'interessato guarendolo dalla patologia.
Nell'accertamento del nesso causale, infatti, la condotta alternativa lecita va messa in relazione all'evento concretamente verificatosi, e di cui si duole il danneggiato, e non già rispetto ad un evento diverso: se il danno di cui ci si lamenta è costituito dalla paralisi permanente, l'indagine causale va effettuata ponendo in relazione questo danno con la condotta alternativa lecita, ossia chiedendosi se tale danno era evitabile sostituendo la condotta posta in essere con una condotta alternativa.

Non è quindi una comparazione sulla efficacia terapeutica bensì sulla conseguenza prodotte.
Invece, i giudici di appello, come si è detto prima, hanno effettuato l'indagine controfattuale considerando quale evento non già il danno subìto, ma l'inefficacia terapeutica del trattamento, e dunque un evento diverso, di cui il ricorrente non si duole. Non v'è dubbio che non guarire dalla lombosciatalgia è evento diverso dal subire la paralisi: ed occorreva chiedersi se, evitare l'intervento, avrebbe evitato la paralisi. L'evento che, per il ricorrente, ha costituito danno è, per l'appunto, la paralisi, non la mancata guarigione dalla lombosciatalgia, e dunque la questione causale è conseguente: stabilire se la condotta alternativa lecita avrebbe evitato quell'evento, non altro (la mancata guarigione dalla lombosciatalgia).
In altri termini, il ragionamento controfattuale, come svolto dai giudici di appello, può esprimersi nel modo seguente: "il trattamento conservativo non era necessariamente da preferire in quanto già in passato si era dimostrato inefficace", quando invece l'assunto del ricorrente era: "il trattamento conservativo era da preferire in quanto avrebbe evitato i danni permanenti, poco importando la sua efficacia curativa".
Il giudizio controfattuale consiste nella verifica della fondatezza di questa seconda proposizione linguistica, non della prima.
Come è evidente, l'efficacia causale della condotta alternativa lecita, ossia del trattamento conservativo, che era richiesto di accertare, non era quella di comportare la guarigione ma quella ben diversa di evitare il danno permanente.
Detto in termini semplici: il consiglio dato dagli altri medici di non fare l'intervento chirurgico, bensì trattamenti meno invasivi, non necessariamente era giustificato dalla maggiore efficienza di questi ultimi, ma ben poteva essere giustificato dalla minore rischiosità di essi, che è cosa ben diversa anche sul piano della individuazione dell'evento rispetto a cui effettuare il giudizio controfattuale.
E dunque la corte di merito avrebbe dovuto valutare se la condotta alternativa lecita (trattamento meno invasivo) era da pretendersi a prescindere dalla sua efficacia sulla patologia in corso, ma per via del fatto che garantiva, a differenza di quella di fatto tenuta, di evitare il rischio: se cioè vi sia stata colpa nella scelta dell'intervento chirurgico alla luce di tale previsione.
Prima di chiudere una precisazione l'azione diretta del danneggiato (terzo) nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura sanitaria è una previsione chiave della L. n. 24/2017 (Art. 12), che la Cartabia non ha modificato nel suo impianto sostanziale.
Il danneggiato mantiene quindi la facoltà di agire:
1. Contro la struttura (responsabilità contrattuale).
2. Contro il professionista (responsabilità extracontrattuale, salvo eccezioni).
3. Direttamente contro l'assicurazione della struttura.
Un ruolo preponderante sarà quindi quello della rivalsa verso il medico da parte dell’assicurazione e/o della Corte dei Conti in caso di strutture pubbliche.
hai un quesito in tema di responsabilità medica e risarcimento del danno civile ?
Avv Aldo Lucarelli
















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