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- Edilizia: Condono, Sanatoria e demolizione.
Vediamo cosa accade in caso di presentazione di una domanda di condono o sanatoria ad un Ente che abbia avviato una procedura demolitoria amministrativa. Quali effetti per il Comune? Quali conseguenze per il procedimento amministrativo iniziato contro la demolizione? E quale è la differenza tra Sanatoria e Condono? Partiamo in ordine, quali effetti per l'ufficio tecnico del Comune? La presentazione di una istanza di sanatoria non comporta l'inefficacia del provvedimento sanzionatorio pregresso, non essendoci pertanto un'automatica necessità per l'amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione; Nel caso in cui venga presentata una domanda di accertamento di conformità in relazione alle medesime opere (da verificare nel caso di specie da parte degli organi comunali), l'efficacia dell'ordine di demolizione subisce un arresto, ma tale inefficacia opera in termini di mera sospensione (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 16/03/2020 , n. 1848)” (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4829/2020). In caso di abusi edilizi, l'ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (Cons. Stato, sez. VI, n. 1552/2021). Ne consegue che, rigettato il condono, la demolizione, temporaneamente inefficace in pendenza del procedimento di sanatoria, riprende vigore Ma cosa accade in caso sia stato avviato anche il procedimento davanti al TAR? Sussiste un costante orientamento dei TAR secondo il quale la presentazione della domanda di condono successivamente alla impugnazione dell’ordinanza di demolizione produce l’effetto di rendere inefficace tale provvedimento, e quindi improcedibile l’impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse, perché tale orientamento – comunque revocabile in dubbio nel caso in cui il procedimento di condono si concluda con un rigetto a distanza di tempo ragionevole dalla demolizione sospesa dal condono – non può trovare applicazione nei casi in cui sia palese la mancanza dei presupposti minimi di ammissibilità della stessa domanda di condono. Torna alla Home L’obbligo di riesaminare l’abusività delle opere provocato dalla domanda di condono con la riadozione dei provvedimenti repressivi ha senso solo in presenza di un intervento astrattamente sanabile, ossia quando per effetto della formazione di un nuovo provvedimento esplicito e per il suo concreto contenuto risulti definitivamente vanificata l’operatività del precedente provvedimento demolitorio, adottato senza tener conto della (astratta) condonabilità del bene. #Sanatoria, #Condono e #Demolizione e tre aspetti ben collegati tra loro. Ha pregio ricordare il principio di speditezza e non aggravamento dei procedimenti amministrativi repressivi, con una inutile riedizione ex novo di esso, atteso l’identico provvedimento repressivo da adottare in sede di rinnovo, stante la natura abusiva del manufatto e dell’impossibilità di condonarla, non rientrando per l’oggettività della sua natura nelle categorie previste dalla normativa di condono. E quindi, quale è la differenza tra Sanatoria e Condono, due termini spesso scambiati nella pratica quotidiana, ma che in realtà rappresentano concetti ben distinti. Prima di concludere precisiamo la differenza tra "condono" e "sanatoria". Il Condono è una legge speciale varate per un certo periodo che prevede la regolarizzazione sulla base di alcuni presupposti e con il pagamento di alcune sanzioni, ben delimitata nel tempo e per una specifica tipologia di abusi, mentre la Sanatoria è un provvedimento amministrativo normalmente consentito dalla normativa urbanistica vigente e previsto dalla legge 380/2001. Il Permesso di costruire in sanatoria, una volta denominato Concessione edilizia in sanatoria, è disciplinato dal Testo Unico dell’Edilizia, e si può chiedere per interventi eseguiti in assenza di permesso o in difformità da esso, ma assentibili. Requisito fondamentale della Sanatoria, e non del Condono, è che sussista la cosiddetta doppia conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, al momento della realizzazione dell’abuso e al momento della richiesta di sanatoria. Quindi la Sanatoria è un provvedimento amministrativo ordinario previsto dalla legge, il Condono invece è una legge speciale per determinati interventi e per un determinato lasso temporale. Hai un dubbio, Contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli
- Farmacie, 200m , 3 km, zona, ma quale è il criterio della distanza?
Nella istituzione di alcune attività commerciali è necessario tener presente una distanza minima, che nel caso delle farmacie urbane è il noto limite dei 200 metri. Ma come si calcola tale distanza? E' impugnabile il criterio di calcolo della distanza? E' possibile fornire una misura alternativa a quella rilevata dal Comune? Per rispondere a tali domande, utilizziamo i termini della giustizia amministrativa. Il criterio di calcolo è infatti quello imposto dall'art. 190 del codice della strada, a tenore del quale “I pedoni devono circolare sui marciapiedi, sulle banchine, sui viali e sugli altri spazi per essi predisposti” e solo quando questi “manchino, siano ingombri, interrotti o insufficienti, devono circolare sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli in modo da causare il minimo intralcio possibile alla circolazione…”. Secondo la norma citata, inoltre: “I pedoni, per attraversare la carreggiata, devono servirsi degli attraversamenti pedonali, dei sottopassaggi e dei sovrapassaggi. Quando questi non esistono, o distano più di cento metri dal punto di attraversamento, i pedoni possono attraversare la carreggiata solo in senso perpendicolare, con l’attenzione necessaria ad evitare situazioni di pericolo per sé o per altri…È vietato ai pedoni attraversare diagonalmente le intersezioni; è inoltre vietato attraversare le piazze e i larghi al di fuori degli attraversamenti pedonali, qualora esistano, anche se sono a distanza superiore a quella indicata nel comma 2”. Proprio alla luce di tale disposizione, con riferimento alla misurazione della distanza (tra due punti vendita o per il rilascio di licenze concessioni per le quali è prevista una distanza minima) si è ritenuto che la distanza vada calcolata sulla base del percorso pedonale minimo determinato con il rispetto delle norme del codice della strada, compreso il comma 2 dell’art. 190, “tenendo conto degli attraversamenti stradali consentiti e, in genere, delle norme del codice della strada”. Ne discende che non è possibile per la recente giurisprudenza amministrativa, effettuare la misurazione basandosi sulla trasgressione, o su opzioni alternative non supportate da regolarità, seppure non necessariamente pericolose. Ad esempio non è stata ritenuta idonea una misurazione che prevede attraversamenti non consenti, oppure comportamenti non conformi da parte del pedone delle norme del codice della strada per addivenire ad un accorciamento del percorso, ad esempio tagliare su giardini pubblici, attraversare ove non è consentito. E’ evidente, infatti, che l’approccio metodologico indicato non solo non è conforme al concetto di “percorso pedonale più breve” precisato dalla giurisprudenza, ma si presta ad applicazioni difformi caso per caso che mal si conciliano con la natura di una regola tecnica. per i Tar l’art. 1 della legge n. 475/68 dispone che “la distanza è misurata per la via pedonale più breve tra soglia e soglia delle farmacie” e quindi “per percorso pedonale più breve deve farsi riferimento al percorso effettivamente percorribile a piedi da una persona normalmente deambulante in condizioni di sicurezza e senza esporsi a rischi”. Tale regola si applica in caso di trasferimento della farmacia all'interno della stessa zona di competenza, ambito di cui ci siamo già occupati in altro post. (clicca qui). Oltre a tale regola, per le farmacie sussiste poi la norma dei 3 km prevista per sedi operanti anche in diversi comuni, ed in occasione di una nuova istituzione. E' solo il caso di precisare che tale norma si applica a comuni sino a 12.500 abitanti e che per il Consiglio di Stato si applica sia alle farmacie rurali che alle urbane, essendo tale principio (art. 104 TULS) un criterio alternativo a quello demografico e che ai fini del riassorbimento questa distinzione non ha alcuna base nelle fonti normative. Le due espressioni “criterio demografico” e “criterio della distanza”) sono equivalenti ed indicano entrambe il criterio stabilito dall’art. 104, cit., quale alternativo a quello demografico. Consiglio di Stato 2851/2014. Prima di concludere una precisazione, è impugnabile il criterio utilizzato ed il calcolo effettuato, a condizione di offrire una alternativa valida e legale, senza utilizzare stratagemmi contrari al codice della strada o irrazionali. Hai un tema che ti interessa? Contattaci. Leggi i Post del canale Farmacia Avv. Aldo Lucarelli. (cfr. Cons. Stato, III, 6.8.2018, n. 4832; T.A.R. Lazio, Latina, 6.4.2017 n. 229, e conforme TAR Toscana Sez. II sentenza n. 167 del 10 luglio 2019)
- Edilizia ed Appalti, chi paga la sanzione dell'appalto?
Un tema molto caldo riguarda il pagamento delle sanzioni, a volte molto severe, derivanti da appalti e non presenti espressamente nella contrattazione. Si tratta di sanzioni derivanti da regolamenti amministrativi o atti collegati e connessi alla contrattazione principale, che per comprenderci, è quella che è stata espressamente sottoscritta dalle parti. Il principio base della contrattazione pubblica è la prova scritta, pertanto verrebbe da pensare che ogni cosa che non sia espressamente prevista non potrà essere applicata. Tale principio tassativo è però piu' consono ai dettati della contrattazione anglosassone, in quanto nel nostro sistema il codice prevede una serie di meccanismi e di integrazione ad applicazione oserei dire "automatica", dal quale però non dovrebbero derivare obbligazioni impreviste, Ma è proprio così? Ed allora vediamo con ordine, La forma dei contratti in cui sia parte la pubblica amministrazione è dettata dagli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440 del 1923 ed è “scritta”, ma attenzione alle forme contrattuali per relazione ovvero collegate ad uno scambio di dichiarazioni non contenute in unico documento. E' affermazione incontrastata del diritto vivente quella per cui le norme poste dagli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440 del 1923 impongono la forma scritta per i contratti stipulati dallo Stato e dalle sue amministrazioni. La forma scritta, posta quale requisiti di validità assume carattere di garanzie ed è volta a concretizzare gli accordi, ed a fornire la prova della estensione degli obblighi tra le parti, cosicché nulla di quello che non è compreso potrà essere richiesto al contraente debole, ovvero a colui, impresa o ausiliario che è soggetto al potere disciplinare e di controllo della Pubblica Amministrazione. Fin qui tutto bene, o quasi, la questione diviene piu' complessa ove gli obblighi vengano imposti dall'alto, o ancor peggio possano sorgere sanzioni e/o penali derivanti da atti richiamati nella contrattazione ma non deliberativamente assunti. E' possibile quindi ritenere sufficiente un forma scritta che risulti da comportamenti come lo scambio di dichiarazioni? Prima di rispondere a tale quesito è importante ricordare che ai sensi dell'art. 1326 del codice civile l'accordo contrattuale si forma con l'incontro della proposta e dell'accettazione, ed è quindi in tale “dialogo” tra le parti che andrà ricondotto l'argomento. La Cassazione già nel 1967 affermo che: l’esigenza della forma scritta per i contratti con gli enti pubblici “non esclude che il complesso obbligatorio che astringe la pubblica amministrazione al privato possa risultare da un insieme di dichiarazioni scritte oggetto di scambio tra i contraenti, dichiarazioni che nella fase normativa del contratto si atteggiano come proposta e come accettazione tra assenti, così come avviene nella sfera della negoziazione comune” E’ un filone giurisprudenziale che ha trovato ulteriore e significativa conferma anche più di recente, essendosi ribadito, chiaramente, che il “requisito della forma scritta, richiesta ad substantiam per la stipulazione dei contratti della P.A., nei contratti conclusi con la modalità della trattativa privata, non richiede necessariamente la redazione dell’atto su di un unico documento sottoscritto da entrambe le parti, ma può essere soddisfatto anche mediante lo scambio delle missive recanti, rispettivamente, la proposta e l’accettazione, entrambe sottoscritte ed inscindibilmente collegate, in modo da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo, perché questa modalità di stipulazione del contratto, generalmente ammessa dall’ordinamento, non è esclusa per tali contratti dalla formula di cui all’art. 17 del r.d. n. 2440 del 1923”. Sei interessato? Consulta l'archivio gratuito L’indirizzo trae linfa, evidentemente, dal principio, più generale e di risalente enunciazione per cui, alla stregua delle regole generali sulla formazione dell’accordo tra le parti contrattuali (art. 1326 c.c.), “nei contratti a forma vincolata non occorre che la volontà negoziale sia manifestata da entrambi i contraenti contestualmente e contemporaneamente, per modo che il requisito della forma scritta ad substantiam, in caso di sottoscrizioni contenute in due documenti diversi, deve intendersi osservato anche quando la seconda sottoscrizione sia espressa in un documento separato, se questo sia inscindibilmente collegato al primo, sì da evidenziare inequivocabilmente l’incontro dei consensi nelle suddette forme” HOME Ecco quindi che oggi soprattutto in tema di concessioni temporanee, e di rapporti con la P.A. la presenza di rapporti di diritto pubblico, come autorizzazione e/o concessioni per l'espletamento dei lavori, darà luogo all'insorgere di obblighi “ulteriori” e cio' mediante il meccanismo della convenzione accessiva. (C.Sez. Un. 9775/22 e CdS 3602/18 e art. 7 L. 241/1990). Per specifiche esigenze, contattaci Studio Legale Angel ini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli
- Diritto dei Contratt: Più titolari, ma una sola azione legale, con il presunto consenso dell'altro!
Siamo due comproprietari, posso agire da solo per la tutela di un diritto? Per rispondere a tale frequente domanda usiamo un escamotage... é possibile pensare che in assenza di prova contraria l'altra parte sia concorde? La risposta é affermativa infatti in assenza di consenso espresso, ed in caso si comproprietá, si presume che chi agisce da solo operi con il consenso dell'altra parte. Tale principio potrà essere utilizzato in molteplici ambiti, dall'impresa al condominio, essendo un principio generale applicabile anche nel caso limite in cui vi sia un incapace. Doppia titolarita anche nella locazione? Si anche in tali casi opera suddetto principio... Home Ed infatti i comproprietari di un bene concesso in locazione hanno pari poteri gestori sulla cosa comune ed ognuno di essi è legittimato ad agire per il rilascio, in base alla presunzione che ciascuno operi con il consenso degli altri, la quale non è esclusa dal fatto che uno di loro sia incapace di intendere e di volere, poiché tale presunzione prescinde da un'indagine sullo stato soggettivo degli ulteriori comproprietari e va intesa - in senso oggettivo - quale mancanza di dissenso da parte degli stessi. Hai un quesito? Contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli
- Azienda ed Impresa, dalla cessione del ramo alla limitazione alla responsabilità tributaria.
In caso di cessione di ramo d'azienda, si puo' applicare la limitazione di responsabilità prevista dalla normativa civilista anche ai debiti tributari? Si, a condizione che l'acquirente provi l'autonomia del ramo d'azienda e l'inerenza dei tributi tramite il certificato previsto dall'art. 14 delDPR 472 del 1997. A tali condizioni quindi è ravvisabile la tutela della limitazione prevista per la cessione del ramo d'azienda. Questo è in sintesi il pensiero posto alla base di recente giurisprudenza sul tema. Ed infatti In tema di responsabilità del cessionario del ramo di azienda per i debiti del cedente, il principio della inerenza del debito, desumibile dall’art 2560 c.c. deve ritenersi applicabile anche ai debiti tributari, ma a determinate condizioni, di cui meglio si dirà, al fine di rispettare le finalità anti elusive proprie dell'art. 14 del D.lgs. 472 del 1997, e ciò per molteplici ragioni. Nell'interpretare l'articolo 2560 c.c. la Corte di Cassazione ha già ritenuto che in caso di cessione di ramo d'azienda, l'acquirente, pur in presenza di una contabilità unitaria, risponde, a norma dell’art. 2560 cod. civ., dei debiti pregressi risultanti dai libri contabili obbligatori, a condizione, però, che siano inerenti alla gestione del ramo d'azienda ceduto (Cass. n. 13319 del 30/06/2015). Deve poi sottolinearsi la diversità tra la cessione di azienda, il trasferimento frazionato di beni appartenenti ad un unico complesso aziendale e la cessione di un ramo di azienda avente una sua effettiva autonomia funzionale. Costituisce elemento costitutivo della cessione l'autonomia funzionale del ramo ceduto(Cass. n. 28593 dell’8/11/2018;). Se pertanto il ramo di azienda è dotato di una specifica autonomia, tale autonomia deve connotare necessariamente anche debiti, compresi i debiti tributari, diversamente si verificherebbero effetti paradossali, chiamando il l'acquirente del ramo a rispondere di debiti che afferiscono esclusivamente all'attività che continua ad essere svolta nel ramo di azienda principale. A questa condizione può affermarsi che la responsabilità del cessionario/acquirente del ramo di azienda deve fondarsi, anche per i debiti tributari, sull'inerenza del debito al compendio acquistato, sicché essa non opera per quelle obbligazioni pecuniarie che siano riconducibili ad altro ramo aziendale rimasto di proprietà del cedente. Da ciò discende, quale necessario corollario, che è onere del cessionario dimostrare non solo l’effettiva preesistente autonomia del ramo aziendale acquistato ma anche la non inerenza del debito tributario a detto ramo aziendale, e che la prova non può darsi tramite presunzioni, quali il ricorso agli studi di settore, bensì con modalità idonee ad escludere che nella concreta fattispecie sia stata vanificata la finalità anti elusiva dell'articolo 14 del D.lgs. 472/1997, vale a dire tramite l'esibizione del certificato di cui al comma terzo dell'art. 14 e della contabilità aziendale Hai un quesito? Contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli Avezzano
- Società controllata ed accesso ai documenti, profili pratici.
Sono titolare di una quota di società a responsabilità limitata, la quale a sua volta è titolare di una quota di altra società, posso accere ai documenti di questa seconda società? La risposta è si, ma non per la mia posizione di socio della prima società, bensì quale componente della seconda società, ed ho accesso quindi nella veste di socioche non partecipa all'amministrazione. Infatti nessuna norma prevede che il socio di una società che ne controlli un’altra, o che eserciti su questa l’attività di direzione e di coordinamento, possa per il solo fatto del rapporto di controllo o direzione/coordinamento, accedere anche alla documentazione della controllata o diretta/coordinata. Non vi è quindi una norma diretta che ammetta tale diritto, in quanto l’accesso alla documentazione previsto per le s.r.l. ha carattere tipico, e attiene alla documentazione amministrativa e sociale della s.r.l.. Ma poiché il diritto di accesso ha ad oggetto quanto attiene alla amministrazione della società, quindi non solo in relazione al rapporto sociale tra le due società, bensì in relazione ai doveri degli amministratori, i quali quindi nell'essere responsabili dell'amministrazione della società, sono anche tenuti a dare informazione sulla gestione ai soci che non amministrino. Tale informazione avrà un ruolo essenziale per i soci della società controllante, anche ai fini del controllo e della verifica di posizioni conflittuali o di incompatibilità in relazione all'attività prestata. Immaginiamo infatti che la società controllante svolta una attività come un'attività medica, o clinica, potenzialmente incompatibile con quella della società controllata quale ad esempio una farmacia sotto forma di SRL, ed i soci della prima non riescano ad avere accesso ai documenti della seconda società, potenzialmente in conflitto di interesse o soggetta a norme in tema di incompatibilità, come ad esempio quelle dettate per le SRL di farmacia dalla legge 362 del 1991. L'accesso alla documentazione avrà un ruolo preponderante nella gestione dei rapporti. Ecco quindi che nell'alveo di questo diritto di accesso derivato, ricadente sulla società, rientra anche l'accesso a quella documentazione attinente alla società controllata, oppure attinente ai rapporti fra le due società o che sia nella sua disponibilità: deve presumersi, che tale documentazione sia essenziale alla gestione dei rapporti della prima con la seconda società, e quindi rientri nell'alveo dei doveri degli amministratori della controllata, fornirla ai soci della controllante. Questa documentazione può fra l’altro fare comprendere al socio della controllante se questa effettivamente anche diriga/coordini la controllata, e come lo faccia. Il fulcro del discorso quindi è contenuto nella previsione di legge che prevede: "I soci che non partecipano all'amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione." (art. 2476 co. 2, cc). Conclusione: "il diritto di accesso per i soci non amministratori è presente ma per la società controllante deriva di riflesso dal dovere di informazione a cui sono tenuti gli amministratori della società controllata." Sei interessato all'argomento? Seguici sui Social Poni il tuo quesito Studio Legale Angel ini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli
- Edilizia: Il vincolo paesaggistico ed il titolo edilizio...
l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio. Quale é il rapporto tra Assenso Paesaggistico e Permesso di Costruire? Il titolo edilizio ed il vincolo paesaggistico, due strade autonome con una stessa direzione. Vediamo come si incontrano senza scontrarsi, nel senso che la presenza di una delle due non è sufficiente per l'altra! I due atti di assenso, quello paesaggistico e quello edilizio, operano su piani diversi, essendo posti a tutela di interessi pubblici diversi, seppur parzialmente coincidenti. Ne deriva che il parametro di riferimento per la valutazione dell’aspetto paesaggistico non coincide con la disciplina urbanistico edilizia. Sussiste quindi una specifica disciplina dettata per il vincolo paesaggistico secondo cui il parametro paesaggistico non coincide con la disciplina urbanistico edilizia, E quindi “la valutazione di compatibilità paesaggistica è connaturata all’esistenza del vincolo paesaggistico ed è autonoma dalla pianificazione edilizia.. Ne deriva che nella ipotesi in cui siano stati rilasciati i titoli edilizi, pur in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, non può in alcun modo legittimare anche sotto il profilo paesaggistico il fabbricato. Tale esito si porrebbe in contrasto con il principio espresso dalla Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost. 196/2004), secondo la quale l’interesse paesaggistico deve sempre essere valutato espressamente anche nell’ambito del bilanciamento con altri interessi pubblici, nonché con la giurisprudenza che, nelle materie che coinvolgono interessi sensibili, quale quello paesaggistico, limita l’istituto del silenzio assenso solo al ricorrere di previsioni normative specifiche e nel rispetto di tutti i vincoli ordinamentali (Cons. St. n. 6591/2008). Risulta in sintonia con quanto appena ricordato il dato per cui esiste un principio di autonomia anche tra l’illecito urbanistico-edilizio e l’illecito paesaggistico, come anche un’autonomia tra i correlati procedimenti e regimi sanzionatori (Cons. St. 2150/2013). Il Vincolo Paesaggistico ed il Titolo Edilizio sono quindi due aspetti autonomi seppur coincidenti per l'interesse del privato che non potrà subordinare l'uno all'altro né sottovalutare la sussistenza di entrambi. In caso di procedura amministrativa quindi sarà necessario verificare la sussistenza di entrambi prima di poter avviare i lavori edili. Il Tar sarà l'ultimo rimedio ove uno dei due venga a mancare per errori di istruttoria e/o di valutazione da parte delle amministrazioni coinvolte. Attenzione però a non dare per scontato il rilascio del nulla osta paesaggistico ove il titolo edile sia regolare! Seguici On Line O consultaci per un Tuo caso. Studio Legale Angelini Lucarelli Diritto Amministrativo.
- Assicurazione sul finanziamento, ma a vantaggio di chi?
I finanziamento oggi sono sempre piu' spesso collegati ad assicurazioni volte a coprire il rischio che il titolare del finanziamento - debitore - non sia piu' in grado di pagare le rate, ad esempio del mutuo, del leasing, del factoring o altri generi di finanziamenti... ma siamo sicuri che siano nell'interesse del debitore? Non sempre.. Ecco quindi che le Banche o le finanziarie richiedano accanto alla stipula del finanziamento, la copertura assicurativa, volta per l'appunto a coprire "il rischio inadempimento" a causa di eventi che possono colpire il debitore. Vi sono diversi eventi coperti dall'assicurazione, dal caso vita - morte - alla perdita temporanea del lavoro, alla perdita della capacità lavorativa totale... Il quesito che ci è stato prospettato è il seguente.. Se, stipulo un mutuo/finanziamento con annessa l'assicurazione per il caso di perdita del lavoro, dovrò pagare il debito? Per rispondere alla domanda partiamo dalla disciplina del contratto di mutuo, che consente a chi lo stipula di ricevere somme, e per chi lo eroga, di ottenere come corrispettivo degli interessi. Il mutuo è spesso collegato ad una garanzia come l'ipoteca. Ecco quindi che in caso in cui non vi sia l'ipoteca, con la quale la Banca si garantisce del rischio insolvenza, viene stipulata la polizza assicurativa, con cui il debitore, dietro il pagamento del premio, garantisce comunque la restituzione del capitale... ma siamo sicuri che detta polizza sia stipulata a favore del debitore? Ove vi sia l'ipoteca, la Banca è già garantita per il capitale prestato, ma ciò esporrà il bene, ad esempio casa, alla espropriazione, ove non venga pagato il capitale. Ecco quindi che l'assicurazione copre il rischio di perdere l'immobile ove a causa di un evento, come la perdita del lavoro non si riesca a far fronte alle rate mancanti.. E quindi veniamo alla risposta. Nel caso in cui accanto al mutuo/finanziamento, venga stipulata una polizza assicurativa in favore dell'ente finanziatore, ove il debitore perda il lavoro, l'assicurazione pagherà all'ente finanziatore il debito residuo... ma attenzione alle successive conseguenze.. Va infatti evidenziato che spesso le polizze assicurative prevedono il diritto di surroga, ovvero il meccanismo con il quale una volta corrisposta la somma assicurata all'ente finanziatore, l'assicurazione si riverserà sul debitore per la surroga e quindi per il recupero della somma. Questo è il caso dell'assicurazione volta a garantire la somma, contratta a favore dell'ente finanziatore. Tutto dipenderà dalle clausole del contratto, e dei collegamenti che queste clausole assicurative avranno con il finanziamento posto alla base, attenzione quindi alle postille che si firmano, le quali potranno essere poste anche nell'interesse della Banca/finanziaria e non del debitore principale. Recenti casi hanno visto affermarsi la validità di clausole assicurative nell'interesse della Banca/Ente e che prevedono quindi il diritto di surroga/sostituzione della compagnia assicuratrice nei confronti del debitore in caso di inadempimento di quest'ultimo, in relazione all'indennizzo pagato alla Banca per l'avveramento del rischio perdita del lavoro da parte del soggetto finanziato. In tali contesti quindi anche se vi è l'assicurazione, questa opererà per tutelare la Banca, e quindi l'assicurazione una volta pagato il capitale alla Banca, richiederà la somma al debitore.. hai un quesito? Leggi i nostri articoli nel blog gratuito o contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli
- Immobile all'asta, conviene? si, ma attenzione al prezzo massimo!
L'acquisto dell'immobile è un momento delicato, da seguire con attenzione e soprattutto da affrontare con la giusta competenza, in particolare modo ove si ricorra all'asta immobiliare quale metodo di acquisizione, vista la probabile convenienza del prezzo. Ma conviene acquistare un immobile all'asta? Rispondere affermativamente sarebbe fin troppo semplice, diffidate da facili entusiasmi, vale sempre il motto "nessun regala nulla". Ed infatti l'asta è solo una "modalità" di acquisto dell'immobile che può diventare anche assai sconveniente ove il prezzo salga al di sopra della soglia che siamo prefissati. Ecco quindi il primo punto da tener fermo: l'asta conviene solo se il prezzo di mercato è superiore a quello disposto nell'asta stessa. Sarà necessario quindi conoscere il prezzo di mercato dell'immobile di riferimento, con attenzione alla città, al quartiere, ai servizi e soprattutto allo stato dell'immobile. Senza dilungarci su ovvie questioni inerenti il valore dell'immobile tra città, campagna e piccoli paesi, è molto piu' importante porre l'attenzione sul valore di perizia dell'immobile, perizia resa disponibile tra i documenti dell'asta e consultabile on line nell'annuncio di vendita, o nella peggiore della situazione nella cancelleria delle esecuzioni immobiliari del Tribunale della città di riferimento. La perizia infatti è un documento obbligatorio nelle aste! Dalla perizia emergerà la situazione dell'immobile, la regolarità urbanistica, la consistenza ed il prezzo, e cosa assai importante, la modalità di valutazione di detto immobile, ad esempio valore per metro quadrato, zona di riferimento a livello urbanistico, presenza di servizi nella zona, e parametri valutativi, quali ad esempio "immobile in località turistica ad alto valore recettizio" o similari. Da tali dati si potrà partire per farsi un idea del valore del bene al momento della perizia, ma non è tutto! Infatti sarà necessario paragonare il valore di perizia al valore di mercato del momento dell'asta... spesso accade che la perizia sia stata svolta in una epoca commerciale differente, si pensi al boom edilizio degli anni '90 ed alla crisi del 2010, pertanto la perizia avrà un grande valore, ma dovrà essere comparata con il valore di mercato del periodo dell'asta. Ed allora come è possibile scoprire il "reale" valore del bene oggetto di asta? Sarà sufficiente rivolgersi ad una agenzia immobiliare che saprà fornire indicazioni per immobili simili in quella determinata zona, o città ad esempio "piazza Duomo a Milano" oppure consultando i famosi siti internet di vendita di immobili. A questo punto siamo pronti per fare un offerta nella nostra asta.. offerta che oggi è affidata ad un gestore telematico, e che viene posta per via telematica. Vi consiglio di rivolgervi ad un professionista per la redazione e la presentazione dell'offerta, nella quale indicare quindi il prezzo di offerta che attenzione.. non potrà essere inferire al prezzo base decurtato del 25%. L'asta potrà svolgersi in modalità "asincrona telematica" nome complicato per rappresentare un meccanismo semplice, che già molti conoscono grazie ai siti di aste come #Ebay. Home Nell'asta asincrona telematica, sarà possibile partecipare con una offerta iniziale, e poi verificare nei 5 giorni successivi di asta se siano pervenute offerte al rialzo, fino ad un determinata data di scadenza, termine nel quale il bene sarà aggiudicato al migliore offerente. Ecco quindi la conclusione: avremo la possibilità di offrire una somma e fare delle contro offerte al rialzo fin tanto che perduri quella "convenienza" all'affare che ci siamo pre-costituiti con lo studio dei parametri sopra descritti. Ora siete pronti per partecipare ad un'asta immobiliare! Se ti è piaciuto l'articolo, seguici o consultaci anche senza impegno. #immobiliare #contratti #aste Studio Lega Angelini Lucarelli
- Edilizia ed Appalti il Contratto-Concessione le sanzioni e le penali
In caso di contratto-concessione, il Comune o l'Ente pubblico puo' applicare sanzioni e penali di fonte pubblica al contratto col privato? Per rispondere a tale domanda, dobbiamo fare un passo indietro ed inquadrare la vicenda. Se alcuni di voi non hanno tempo di leggere, anticipiamo la conclusione, La conclusione è affermativa, si, il Comune o l'Ente puo' obbligare il privato a pagare la penale, perché vi è una commistione di rapporti pubblici e privatisti. Stiamo infatti parlando di contratti tra il Privato ed Comune/Ente volti alla realizzazione di opere che prevedono autorizzazioni e concessioni da qui quindi la base pubblicistica del rapporto, che definiremo “concessione-contratto” La “Concessione-contratto” è un rapporto che porta con sé aspetti pubblici ed aspetti privati e che viene spesso utilizzato per la realizzazione di opere che sebbene gestite nell'ambito di una contrattazione privata, richiedono un intervento autorizzativo o concessorio da parte di un ente ad esempio di un comune. Si pensi alla installazione di Tubi, Opere Edili che richiedono interventi urbanistici etc.. Consulta gratuitamente gli articoli del canale "amministrativo ed appalti" La “concessione-contratto” è infatti una convenzione ove convergono un atto autoritativo della Pubblica Amministrazione, ed un contratto, capitolato o disciplinare privato, ed è quindi un rapporto contrattuale bilaterale fonte di obblighi e diritti reciproci. Ove dalla concessione-contratto derivino sanzioni e/o penali, queste saranno attratte nella disciplina pubblicistica perché connesse all'operazione principale, che anche se retta da contratto avrà comunque una base pubblicistica. Si è, infatti, precisato che la figura della concessione-contratto “è caratterizzata dalla contemporanea presenza di elementi pubblicistici e privatistici, per effetto della quale … un soggetto privato può divenire titolare di prerogative pubblicistiche, mentre l’Amministrazione viene a trovarsi in una posizione particolare e privilegiata rispetto all’altra parte, in quanto dispone, oltre che dei pubblici poteri che derivano direttamente dalla necessità di assicurare il pubblico interesse in quel particolare settore al quale inerisce la concessione, anche dei diritti e delle facoltà che nascono comunemente dal contratto …, tra i quali può essere previsto anche quello di esigere dalla controparte il pagamento di una penale in caso l’inadempimento degli obblighi posti a suo carico”. Ecco quindi che nella concessione/contratto l'ente pubblico avrà un duplice potere in una unica veste. Da quanto sopra deriva la legittimità di “clausole penali” nell’ambito di tale complesso rapporto pur rimarcandosi le “peculiarità dell’esercizio di pubblici poteri” rispetto ai quali il contratto pubblico/privato si presenta come strumento ausiliario, idoneo alla regolazione di aspetti patrimoniali. Da ultimo richiamo il caso in cui vengano irrogate sanzioni per collegamento ad atti implicitamente accettati dal privato. A nostro avviso per il principio della prova è sempre necessaria la fonte scritta sulla applicabilità di tali atti, infatti la normativa di settore prevede la forma scritta sotto pena di nullità, tuttavia l’esigenza della forma scritta per i contratti con gli enti pubblici “non esclude che il complesso obbligatorio che astringe la pubblica amministrazione al privato possa risultare da un insieme di dichiarazioni scritte oggetto di scambio tra i contraenti, dichiarazioni che nella fase normativa del contratto si atteggiano come proposta e come accettazione tra assenti, così come avviene nella sfera della negoziazione comune. (Cass. Civ. 1167 del 1969). A nostro avviso l'argomento andrà valutato caso per caso. Sei interessato all'argomento? Contattaci per ogni esigenza Studio Legale Angel ini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli
- Quale è il valore delle "FAQ"? Possono integrare un avviso di gara?
Per rispondere alla domanda bisogna fare qualche premessa iniziale. La domanda sorge ove l'avviso o il bando di gara rimandasse a chiarimenti o integrazioni documentali previste dalle o nelle "Frequently Asked Question", ovvero l'elenco delle "domande frequenti" a cui sempre piu' spesso Enti ed Operatori pubblici e Privati, rimandano per fornire informazioni ulteriori o dare chiarimenti pratici ed operativi. Ma mentre in ambito di contrattazione privata, e quindi rivolta tra società e soggetti privati tali FAQ potranno considerarsi integrative del contenuto del contratto, ove espressamente richiamate, aventi quindi una valore suppletivo ed integrativo, il problema sorge, in modo preponderante ove le FAQ, o domande frequenti, siano ri-chiamate in ambito pubblicistico o nei rapporti con la Pubblica Amministrazione. E' il caso delle FAQ a cui un avviso pubblico per l'erogazione di un finanziamento rimandi per la produzione di documenti e/o integrazioni. Ma tutto cio' è legittimo? Quale è il valore delle FAQ? In premessa va precisato che l’avviso con il quale è dato avvio alla procedura è l’unico atto cui occorre far riferimento per stabilire i requisiti di ammissione delle imprese a finanziamento; non gli altri atti che l’avviso abbiano preceduto e in seguito ai quali sia stato adottato, quali ad esempio atti pubblicitari o post di altro genere. Attenzione quindi ad individuare quale sia l'atto principe della gara/concorso a cui si sta partecipando, L’avviso, infatti, al pari del bando di gara di una procedura di evidenza pubblica per l’affidamento di un contratto, è l’atto amministrativo generale con il quale sono fissate le regole al cui rispetto l’amministrazione procedente si vincola nella selezione del privato cui assegnare il finanziamento (come nella scelte del contraente in caso di procedura di gara); in tal senso, come noto, si dice che è lex specialis della procedura, che va ad integrare le disposizioni generali contenute in atti normativi, per l'appunto le regole istituzionali della gara o dell'avviso che sono per l'appunto le Leggi Nazionali, Regionali, o molto piu' di frequente i DPR. Gli atti che precedono l’avviso, se provengono da organi politici o che esprimono l’indirizzo politico – amministrativo dell’ente – come nel caso di delibere della Giunta regionale – possono fornire indicazioni di massima circa i criteri e il metodo da seguire per la selezione dei progetti finanziabili (o, comunque, degli operatori meritevoli di essere supportati ad esempio con finanziamenti pubblici), non dettano però essi stessi le regole della procedura, né, in definitiva, potrebbero farlo per il principio di separazione tra attività di indirizzo politico e attività di gestione amministrativa, tra la quale ultima rientra l’adozione degli atti di una procedura amministrativa per l’erogazione di contributi pubblici. Va aggiunto, poi, che secondo consolidato orientamento della giurisprudenza, le regole contenute nel bando di gara – ma stesso discorso vale per gli avvisi con cui è indetta una procedura per l’erogazione di contributi pubblici per l’identica natura giuridica – vincolano rigidamente l’operato dell’amministrazione procedente, la quale è obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità per preservare i principi di affidamento e di parità di trattamento tra i concorrenti che sarebbero pregiudicati ove si consentisse di modificare le regole (o anche disapplicarle) a seconda delle varie condizioni dei partecipanti (cfr. Cons. Stato, sez. III, 7 giugno 2021, n. 4295); per questa ragione si afferma anche che il bando deve essere interpretato in termini strettamente letterali stante la presenza di previsioni intangibiii (cfr. Cons. Stato, sez. III, 8 luglio 2021, n. 5203 e 3769/2020); Da quanto sopra ecco quindi la risposta alla domanda inziale.. NO.. Quel che non prescrive l’avviso, non possono imporre le FAQ (Frequently Asked Questions) ovvero i chiarimenti resi dall’amministrazione procedente su richieste formulate dai soggetti interessati a partecipare alla procedura, poiché esse possono solo precisare e meglio esprimere le previsioni della lex specialis, alla stregua di una sorta di interpretazione autentica, non di certo modificarne il contenuto. CdS 1486/22 Hai un quesito specifico? Consultaci senza impegno Leggi l'archivio dei nostri articoli Studio Legale Angelini Lucarelli Avezzano.
- Colonnine elettriche, Ascensori, e le spese superflue del Condominio.
Ci è stato chiesto quale sia il regime delle spese non necessarie in un condominio, Ovvero per tutte quelle migliorie di cui si potrebbero avvantaggiare tutti, ma che almeno inizialmente, sono di interesse solo di alcuni. E' un tema molto caldo, perché riguarda spese ingenti come per l'istallazione di un ascensore, di una piscina, di una colonnina di ricarica per auto elettriche, ma che spesso non sono di interesse comune... Prendiamo l'esempio di un immobile non dotato di ascensore, ove uno o una parte dei condomini ne decidano l'istallazione. Trattasi sicuramente di spesa ingente e probabilmente non accettata all'unanimità. Infatti ove vi fosse il consenso di tutti, non si creerebbe alcun caso giuridico da affrontare, ma quasi sempre così non è. Si è infatti più volte affermato che l'installazione "ex novo" di un ascensore in un edificio in condominio costituisce innovazione, che può essere deliberata dall'assemblea condominiale a maggioranza, secondo il canone dell'art. 1136 maggioranza degli intervenuti a seconda poi se in prima o seconda convocazione) Oppure direttamente realizzata con il consenso di tutti i condomini, così divenendo l'impianto di proprietà comune. Solo con il consenso unanime quindi l'impianto diventa di proprietà comune. Ma... trattandosi, tuttavia, di impianto suscettibile di utilizzazione separata, quindi anche da parte di un solo condomino, proprio quando l'innovazione e cioè la realizzazione ad esempio dell'ascensore, non sia stata approvata in assemblea, essa può essere attuata anche a cura e spese di uno o di taluni condomini, salvo peró, il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi dell'innovazione, con la precisazione che é necessario contribuire nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera. Infatti in tema condominiale, per le spese ingenti o non necessarie, denominate “voluttuarie” dal codice, che siano utilizzabili in maniera “separata” da uno dei condomini o una parte di essi, ad esempio un ascensore, non obbligano gli altri condomini che non saranno tenuti a versare alcunché, e chiaramente saranno esclusi dall'uso della cosa, ecco il senso della possibilità prevista dalla legge di “utilizzo separato”. La legge parla infatti di “trarre vantaggio”. Attenzione, il limite alle installazioni deriva dal regime dell'uso, infatti se l'utilizzazione separata della miglioria non è possibile, l'innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condomini che l'ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa. Ove invece l'istallazione sia realizzata inizialmente a carico di uno o parte dei condomini, gli altri condomini successivamente possono in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell'innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di dell'opera. Ecco quindi che in tema di ascensore se questo è stato realizzato con uso separato, gli altri condomini anche dopo l'installazione potranno partecipare all'uso, fermo l'obbligo di partecipare anche alle spese. Dunque, "l'ascensore, installato nell'edificio dopo la costruzione di quest'ultimo per iniziativa di parte dei condomini, non rientra nella proprietà comune di tutti i condomini, ma appartiene in proprietà a quelli di loro che l'abbiano impiantato a loro spese. Ciò dà luogo nel condominio ad una particolare comunione parziale dei proprietari dell'ascensore comunione che è distinta dal condominio stesso, fino a quando tutti i condomini non abbiano deciso di parteciparvi. Consulta l'archivio dei nostri post Contattaci per ogni esigenza senza impegno Studio Legale Angelini Lucarelli