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  • Farmacia e l'amministratore in conflitto di interessi

    Quando si concretizza il conflitto di interessi di un #amministratore con la #farmacia dallo stesso gestita? E' sufficiente una decisione in apparente conflitto con l'interesse della #farmacia per dare vita ad una #responsabilità per conflitto di interessi? Quali sono i rimedi per gli altri soci avverso le decisioni dell'amministratore riguardanti la #gestione Ed invero, sul punto occorre innanzitutto evidenziare che ai sensi dell'art. 2475 ter cc: “i contratti conclusi dagli amministratori che hanno la rappresentanza della #società in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, con la medesima possono essere annullati su domanda della società, se il #conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo”. Segui la Pagina sui social con articoli in diritto farmaceutico L'articolo disciplina, quindi, l'applicazione nel diritto societario del generale principio sancito, per i contratti, all'art. 1394 c.c. (contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato) e dall'art. 1395 c.c. (contratto con se stesso), secondo cui la volontà di concludere il contratto è viziata - con conseguente annullabilità del contratto- nel caso in cui il rappresentante lo abbia stipulato in conflitto con gli interessi del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o quantomeno conoscibile dal terzo contraente. Tale rimedio di annullamento si applica a tutti coloro che hanno un potere gestorio effettivo. Farmacia e l'amministratore in conflitto di interessi Quanto agli elementi necessari per l'annullamento del contratto la norma richiede, su di un piano oggettivo, che sussista un interesse dell'amministratore della Farmacia nell'affare, che può essere di qualunque natura e, quindi, patrimoniale o meno. Leggi pure Farmacie ed i conflitti tra confini Non è invece richiesto che vi sia una assoluta incompatibilità tra la realizzazione dell'interesse della farmacia - anche solo potenzialmente leso dal negozio - e quello personale dell'amministratore, ma attenzione ai conflitti con il Direttore della farmacia de questa carica non coincide con la stessa persona. In tal caso sarà necessario avere anche un regolamento interno che definisca i compiti ma non le responsabilità in quanto quelle del Direttore sono ben definite dalla normativa farmaceutica. Dal punto di vista soggettivo, invece, è necessario e sufficiente che la situazione di conflitto di interessi appaia riconoscibile al terzo contraente cioè ad un soggetto esterno alla farmacia. Peraltro, (secondo il Trib. Roma n. 6617 del 3.4.2017), affinché ricorra la situazione di conflitto di interessi, è necessario “un rapporto di incompatibilità che conduce al sacrificio dell'interesse della farmacia rispetto a quella del suo amministratore. (Principio ricavabile dalla Cass. civ. Sez. 3, Sent. n. 15879 del 17/07/2007). Inoltre, l'art. 2475 ter c.c. presuppone che l'amministratore, portatore di un interesse in conflitto con la società, abbia avuto la possibilità di influire sul contenuto negoziale dell'atto. Al contrario, ove invece l'amministratore abbia agito sulla base della decisione dei soci della società non é annullabile il contratto posto in essere dall'amministratore. Ancora, in ordine ai presupposti dell'annullamento del contratto ai sensi dell'art. 2475 ter c.c., la giurisprudenza ha costantemente ribadito che l'esistenza di un conflitto d'interessi tra la società parte del contratto che si assume viziato ed il suo amministratore, non può farsi discendere genericamente dalla mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore delle due società contraenti, ma deve essere accertata in concreto (Cass. Civ. Sez. 3, Sent. n. 27547 del 30/12/2014). E cosa dire dei prestiti fatti dalla società all'amministratore? In tale caso non si tratta di atti illeciti ma è opportuno evidenziare che il prestito deve essere valutato in relazione all'entità, all'oggetto sociale, alla tempistica ed alle modalità di restituzione che "normalmente" dovrebbero prevedere un corrispettivo. Trattasi di operazione che per la modalità in cui è espletata potrebbe incagliarsi nelle maglie delle previsioni degli articoli 2391 cc e 2475 ter cc in termini di "conflitto di interessi" e che avranno un riflesso anche in relazione alla solidità e liquidità della società specialmente in caso di crisi di impresa. E' opportuno tener presente che in tema di finanziamenti sociali la Cassazione con l'ordinanza 15761 del 2021 ha sancito la presunzione legale della onerosità dei prestiti sociali. Per concludere la disamina quindi possiamo dire che non tutti i contratti "sospetti" possono essere annullati, bensì' i soci avranno il rimedio dell'annullamento del contratto concluso dall'amministratore in conflitto di interessi ove ricorra un conflitto di interessi concreto ed attuale e quindi  la possibilità per l'amministratore di influenzare, nel merito, la scelta negoziale assunta dalla società e la conoscibilità del conflitto di interessi da parte del terzo contraente. (Trib. Roma n. 17475/22) Diritto #Farmaceutico e Diritto #Societario Hai un quesito? Leggi il blog Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • diritto ambitale: la Verifica di assoggettabilità a VIA al Comune

    È legittimo il conferimento da parte delle regioni ai comuni di funzioni in materia di verifica di assoggettabilità a V.I.A. (fase di screening), è quanto si ricava dalla sentenza del CdS n. 7314 del 2024.   Ed infatti non vi è alcun elemento idoneo a supportare una tesi secondo cui la Regione non potrebbe riallocare anche le competenze in materia di verifica di assoggettabilità a VIA come ritiene più opportuno, sia pure rispettando i criteri di cui al citato art. 7 – bis , comma 8, del codice dell’ambiente. Le funzioni in materia sono infatti del tutto omogenee, inerenti alle medesime verifiche di compatibilità ambientale da effettuare con riguardo a determinati interventi, alcuni dei quali, in seguito all’esito dello screening , sottoposti ad entrambi i procedimenti. Con specifico riguardo alla fase di screening è stato sottolineato (CdS del 2021, n. 3597), che essa svolge “ una funzione preliminare per così dire di "carotaggio", nel senso che "sonda" la progettualità e solo ove ravvisi effettivamente una significatività della stessa in termini di incidenza negativa sull'ambiente, impone il passaggio alla fase successiva della relativa procedura; diversamente, consente di pretermetterla, con conseguente intuibile risparmio, sia in termini di costi effettivi, che di tempi di attuazione ”. Lo screening sul VIA ambientale al Comune Lo screening è dunque esso stesso una procedura di valutazione di impatto ambientale, che viene realizzata preventivamente con riguardo a determinate tipologie di progetto rispetto alle quali alla valutazione vera e propria si arriva solo in via eventuale, in base all’esito della verifica di assoggettabilità. In tal senso, l’art. 19, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, dispone che “ Qualora l'autorità competente stabilisca di non assoggettare il progetto al procedimento di VIA, specifica i motivi principali alla base della mancata richiesta di tale valutazione in relazione ai criteri pertinenti elencati nell'allegato V alla parte seconda, e, ove richiesto dal proponente, tenendo conto delle eventuali osservazioni del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, per i profili di competenza, specifica le condizioni ambientali necessarie per evitare o prevenire quelli che potrebbero altrimenti rappresentare impatti ambientali significativi e negativi [...]”. Pertanto, incombe sull’Amministrazione titolare del potere l’obbligo di adottare una deliberazione “ adeguatamente motivata in relazione a fattori di oggettiva pericolosità rivenienti dagli indici di cui all’Allegato V al Codice ambientale, stante che ciò implica solo il rinvio ad un più approfondito scrutinio della progettualità proposta, che dalle ragioni dello stesso non risulta comunque in alcun modo condizionata ” (cfr., Cons. Stato, Sez. II, sentenza n. 5379 del 2020). Questo approccio è il diretto precipitato del principio di precauzione che “[…] presuppone l’esistenza di un rischio specifico all’esito di una valutazione quanto più possibile completa, condotta alla luce dei dati disponibili che risultino maggiormente affidabili e che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura ” (cfr., Cons. St., sez. III, sentenza n. 6655 del 2019). Da quanto precede deriva che l’espressione contenta nel comma 8 dell’art. 7 – bis secondo cui “ Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con proprie leggi o regolamenti l’organizzazione e le modalità di esercizio delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA, nonché l'eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti specifici agli altri enti territoriali sub-regionali ” non può che essere riferita anche alla verifica di assoggettabilità a VIA, la quale è peraltro disciplinata nell’ambito del titolo III della parte I del Codice dell’ambiente, complessivamente dedicato alla “valutazione di impatto ambientale”. Per concludere nello stesso senso depongono sul piano letterale, il comma 5 dello stesso art. 7 bis (“ In sede regionale, l'autorità competente è la pubblica amministrazione con compiti di tutela, protezione e valorizzazione ambientale individuata secondo le disposizioni delle leggi regionali o delle Province autonome ”) nonché l’ultima parte del comma 8 (“ In ogni caso non sono derogabili i termini procedimentali massimi di cui agli articoli 19 e 27-bis ”), laddove l’art. 19, come in precedenza evidenziato, riguarda appunto la disciplina della fase di screening . Leggi gli articoli in Diritto Ambientale e Procedure Amministrative nel blog Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Farmacia successione divisione ed indennità

    Nel presente post affrontiamo il tema della divisione aziendale per volontà o per motivi di successione ereditaria . Si tratta dell'azienda di famiglia, sia essa una Farmacia, un'Assicurazione, o una industria tessile o chimica. Segui la pagina per la farmacia sui social con articoli gratuiti quotidiani Accade infatti che vi possa essere una divisione aziendale provocata dalla richiesta di uno dei familiari oppure dovuta all'evento morte del titolare. Ecco quindi che si possono verificare situazioni in cui l'azienda viene continuata solo da uno degli eredi mentre l'altro rimane inerte in attesa della propria liquidazione. Ma quale è il valore da attribuire? Rispondiamo con punti di giurisprudenza, per una caso specifico contattateci senza impegno Nell’apprezzare il valore dell’azienda al momento della divisione la stima dei beni per la formazione delle quote va compiuta con riferimento al loro valore venale al tempo della divisione, coincidente, nel caso di divisione giudiziale, con il momento di presentazione della relativa domanda Tuttavia tale criterio, che si desume dall’art. 726 c.c., comma 1, è stato affermato con riferimento a beni ereditari anche aziendali ma oggetto di “mero godimento” e non di esercizio economico-produttivo. Per i primi, (quelli di mero godimento) il valore venale dipende da fattori terzi come il decorso del tempo, o la variazioni del prezzo di mercato ecc. o da attività di amministrazione per i secondi d etto valore è, invece, la risultante dell’esercizio di un’impresa. In entrambi i casi vi può essere un incremento di valore dell’azienda rispetto alla data di apertura della successione, ma l’origine di tale maggiorazione è sostanzialmente diversa, sicchè solo nel primo caso quindi in quelli di mero godimento questa permane acquisita alla comunione mentre il dubbio si pone per qui beni derivanti dall'esercizio di impresa che con l'esercizio appunto, possono incrementare di valore. Tale differenza è la stessa che si apprezza tra “società di persone” e “comunione di godimento” , come alcune risalenti pronunce della Corte hanno chiarito proprio con riferimento alla comunione ereditaria d’azienda. Farmacia successione divisione ed indennità Nella successione ereditaria aziendale a chi vanno gli incrementi di esercizio? E’ stato infatti osservato che la distinzione tra società di persone e comunione di godimento , trova applicazione anche riguardo ad un’azienda compresa in un’eredità. Conseguentemente, l’azienda ereditaria forma oggetto di (semplice) “comunione” fin tanto che rimangano presenti gli elementi caratteristici della comunione , e cioè fino a quando i coeredi si limitino a godere in comune l’azienda relitta dal de cuius, negli elementi e con la consistenza in cui essa è caduta nel patrimonio  comune, come può avvenire nel caso di affitto dell’azienda stessa. Allorchè, invece, quest’ultima viene ad essere esercitata con fine speculativo, con nuovi incrementi  e con nuovi utili derivanti dal nuovo esercizio, possono verificarsi due ipotesi : o l’impresa è esercitata, d’accordo, da tutti i coeredi, i quali convengono di continuarne l’esercizio, apportando nuovi incrementi o sviluppando i precedenti, a fine speculativo, e, in tal caso, sussistono tutti gli elementi della società, ovvero la continuazione dell’esercizio dell’impresa è effettuata da uno o da alcuni dei coeredi soltanto, e quindi il successivo esercizio, con gli utili e le perdite conseguenti, non può essere imputato che al coerede o ai coeredi predetti Ne deriva che, applicato il principio di diritto sopra richiamato, (i) le consistenze, l’avviamento e dunque il complessivo valore aziendale devono essere fissati, ai fini divisionali, alla data di apertura della successione  (salvo ovviamente la rivalutazione per il periodo successivo; e (ii) le spese, gli incrementi o i decrementi aziendali successivi a tale data, essendo ascrivibili all’attività imprenditoriale del solo erede e non possono essere considerati comuni.  In ordine alla quantificazione dell’avviamento della farmacia, occorre premettere che la questione è valutata in relazione Regio Decreto n. 1265 del 1934, art. 110 ai sensi del quale L'autorizzazione all'esercizio di una farmacia, che non sia di nuova istituzione, importa obbligo nel concessionario di rilevare dal precedente titolare o dagli eredi di esso gli arredi, le provviste e le dotazioni attinenti all'esercizio farmaceutico, contenuti nella farmacia e nei locali annessi, nonché di corrispondere allo stesso titolare o ai suoi eredi un'indennità di avviamento in misura corrispondente a tre annate del reddito medio imponibile della farmacia, accertato agli effetti dell'applicazione dell'imposta di ricchezza mobile nell'ultimo quinquennio. Ciò posto, si rileva che va data continuità al principio per cui l’indennità di avviamento della farmacia non deve essere determinata con i criteri di libero mercato, ma con quelli più restrittivi R.D. n. 1265 del 1934, ex art. 110 e ciò anche nell’ipotesi di trasferimento mortis causa che si assuma lesivo di legittima, trattandosi pur sempre di un’azienda soggetta a vincoli di diritto pubblico incidenti sul margine di profitto (Cass. n. 21523). Pertanto, essendovi causa derivativa (non tra condividenti, ma) tra il de cuius e l’assegnatario del bene in sede di divisione (v. art. 757 c.c.), all’applicazione di tale principio di diritto non si sottrae l’azienda farmaceutica che, oggetto di comunione ereditaria, sia assegnata a uno solo dei comproprietari. Tuttavia nella motivazione della sentenza 2153 del ottobre 2015 si legge testualmente: “Il R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 110 (Testo Unico delle leggi sanitarie) dispone che « l'autorizzazione all'esercizio di una farmacia, che non sia di nuova istituzione, importa l'obbligo nel concessionario di rilevare dal precedente titolare o dagli eredi di esso gli arredi, le provviste e le dotazioni attinenti all'esercizio farmaceutico , contenuti nella farmacia e nei locali annessi, nonché di corrispondere allo stesso titolare o ai suoi eredi un'indennità di avviamento in misura corrispondente a tre annate del reddito medio imponibile della farmacia, accertato agli effetti dell'applicazione dell'imposta di ricchezza mobile nell'ultimo quinquennio». Ma parte della giurisprudenza ha configurato l'indennità in oggetto come una « obbligazione ex lege rivolta a compensare non già una perdita di avviamento ... ma unicamente il fatto della sopravvenuta disponibilità dell'esercizio, con il passaggio ad altri della sua titolarità» (Cass. 9477 e Cass. n. 6099). Un diverso indirizzo , che ha ricevuto l'avallo della Corte Costituzionale nella sentenza n. 333 in conformità con la «spiccata connotazione imprenditoriale assunta dall'esercizio farmaceutico», ha ritenuto invece che l'indennità di avviamento di cui al riportato articolo costituisce «il corrispettivo dell'incremento dell'attività dell'esercizio» Quindi per concludere se l'azienda farmacia è sviluppata e portata avanti da uno solo degli eredi a questo soltanto spetteranno gli incrementi di valore mentre all'altro andrà il valore “statico” dovuto e concretizzato al momento della divisione o della successione. Quanto al criterio dell'indennità di avviamento sarà utilizzabile l'art. 110 del R.D. del 1934 non senza valorizzare tuttavia la locuzione "nonché" contenuta in detto articolo e quindi bilanciare sia le esigenze del privato con il principio pubblicistico, ed evitando (ad avviso di chi scrive) di cadere nella trappola di non considerare i valori aziendali depurati dai dati fiscali. Hai un quesiti? Consulta il blog gratuito o contattaci per un tuo caso specifico Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli Cass. 10188/19 Trib. Na. 4947/23.

  • Farmacia chiusa e debiti agli ex soci

    Rispondiamo a alcuni quesiti relativi alla sorte dei debiti sociali ricaduti su un ex socio di Farmacia Srl liquidata e chiusa. Salve sono l'ex socio di una Farmacia Srl oggi liquidata e chiusa, che a distanza di un anno ha ricevuto una cartella esattoriale per mancato pagamento di imposte. Le mie domande sono le seguenti Se la Farmacia era una SRL perché a me ex socio mi vengono chieste le imposte non pagate interamente dalla SRL prima della cancellazione? Può un socio di farmacia rispondere di debiti anche dopo la chiusura della società? Per rispondere a tali domande citiamo sin da subito la ricostruzione operata dalla Corte di Cassazione in due controversie aventi ad oggetto proprio la responsabilità dell'ex socio dopo la chiusura della SRL. Qualora all'estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, nè i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato"  (Cass. Sez. Un. 6070/2013) Per essere piu' precisi in termini affermativi sui quesiti posti vediamo l'orientamento del 2024 sancito nella pronuncia n. 23341 secondo cui: Concentrando l’esame sugli artt. 2495 cod. civ. e art. 7 d.l. n. 269 del 2003 occorre evidenziare che il terzo comma della prima norma richiamata stabilisce che: « Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.» Ti può anche interessare: La successione ereditaria della Farmacia «il debito del quale, in situazioni di tal genere, possono essere chiamati a rispondere i soci della società cancellata dal registro non si configura come un debito nuovo , quasi traesse la propria origine dalla liquidazione sociale, ma s'identifica col medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica (si veda, in argomento, Cass. 3 aprile 2003, n. 5113).» (Cass., Sez. U, 12/03/2013, n. 6070). L’estinzione della società di capitali conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese comporta, quindi, un fenomeno di tipo successorio («connotato da caratteristiche sui generis, connesse al regime di responsabilità dei soci per i debiti sociali nelle differenti tipologie di società» (Cass., Sez. U, n. 6070 del 2013, cit.), che si caratterizza, da un lato, per il trasferimento ai soci del medesimo debito che faceva capo alla società e, dall’altro lato, per la limitazione della responsabilità del socio a quanto ricevuto in sede di liquidazione. Farmacia chiusa e debiti agli ex soci Possiamo quindi precisare che la responsabilità dell'ex socio sussiste anche dopo la chiusura e cancellazione della Farmacia SRL purché vi siano state somme o beni residui all'atto della chiusura e della liquidazione Farmacia chiusa e debiti agli ex soci: La circostanza che il socio di una società di capitali estinta risponda dei debiti di quest’ultima, nei limiti di quanto attribuito in sede di liquidazione , deriva dal fatto che il patrimonio della estinta società costituiva garanzia per i debiti sorti durante l’esercizio della Farmacia e solo successivamente avrebbe potuto portare alla spartizione di beni - somme - utili e denari tra soci. Segui la pagina sui social È in tale prospettiva che il socio di una società di capitali risponde anche per le obbligazioni della società estinta rimaste inadempiute, comprese quelle relative alle sanzioni pecuniarie derivanti dalla violazione di norme tributarie, nei limiti di quanto attribuito nel bilancio di liquidazione. Leggi il blog Tale regola è coerente, dal punto di vista sistematico, con la previsione dell’art. 36, terzo comma, d.P.R. n. 602 del 1973, che estende la responsabilità dei soci per il pagamento delle imposte anche a quanto ricevuto negli ultimi due periodi di imposta antecedenti alla messa in liquidazione e non solamente ai beni o al denaro ricevuto durante quest’ultima. Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Medicina e Chirurgia il coefficiente di equalizzazione

    Cosa è il coefficiente di equalizzazione in un test di ingresso o in un concorso? A cosa serve il coefficiente di equalizzazione? E' legale applicare un coefficiente di equalizzazione? E' ammissibile un ricorso collettivo contro il coefficiente di equalizzazione? Nel presente testo risponderemo a queste ed altre domande in tema di test di ingresso nelle facoltà a numero chiuso (medicina e chirurgia in primis) e l'uso del coefficiente di equalizzazione nei concorsi. È legittimo il meccanismo di attribuzione dei punteggi previsto dalla normativa concorsuale (art. 6, comma 4, del decreto del Ministro dell’università e della ricerca del 24 settembre 2022, n. 1107) per l’accesso ai corsi di laurea a numero programmato denominato “coefficiente di equalizzazione” che interviene in funzione correttiva del punteggio derivante dalle risposte date dai candidati, Ma quale è lo scopo del coefficiente di equalizzazione? Il coefficiente di equalizzazione ha lo scopo di omogeneizzare i punteggi finali per tenere conto del diverso grado di difficoltà dei quesiti di cui si compone ciascuna prova. Difatti, esso si pone in coerenza con i canoni di par condicio e di selezione imparziale e di stampo meritocratico che sul piano della legittimità amministrativa presiedono al funzionamento dei concorsi pubblici. (CdS 8004/2024). Ti può anche interessare: Graduatorie Concorsi come recuperare punteggi In motivazione il Consiglio di Stato ha descritto il funzionamento del “coefficiente di equalizzazione” con funzione correttiva del punteggio derivante dalle risposte date ai quesiti dal candidato; esso è ottenuto dalla differenza tra il valore massimo del punteggio non equalizzato, ovvero il massimo teorico raggiungibile per ogni prova in base alle risposte tutte esatte, e il coefficiente di facilità della prova. Tale strumento è pertanto concepito come valore espressivo in termini matematici dello scostamento medio di punteggio rispetto al massimo teorico fatto registrare per ogni quesito dai concorrenti nel periodo di misurazione statistica. In particolare, un maggiore scostamento, indice di maggiore difficoltà del quesito, si traduce in un punteggio aggiuntivo maggiore a quello per le risposte date rispetto al punteggio invece attribuibile laddove lo scostamento sia minore, e dunque il quesito si sia dimostrato di agevole soluzione. Seguici sui social Ma cosa è il coefficiente di equalizzazione? A questo riguardo, deve innanzitutto premettersi che in base al menzionato allegato 2 al decreto ministeriale del 24 settembre 2022, n. 1107, l’equalizzazione interviene in funzione correttiva del punteggio derivante dalle risposte date ai quesiti dal candidato, con lo scopo di omogeneizzare i punteggi finali per tenere conto del diverso grado di difficoltà dei quesiti di cui si compone ciascuna prova. In questa prospettiva, il punteggio equalizzato, sulla cui base è determinato l’ordine di merito dei candidati, si fonda sul coefficiente di equalizzazione, destinato ad intervenire aggiungendosi al punteggio (c.d. grezzo) risultante dalle risposte date dai medesimi candidati, secondo la modulazione di punteggio prevista dalla normativa di gara: 1 per la risposta esatta; 0 per la risposta omessa e -0,25 per la risposta errata. Il punteggio equalizzato è infatti « ottenuto sommando il punteggio ottenuto dal partecipante con le risposte date ai quesiti » con « un numero che misura la difficoltà della prova, chiamato coefficiente di equalizzazione della prova » A sua volta, il coefficiente di equalizzazione è dato dalla sommatoria dei coefficienti di facilità del singolo quesito, determinati in base alla media dei punteggi per le risposte fornite. Tenuto conto della poc’anzi richiamata modulazione, il coefficiente di facilità si attesta pertanto in un valore « compreso tra −0,25 e 1 », come ulteriormente chiarito nell’allegato 2 al decreto ministeriale. Calcolato il coefficiente di facilità della prova nel suo complesso, attraverso la sommatoria dei coefficienti di facilità dei quesiti di cui essa si compone, il coefficiente di equalizzazione della prova è infine ottenuto dalla differenza tra il « valore massimo del punteggio non equalizzato », ovvero il massimo teorico raggiungibile per ogni prova in base alle risposte tutte esatte (50), e il coefficiente di facilità della prova. il coefficiente di equalizzazione nei test di ingresso e nei concorsi pubblici Come al riguardo chiarito nella relazione tecnica depositata in giudizio dal CISIA, mentre il punteggio non equalizzato « può variare da -12,5 (=- 0,25x50), quando si risponde in modo errato a tutti i quesiti, a 50 (=1x50), quando si risponde in modo corretto a tutti i quesiti », il coefficiente di equalizzazione « potrebbe teoricamente variare da 0 (=50-50), quando tutti i partecipanti rispondono correttamente a tutti i quesiti, a 62,5 (=50-(-12,5)), quando tutti i partecipanti rispondono in modo errato a tutti i quesiti ». Ti può anche interessare: Concorso SNA guida al ricorso Si hanno dunque due forbici di punteggio: la prima derivante dalla modulazione prevista in base alla normativa concorsuale per le risposte date (esatte, omesse, errate); e la seconda su base statistica, espressiva del livello di difficoltà della prova quale risultato nel periodo di rilevazione sulla base delle risposte date da tutti i candidati. Il fattore correttivo di carattere statistico così previsto potrebbe in linea teorica non intervenire se il quesito sia risultato di facile risoluzione. All’opposto potrebbe modificare anche in misura superiore il punteggio derivante dalle risposte date in presenza di quesiti rivelatisi di particolare complessità. All’interno di questa forbice il coefficiente di equalizzazione è pertanto concepito come valore espressivo in termini matematici dello scostamento medio di punteggio fatto registrare per ogni quesito nel periodo di misurazione statistica. Ti può interessare: "Il ricorso collettivo al Tar conviene?" Il punteggio equalizzato è dunque un punteggio che a quello (grezzo) risultante dalle risposte date ai quesiti aggiunge l’ulteriore punteggio che misura la difficoltà di questi ultimi su base statistica . Hai un quesito? Contattaci Il valore ottenuto dalla misurazione statistica interviene dunque come fattore correttivo del punteggio finale della prova (detto appunto equalizzato) in ragione della funzione equalizzatrice svolta dal coefficiente ottenuto dalla misurazione su base statistica del livello di difficoltà dei quesiti di cui si compone la prova. Infatti, come poc’anzi esposto, il coefficiente di equalizzazione esprime matematicamente lo scostamento medio dei punteggi per ciascun quesito rispetto al massimo teorico, nel presupposto logico che la difficoltà di un quesito è ricavabile dal grado di approssimazione a tale massimo dei punteggi ottenuti in base alle risposte date. CdS 800/2024. Leggi il blog con speciale concorsi pubblici Il ricorso collettivo al TAR Prima di chiudere un cenno al "ricorso collettivo" davanti al TAR e Consiglio di Stato. Come abbiamo avuto modo di precisare non sempre è possibile effettuare un ricorso collettivo sebbene da un punto di vista pratico economico questo rappresenti o sembra rappresentare una opportunità per i candidati. Ed infatti l ’ammissibilità del ricorso collettivo postula invece un’omogeneità di posizioni giuridiche dei ricorrenti in forza della quale le domande di annullamento da ciascuno proposte con l’unitaria impugnazione siano rivolte nei confronti dei medesimi atti ( petitum ) e siano fondate sui medesimi fatti costitutivi ( causa petendi ). A sua volta l’omogeneità di posizioni è riferibile ad una situazione antecedente alla proposizione del ricorso, quando si attualizza in ciascuno dei soggetti l’interesse ad agire, e non è suscettibile di essere modificato per le vicende riguardanti singoli ricorrenti, come poc’anzi precisato. Per concludere nella presente fattispecie era pienamente ammissibile un ricorso collettivo. Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Assegno di mantenimento quando la revisione?

    Diritto di famiglia assegno di mantenimento quando é possibile una revisione? Spesso mi viene domandato se e quando può essere modificato l’assegno di mantenimento. Dopo la sentenza di separazione o divorzio, infatti, possono sopraggiungere eventi nuovi ed imprevedibili tali da determinare un mutamento nel tempo dell’assegno di mantenimento. Assegno di mantenimento quando la revisione? La somma da versare mensilmente, dunque, può subire una modifica al ricorrere di determinate condizioni: -peggioramento delle condizioni economiche dell’obbligato al versamento, ad esempio perdita o riduzione di lavoro; -aumento del reddito di uno dei due coniugi; -costituzione per uno dei due ex coniugi di un nuovo nucleo familiare; -stato di pensionamento del genitore obbligato al mantenimento; -aumento delle esigenze del figlio legate alla crescita ed allo sviluppo della sua personalità’. Hai un dubbio contattaci o leggi il blog E’ importante segnalare che il ricorrere dell’ultimo presupposto non ha bisogno di specifiche dimostrazioni ma può essere richiesto indipendentemente dalla modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi (Cass. Civ. Sent. n. 17055 del 2007). Anche recentemente la Cassazione ha ribadito che le necessità economiche dei figli aumentano con la loro crescita tanto da determinare una modifica dell’assegno di mantenimento  (Cass. Civ. Sentenza n. 13664/2022). Ai sensi dell’art. 337-ter, comma 1, c.c., infatti, i genitori sono tenuti a provvedere alle necessità dei figli quali cura, educazione, istruzione ed assistenza che ovviamente aumentano con il tempo. Una revisione dell’assegno di mantenimento, inoltre, può essere può essere determinato dalla formazione per uno dei due ex coniugi di un nuovo nucleo familiare, oppure dalla nascita di un altro figlio. Il formarsi di una stabile relazione familiare tra il coniuge obbligato al pagamento dell’assegno di mantenimento ed una nuova compagna, dunque, potrà legittimare la richiesta di una diminuzione dell’assegno di mantenimento, se ciò comporta dei benefici economici allo stesso, purché si tratti di un’unione stabile e regolare (Cass. Civ., Sentenza n. 17195/2011). Segui la pagina Instagram “Diritto di Famiglia L’unione, infatti, deve essere fondata sugli stessi principi del matrimonio, ovvero solidarietà, contribuzione ai bisogni della famiglia e reciproca assistenza morale e materiale. Per ottenere la modifica sarà necessario presentare un ricorso presso il Tribunale competente allegando tutte le prove che attestano il motivo della revisione, riduzione o aumento (Cass. Civ. Sent. n. 18530 del 7 settembre 2020). Leggi il blog in diritto di famiglia Avv Ilaria Paletti

  • L'annullamento dell'autorizzazione

    L'annullamento dell'autorizzazione così come l'annullamento di un atto amministrativo che attribuisca vantaggi economici al privato, ad esempio l'autorizzazione per il vincitore di concorso ad aprire una farmacia, così come ogni determina autorizzativa che attribuisca vantaggi economici anche in ambito sanitario è possibile entro un lasso temporale di 12 mesi dopo il rilascio ove vengano accertati vizi o incompetenze. E' infatti previsto che è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. mentre non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. seguici on line Come già rilevato dal Tar Sicilia in un caso analogo, sempre in relazione ad un’azione di annullamento di una determina di autorizzazione l’annullamento d’ufficio ai sensi dell’art. 21 novies della legge n. 241/1990 di un provvedimento ritenuto illegittimo da parte della stessa Autorità, che lo ha emanato, deve intervenire entro “ un termine ragionevole ”, che non può essere superiore a dodici mesi (fino alla novella del 29.07.2021 a diciotto mesi) l’adozione dell’atto da caducare. Leggi lo speciale sulle autorizzazioni e gli articoli a tema riportati qui sotto o clicca qui Ove l'amministrazione intraprenda l'annullamento oltre il termine dei 12 mesi è necessario che ricorrano alcune condizioni specifiche, pena l'illegittimità dell'annullamento. La fattispecie dell'annullamento oltre i 12 mesi quindi derogatoria, prevista dal comma 2 bis dell’art. 21 novies cit., prevede che i provvedimenti amministrativi possono essere annullati eccezionalmente oltre il predetto termine qualora siano stati conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti oppure di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato. Invero secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, l’art. 21  novies , legge n. 241/1990 deve essere interpretato nel senso che il superamento del rigido termine, entro il quale il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, è consentito: a) nel caso in cui la falsa attestazione, inerente i presupposti per il rilascio del provvedimento da annullare, sia il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive) accertata in modo definitivo in sede di giurisdizione ordinaria; b) oppure quando l’acclarata erroneità dei presupposti non sia comunque imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione, piuttosto al dolo (equiparato, di solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte istante . In tale seconda ipotesi non essendo ragionevole pretendere dall’incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione dell’iniziativa di autotutela, si deve fare riferimento esclusivamente a un parametro di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco (cfr. Consiglio Stato, Sez. V, sentenza 27 giugno 2018, n. 3940). Sotto altro profilo è stato pure chiarito che “ il provvedimento di autotutela decisoria deve in motivazione dare compiutamente atto delle false rappresentazioni della realtà che hanno influito in modo determinante sui provvedimenti che ora vengono ritenuti illegittimi fin dall’origine.  (…)  In proposito, il Consiglio di Stato ha precisato che non è sufficiente che l’informazione sia falsa, ma anche che la stessa sia diretta ed in grado di sviare l’Amministrazione nell’adozione dei provvedimenti che ci si appresta ad annullare ” (v.  ex multis  Consiglio Stato, Sez. VI, sentenza 15 marzo 2021 n. 2207, nonché C.G.A.R.S., 3 agosto 2022, n. 911). Quindi sarà soggetta ad annullamento anche oltre il termine dei 12 mesi l'autorizzazione o il permesso rilasciato sulla base di informazioni false fornite dall'interessato che abbiano sviato l'amministrazione Ed invece come evidenziato dal Tar Sicilia 2378/24 ove l'amministrazione abbia rilevato una semplice imperfezione della documentazione alla quale si sarebbe potuto tuttavia ovviare agevolmente mediante la richiesta agli interessati di integrazioni e di chiarimenti, nell’esercizio diligente dei poteri istruttori da parte del responsabile del procedimento non si verterà in tema di rappresentazioni false e quindi non sarà legittimo l'annullamento operato dall'amministrazione oltre il termine ordinario dei 12 mesi. Quindi ove manchi la prova (incombente sull’Autorità amministrativa) che le inesattezze della domanda e le lacune dell’apparato a corredo della stessa (quantunque realizzate in violazione ai doveri di buona fede e correttezza dei privati nei rapporti con la P.A.), fossero di per sé idonee a trarre in errore l’Amministrazione non sarà ammissibile un annullamento d'ufficio oltre il termine ordinario oggi ridotto a 12 mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato con il silenzio assenso. Va comunque precisato prima di chiudere la disamina che è sempre fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole. Studio Legale Angelini Lucarelli avv. Aldo Lucarelli

  • Cessione della Farmacia ed effetti dell'autorizzazione

    Ci viene chiesto di individuare quale sia il "momento" effettivo della cessione della farmacia tra cedente e acquirente. La domanda non è di facile soluzione in quanto alle regole ordinarie si applicano alcuni "correttivi" tipici del diritto farmaceutico e delle farmacie molto spesso ignorati Ed infatti se in un normale contratto di compravendita l'effetto reale sarà riconducibile al momento di perfezionamento del contratto o in diverso momento se viene così stabilito, si immagini alle vendite di quote con effetti futuri... la cessione della farmacia deve fare i conti con l'effetto "sospensivo" del passaggio dell'autorizzazione amministrativa da parte della pubblica amministrazione (art. 12 L. 475/1968) Cessione della Farmacia ed effetti dell'autorizzazione Va infatti ribadito quanto già affermato dalla Cassazione circa la subordinazione dell’effetto traslativo di una farmacia al riconoscimento del medico provinciale. Il provvedimento autorizzativo da parte della Pubblica Amministrazione (prima medico provinciale ora Regione) al trasferimento dell’azienda (come richiesto dalla L. 2 aprile 1968, n. 475, art. 12, comma 2) ha valore di condizione legale sospensiva (Cass. SS.UU. n. 6587 del 1983). In particolare, su tale solco la Cassazione n. 6050 del 1995, ha avuto modo di precisare che in tema di Cessione della Farmacia ed effetti dell'autorizzazione: “poiché ai sensi della L. 2 aprile 1968, n. 475, art. 12, comma 2, il trasferimento della farmacia è subordinato alla condizione legale sospensiva del riconoscimento del medico provinciale, tenuto ad esercitare il controllo dei requisiti richiesti dalla stessa legge per la gestione del servizio farmaceutico la vendita, come più in generale, ogni atto traslativo, tra vivi o “mortis causa” di una farmacia Cessione della Farmacia ed effetti dell'autorizzazione non solo non consente all’acquirente prima del riconoscimento, l’esercizio della farmacia ma neppure produce il suo effetto reale del trasferimento della proprietà dell’azienda, che solo dopo il predetto atto amministrativo, avente la natura giuridica di un’autorizzazione costitutiva, si realizza con efficacia retroattiva“. (conforme, Cass. n. 12747 del 2014). A ciò aggiungasi che il mancato avveramento di tale condizione quindi il riconoscimento dell'autorizzazione al nuovo acquirente, comporta il venir meno con effetto ex tunc (da allora quindi retroattivo) dell’effetto traslativo, quindi della cessione. In sintesi la compravendita della farmacia è soggetta alla "sospensione" temporale dovuta al passaggio dell'autorizzazione con tutto ciò che comporta in termini di problemi e questioni che dovessero sorgere tra il tempo del contratto di compravendita ed il tempo di autorizzazioine, come ad esempio i rapporti con i fornitori in caso di cessione di azienda e quindi di debiti e di rapporti con i dipendenti. Tale aspetto viene spesso sottovalutato con grandi rischi per la parte acquirente. Ciò comporta che in caso di mancata autorizzazione non essendosi verificato l’effetto traslativo del contratto di trasferimento di farmacia, le vicende del rapporto di lavoro svoltosi medio tempore con il cessionario, in quanto instaurato in via di mero fatto, non sono idonee ad incidere sul rapporto con il cedente ancora in essere, sebbene quiescente fino alla declaratoria di nullità della cessione (cfr. Cass. n. 5998 del 2019). Ed ecco quindi che in tema di rapporti di lavoro soggiunge la Cassazione del 2020 n. 9090, "Il rapporto di lavoro permane con il cedente e se ne instaura, in via di fatto, uno nuovo e diverso con il soggetto già, e non più, cessionario, alle cui dipendenze il lavoratore abbia materialmente continuato a lavorare, dal quale derivano effetti giuridici e, in particolare, la nascita degli obblighi gravanti su qualsiasi datore di lavoro che utilizzi la prestazione lavorativa nell’ambito della propria organizzazione imprenditoriale (Cass. n. 21161 del 2019)." Consulta il Blog e trova il Tuo caso Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Forniture sanitarie il bando ed il valore della campionatura

    Quali sono i criteri per interpretare un bando di gara? È possibile soffermarsi sul significato letterale? Quando na clausola può avere un significato differente se contestualizzata nel bando? Come si può considerare la campionatura di un prodotto ai fini di gara? Per rispondere a tali domande analizziamo la recente giurisprudenza in materia di interpretazione della lex specialis di gara. Forniture sanitarie il bando ed il valore della campionatura Giova precisare, come anche ritenuto dal Consiglio di Stato (ex multis Cons. Stato Sez. V, 31/10/2022, n. 9386) che nelle gare pubbliche, nell’interpretazione della lex specialis di gara devono trovare applicazione le norme in materia di contratti, e dunque anzitutto i criteri letterale e sistematico previsti dagli artt. 1362 e 1363 cod. civ.. Ciò significa che, ai fini dell’interpretazione della lex specialis, devono essere applicate anche le regole civilistiche ed è proprio la tutela dei principi dell’affidamento e della parità di trattamento tra i concorrenti che conduce all’interpretazione complessiva o sistematica delle varie clausole. Soltanto se il dato testuale presenti evidenti ambiguità, anche in ordine all’individuazione ed interpretazione delle clausole previste a pena di esclusione, l’interprete, in forza del principio di favor partecipationis, deve prescegliere il significato più favorevole al concorrente (ex multis, Consiglio di Stato sez. V, 20 luglio 2023 n. n.7113). Forniture sanitarie il bando ed il valore della campionatura In sintesi, quindi: a) l’interpretazione della lex specialis deve essere prioritariamente effettuata in ossequio ai criteri ermeneutici letterali e sistematici, nel senso cioè che l’interprete deve far proprio – per ovvie esigenze di certezza del diritto e di par condicio tra i concorrenti – quel significato che emerge univocamente dalla lettera della singola disposizione di gara (o dalla combinazione sistematica delle disposizioni di gara); b) soltanto se (e nella misura in cui) i criteri letterali e sistematici impediscano di pervenire ad un’interpretazione univoca della lex specialis (lasciando quindi le clausole ambigue e contraddittorie), l’interprete potrà optare per il significato ermeneutico che più di altri assicura il rispetto del principio del favor partecipationis. Ancora più in sintesi, il criterio dell’interpretazione più favorevole al concorrente ha natura esclusivamente sussidiaria, atteso che lo stesso può venire in rilievo soltanto se (e nella misura in cui) i criteri letterali e sistematici si siano dimostrati inidonei ad estrarre un precetto univoco. Forniture sanitarie il bando ed il valore della campionatura E quale valore assume la campionatura? L"utilizzo di campionature nelle procedure di gara. Essi possono essere compendiati nei termini che seguono: a) per un verso è stato ripetutamente affermato che “il campione non è un elemento costitutivo, ma semplicemente dimostrativo dell’offerta tecnica, che consente all’Amministrazione di considerare e vagliare l’idoneità tecnica del prodotto offerto: non è sua parte integrante, per quanto sia oggetto di un’apposita valutazione da parte della Commissione giudicatrice, perché la sua funzione è quella, chiaramente stabilita dall’art. 42, comma 1, lett. l), d.lgs. n. 163 del 2006, di fornire la “dimostrazione delle capacità tecniche dei contraenti”, per gli appalti di forniture, attraverso la “produzione di campioni, descrizioni o fotografie dei beni da fornire” (cfr. tra le tante Cons. St., Sez. V, n. 371 del 30 gennaio 2017); b) per altro verso è stato osservato, tuttavia, che la concreta funzione della campionatura va esaminata in relazione alle caratteristiche e alla disciplina della singola gara, e non in via generale ed astratta (cfr. T.A.R. Milano, 10/8/2016, n. 1598); sicchè, nel caso in cui la gara preveda l’attribuzione di un punteggio tecnico sulla base della valutazione di campioni, detti campioni rappresentano un elemento costitutivo dell’offerta tecnica e ne seguono le vicende. In questo caso gli aspetti qualitativi da valutare sono strettamente legati alla verifica “fisica” del prodotto; quindi l’offerta diviene “completa” solo con il deposito della campionatura, la cui mancata ottemperanza va sanzionata con l’esclusione dalla procedura. In sintesi, se da un lato è vero che il campione non costituisce un elemento costitutivo dell’offerta tecnica (con tutte le conseguenze che ne derivano, ivi inclusa l’impossibilità di escludere il concorrente soltanto per un’eventuale parziale difformità del campione rispetto alle specifiche tecniche di gara), dall’altro lato è anche vero che esso ben può rappresentare un elemento costitutivo dell’offerta tecnica se così è disposto dalla lex specialis (tanto con previsione espressa quanto con previsione implicita, come nel caso in cui l’assegnazione di alcuni punteggi tecnici sia basata sul concreto apprezzamento delle specifiche qualità del campione). Cds 2617/24 Hai un quesito? Leggi il blog o contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli Avv Aldo Lucarelli

  • Farmacisti l'associazione come ente autonomo

    Ci vengono spesso chiesti chiarimenti sulla "gestione associata" della farmacia, cosa sia, come sia regolata e soprattutto se sia un qualcosa di diverso dal singolo farmacista e dalla società ai fini delle incompatibilità e dei risvolti dell'autorizzazione soprattutto dopo che lo stesso Consiglio di Stato ha tenuto a precisare che l'autorizzazione degli associati del concorso è unica pro indiviso . Segui la Pagina on Line con articoli gratuiti a tema Cerchiamo quindi di capire cosa sia l'associazione di farmacisti post concorso e quali risvolti abbia. Hai un quesito? Contattaci o leggi il blog. Le questioni circa la natura della c.d. gestione associata , se essa sia riconducibile ad una forma individuale o al modello societario di attività imprenditoriale, vengono a perdere di decisività alla luce di quanto qui verrà detto. Segui la Pagina sui social con articoli in diritto farmaceutico Molto spesso infatti ci viene chiesto ed anzi sentiamo affermare che la gestione associata, soprattutto ove confluita a seguito del concorso in una società sia qualcosa di diverso, (per il diritto farmaceutico) a soggetto singolo farmacista ed ai propri obblighi, ma così non è, come confermato nella complessa ricostruzione da ultimo del Consiglio di Stato 2024. Il Consiglio di Stato, per quanto qui occorrer possa, ha già chiarito comunque che la forma associata non è una realtà giuridica diversa dai singoli farmacisti che concorrono alla sede  (v., sul punto, Cons. Stato, sez. III, 27 aprile 2018, n. 2569 e Cons. Stato, sez. III, 30 aprile 2019, n. 2804; Cons. Stato, parere n. 69 del 3 gennaio 2018) né un ente o una sorta di associazione temporanea di scopo tra questi per la gestione di una farmacia, assoggettabile alle disposizioni sulle associazioni (cfr. sul punto, Cons. Stato, sez. I, parere n. 2082 del 17 luglio 2019, reso in sede di ricorso straordinario, ma anche le considerazioni svolte più in generale nel citato parere n. 69 del 3 gennaio 2018, §§ 20-32). Hai un quesito? Contattaci In particolare si è già avuto modo di chiarire che la Regione, all’esito del concorso straordinario, deve assegnare anche formalmente la titolarità della sede vinta solo a quegli stessi farmacisti persone fisiche, che hanno a tale titolo partecipato al concorso, salvo, ovviamente, il diritto/dovere, in capo a questi, di gestire poi l’attività imprenditoriale nelle forme consentite dall’ordinamento (art. 2249, comma terzo, c.c.) e, comunque e nello specifico, dall’art. 7, comma 1, della l. n. 362 del 1991, novellato dalla l. n. 124 del 2017, come pure questo Consiglio di Stato ha ampiamente chiarito nel più volte citato parere n. 69 del 3 gennaio 2018 (Cons. Stato, sez. III, 27 aprile 2018, n. 2569). La titolarità della sede, all’esito del concorso straordinario, deve essere assegnata ai farmacisti “associati” personalmente, salvo successivamente autorizzare l’apertura della farmacia e l’esercizio dell’attività in capo al soggetto giuridico (società di persone fisiche o di capitali), espressione degli stessi – e non altri – farmacisti vincitori del concorso e assegnatari della sede, che sarà in grado di garantire la gestione paritetica della farmacia con il vincolo temporale di almeno tre anni (art. 11, comma 7, del d.l. n. 1 del 2012). Occorre quindi sgombrare il campo dell’analisi da ulteriori equivoci che si annidano nell’insidiosa locuzione giuridica di “ gestione associata ”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 11, comma 7, del d.l. n. 1 del 2012, ed evitare di confondere i diversi piani, quello concorsuale e quello, successivo, gestionale. I farmacisti concorrono alla sede messa a concorso straordinario « per la gestione associata », come espressamente prevede l’art. 11, comma 7, del d.l. n. 1 del 2012, gestione che, al momento del concorso e fino all’assegnazione della sede, non può essere realizzabile e ciò significa che detta gestione in forma associativa della sede, non conseguibile se non all’esito del concorso, indica solo la  finalità  della partecipazione in forma associata o, se si preferisce, cumulativa, non già una realtà esistente (del resto impossibile prima che la sede sia ottenuta), sicché è vano sul piano cronologico, prima che ancora errato sul piano giuridico, discettare se la gestione associata sia un quid diverso e ulteriore rispetto ai singoli farmacisti associati o un tertium genus rispetto alla gestione individuale o collettiva. L’esigenza razionalizzatrice o, se si preferisce, la naturale espansività delle categorie civilistiche, nella loro indubbia forza ordinante, non deve condurre a fuorvianti letture delle normative pubblicistiche di settore e all’ipostasi di concetti, spesso fluidi o elastici, che descrivono una realtà in divenire e non già ancora entificata o tipizzata dal legislatore,  come quello, appunto, della gestione associata la quale, come ha ricordato la Commissione speciale di questo Consiglio, consente con il cumulo dei titoli una ulteriore deroga al principio meritocratico posto a base del concorso ordinario, nell’assegnazione della sede, per l’eccezionalità delle esigenze sottese al concorso straordinario (§§ 20-21 del parere n. 69 del 3 gennaio 2018). E se questa fluidità o elasticità del legislatore pubblicistico può creare incertezze e interrogativi, sul piano della coerenza sistematica, i dubbi non possono essere risolti solo con la posizione di alternative secche, di irriducibili anfibologie, o con la forzata riconduzione delle norme di diritto pubblico, secondo armonie prestabilite, ad un sistema – quello civilistico – che può applicarsi alla disciplina del diritto amministrativo solo nei limiti della compatibilità. Puo' anche interessare: "Il divieto di cessione infradecennale della farmacia ai fini concorsuali" E da questo rischio occorre guardarsi nell’interpretare anche la controversa categoria della gestione associata. I singoli farmacisti possono aspirare alla gestione associata della sede, come prevede l’art. 11, comma 7, del d.l. n. 1 del 2012, « sommando i titoli posseduti », e la loro partecipazione “associata” al concorso straordinario, sulla base di un accordo inteso alla futura gestione - assimilabile, forse e a tutto concedere, ad un contratto plurilaterale con comunione di scopo o ad un pactum de ineunda societate  - comporta un mero cumulo di titoli in vista -appunto: « per la » – futura gestione associata della sede agognata. Solo ove detto cumulo – previsto dal legislatore, anche in questo caso, per « favorire l’accesso alla titolarità delle farmacie da parte di un più ampio numero di aspiranti, aventi i requisiti di legge », con una ulteriore vistosa deroga al principio meritocratico tipico del concorso, e non già, ancora una volta, per consentire agli stessi farmacisti associati di ottenere addirittura la titolarità di ben due farmacie – risulterà fruttuoso sul piano della graduatoria e condurrà all’assegnazione della sede a quegli stessi farmacisti, persone fisiche, si porrà, poi, l’effettivo problema della gestione della farmacia in forma “collettiva”. La titolarità della farmacia attribuita alla società da essi costituita per garantire la gestione associata, nelle forme ora consentite dall’art. 7, comma 1, della l. n. 362 del 1991, sarà peraltro « condizionata al mantenimento della gestione associata da parte degli stessi vincitori, su base paritaria, per un periodo di tre anni dalla data di autorizzazione all’esercizio della farmacia, fatta salva la premorienza o sopravvenuta incapacità » (art. 11, comma 7, del d.l. n. 1 del 2012). L'autorizzazione della Farmacia come un unico pro indiviso:  In altri termini, e più semplicemente, i farmacisti concorrenti per la gestione associata otterranno personalmente e pro indiviso , per così dire, la sede messa a concorso, salvo poi essere autorizzati alla titolarità dell’esercizio in una forma giuridica, tra quelle previste dall’art. 7, comma 1, della l. n. 362 del 1991, che consenta l’esercizio in forma collettiva dell’attività imprenditoriale e la gestione paritetica per almeno tre anni. Queste forme, come ha chiarito questo Consiglio di Stato sia in sede consultiva – v. il già citato parere n. 69 del 3 gennaio 2018 – sia in sede giurisdizionale, saranno appunto quelle societarie previste ora dall’art. 7, comma 1, della l. n. 362 del 1991, novellato dalla l. n. 124 del 2017, secondo la generale previsione dell’art. 2249, comma terzo, c.c., purché compatibili con l’esercizio in forma collettiva, paritetica e triennale, della farmacia: ma è evidente che la questione delle forme in cui si eserciterà il sodalizio è un tema diverso, e successivo alla fase concorsuale di cui qui si controverte a monte , dovendo preliminarmente risolversi la questione se sia consentito ai singoli farmacisti, singolarmente o cumulativamente, di ottenere due sedi all’esito del concorso straordinario. La risposta è all’evidenza negativa , per le ragioni già dette, ed è quindi irrilevante porsi il problema a valle se, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), della l. n. 362 del 1991 siccome novellato dalla l. n. 124 del 2017, una società di farmacisti, che veda quali soci i due farmacisti, possa essere titolare di due sedi farmaceutiche. Il problema non si pone perché una società, di persone o di capitali, mai potrebbe concorrere al concorso straordinario, riservato solo ai farmacisti persone fisiche candidati, singolarmente o per la gestione associata, ed essi non possono ottenere, sotto la veste di una distinta soggettività giuridica (come nel caso delle società di persone) o addirittura attraverso lo schermo (successivo) della personalità giuridica quale forma di autonomia patrimoniale perfetta (come nel caso delle società di capitali), nulla di più o di diverso di quanto loro consenta  in radice  l’art. 11 del d.l. n. 1 del 2012. Non si controverte infatti, nel presente giudizio, della questione se due farmacisti soci di una stessa società, prevista dall’art. 7, comma 1, della l. n. 362 del 1991, possano essere titolari di due distinte farmacie, con la conseguente applicabilità o meno della incompatibilità prevista dall’art. 8, comma 1, lett. b), della stessa legge al farmacista socio di società titolare di due farmacie, ma solo se un farmacista persona fisica concorrente possa ottenere/mantenere due sedi all’esito del concorso straordinario. Né sul piano della coerenza sistematica la straordinarietà del concorso, previsto dall’art. 11 del d.l. n. 1 del 2012, consente di porsi eventuali questioni di contrasto con l’indirizzo legislativo assunto dalla l. n. 124 del 2017, inteso a garantire l’apertura del settore farmaceutico anche ai capitali azionari e alla gestione delle farmacie da parte di società di capitali, oltre che di persone. Leggi il blog e trova il tuo caso È evidente, infatti, che la ratio del concorso straordinario, come si è visto più volte, è quella di « favorire l’accesso alla titolarità delle farmacie da parte di un più ampio numero di aspiranti, aventi i requisiti di legge, nonché di favorire le procedure per l’apertura di nuove sedi farmaceutiche garantendo al contempo una più capillare presenza sul territorio del servizio farmaceutico », e non già quella di far conseguire due sedi ad eventuali, successive, società di persone o di capitali, alle quali è precluso in radice di partecipare al concorso straordinario, aperto solo ai farmacisti persone fisich che non siano già titolari di sede,  mentre le generali perevisioni della l. n. 124 del 2017 sono invece intese a consentire un cumulo temperato di titolarità, in capo alle società di persone e ora anche di capitali, peraltro nei limiti segnati dall’art. 1, comma 558, della stessa legge e sotto il controllo, ai sensi del successivo comma 559, da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, attraverso l’esercizio dei poteri di indagine, di istruttoria e di diffida ad essi attribuiti dalla l. n. 287 del 1990. Le due normative operano su due piani differenti e non interferenti, nemmeno nell’ipotesi in cui ad ottenere due sedi messe a concorso straordinario siano i singoli farmacisti concorrenti per la gestione associata, piani che non devono essere in nessun modo confusi , sovrapposti o addirittura contrapposti per la specialità o, per meglio dire, l’eccezionalità delle esigenze sottese al regime del concorso straordinario. CdS 3683/2024. Leggi pure: "Farmacie e la decadenza dell'autorizzazione" Possiamo quindi concludere che la “gestione associata” non è un terzo genus rispetto al singolo farmacista per quel che concerne le norme che regolano la normativa farmaceutica ma solo una forma di partecipazione in divenire del Concorso che si concretizzerà in una unica autorizzazione. Hai un quesito? Leggi il Blog in diritto farmaceutico o contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • La Società in nome Collettivo il patto di famiglia ed il creditore del socio

    Ci viene chiesto quale sia la sorte di un creditore particolare del singolo socio titolare di SNC una volta che questa sia stata ceduta a terzi e sia stato eseguito un patto di famiglia. Prima di procedere è necessario precisare che nelle società in nome collettivo, SNC, il creditore particolare del socio, ovvero del singolo socio e quindi non della farmacia, finché dura la società non può chiedere la liquidazione della quota (art. 2305 cc). Ed ancora che in tema di “patto di famiglia”   è un contratto disciplinato agli articoli 768 bis e seguenti del Codice Civile con il quale l'imprenditore o il socio di una società possono trasferire, in tutto o in parte ad uno o più discendenti, ossia a figli o nipoti, l'azienda o le proprie quote social i. In pratica, il patto di famiglia consente di anticipare la successione dell'imprenditore, permettendo il passaggio generazionale all'interno dell'impresa e sottraendola a future dispute ereditarie. I beneficiari sono infatti tenuti a liquidare, in denaro o in natura, gli altri partecipanti al contratto, a meno che questi ultimi non vi rinuncino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote di legittima. Si tratta in sostanza di un anticipo dell’eredità. Assistenza legale in diritto civile e commerciale scopri la consulenza on line A questo punto si innesta il caso prospettato, ove un creditore del singolo socio di SNC abbia agito in giudizio con azione revocatoria ordinaria (art. 2910 cc) al fine di recuperare il proprio credito, pregiudicato a suo dire dall'avvenuta cessione della SNC da parte del titolare suo debitore. Patto di Famiglia, Creditore del Singolo Socio Il primo punto da chiarire è che nel giudizio di revocazione ordinaria intrapreso ai sensi dell'art. 2901 cod. civ. nei confronti di patto di famiglia ai sensi dell'art. 768 - bis cod. civ. sussiste il litisconsorzio necessario del coniuge e degli altri legittimari che abbiano partecipato al contratto poiché da esso consegue l'obbligazione degli assegnatari delle partecipazioni societarie o dell'azienda di liquidare costoro mediante il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti del codice civile (art. 768 - quater cod. civ.), a conclusioni diverse deve però pervenirsi ove gli altri partecipanti al patto di famiglia abbiano rinunciato in tutto alla liquidazione. Segui la pagina Chiarito che i coniugi sono chiamati nella causa intenta dal creditore solo se questi abbiano avuto un vantaggio liquidato dal patto si famiglia, è necessario ora soffermarsi sulle sorti della quota della SNC (azienda) ceduta. Quota di SNC non espropriabile dal creditore del singolo socio finché dura la società Non è in discussione la non espropriabilità della quota della società in nome collettivo del socio debitore da parte del creditore prima dello scioglimento della società (salvo che l'atto costitutivo preveda la libera trasferibilità con il solo consenso di cedente e cessionario - Cass. 7 novembre 2002, n. 15605). Leggi il blog e trova la risposta al tuo caso Ne consegue che la quota è espropriabile se sia stato deliberato lo scioglimento della società e compiuta la liquidazione o comunque una volta che sia stata liquidata la quota del socio debitore per lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente a costui. L'azione revocatoria, il cui effetto è la possibilità di promuovere nei confronti del cessionario le azioni esecutive o conservative sul bene oggetto dell'atto impugnato (art. 2902, comma 2, cod. civ.), è funzionale al compimento degli atti esecutivi una volta che la quota sia diventata espropriabile per effetto della liquidazione. assistenza legale in societario e controversie civili Il creditore del socio che abbia ceduto la propria quota non può però far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore finché dura la società, o compiere gli atti conservativi sulla quota spettante nella liquidazione,  perché trattasi di facoltà estranea agli effetti dell'azione revocatoria che presuppone la qualità di creditore particolare di colui che è attualmente socio. Per la stessa ragione non può fare opposizione alla proroga della società. Va in conclusione enunciato il seguente principio di diritto: "il creditore, che abbia ottenuta la dichiarazione di inefficacia nei suoi confronti dell'atto di cessione della quota di società in nome collettivo compiuto dal suo debitore, può promuovere nei confronti del cessionario le azioni esecutive, se munito titolo esecutivo, o conservative aventi ad oggetto il credito risultante dalla liquidazione della quota" Cass. 12228/2023.   Studio Legale Angelini Lucarelli Diritto Civile e Commerciale Avv. Aldo Lucarelli

  • Medico e Farmacista in società tramite una società?

    Avrebbe potuto un Medico esercitare anche indirettamente attività di farmacista? Chiesta in tal modo appariva una domanda infondata, ma forse se avessimo chiesto Puo' una società gestire sia una attività clinica che una farmacia? A questa seconda domanda molti non avrebbero saputo dare una risposta visto che poi nella pratica non sarebbe difficile per una società gestire contemporaneamente una clinica, una RsA ed appunto una farmacia. Oggi possiamo dire che non è possibile in via generale una risposta univoca ed automatica sebbene il punto cruciale attiene al rapporto tra la clinica privata e i medici che in essa (e per essa) svolgono la loro attività . Per quanto indubbiamente peculiare, in ragione della autonomia e libertà di cura del medico anche alla luce delle regole deontologiche di tale professione, tale rapporto vede pur sempre rispondere la struttura a titolo contrattuale per il comportamento dei medici della cui collaborazione si avvale per l’adempimento della propria obbligazione, ancorché possano non essere suoi dipendenti, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costoro effettuata e l’organizzazione aziendale della casa di cura, il che giustifica l’applicazione della regola posta dall’art. 1228 c.c. (come ribadito da ultimo dall’art. 7 della l. n. 24 del 2017). L’insieme di queste considerazioni debbono quindi condurre a ritenere che anche una persona giuridica, in particolare una clinica privata, possa considerarsi esercitare, nei confronti dei propri assistiti, la professione medica ai fini della previsione di cui all’art. 7, comma 2, secondo periodo, della l. 362/1991. Va precisato ancora come non si tratta di dare corso ad interpretazioni estensive o analogiche di cause o regole escludenti tassative, quanto, piuttosto, di privilegiare un’interpretazione funzionale e sistematica, coerente con la ratio ispiratrice della veduta regola di incompatibilità che mira ad evitare commistioni di interessi “tra medici che prescrivono medicine e farmacisti interessati alla vendita, in un'ottica di tutela del diritto alla salute di rango costituzionale” (così Cass. sez. III, n. 4657 del 2006, che richiama Cons. St., sez. IV, n. 6409 del 2004 e CdS 5/22.) Una volta rinvenuto nella fattispecie in esame l’elemento dell’esercizio della professione medica, ne consegue che sussiste l’incompatibilità di cui all’art. 7, comma 2, secondo periodo, nel senso che la casa di cura non può avere partecipazioni in una società titolare dell’esercizio della farmacia. Pertanto, anche una persona giuridica, in particolare una clinica privata, può considerarsi esercitare, nei confronti dei propri assistiti, la professione medica ai fini della previsione di cui all’art. 7, comma 2, secondo periodo, della l. 362/1991. Non può avere – giova precisare – alcuna partecipazione, ovvero non può esserne socio in nessun modo, senza che occorra distinguere in ragione della natura e della incidenza della singola partecipazione, essendo la disposizione di legge sufficientemente chiara nel legare questa incompatibilità alla partecipazione in quanto tale, nella misura in cui ad essa si correla comunque la prospettiva di ricavarne degli utili. Diversa può essere la conclusione, sulla scorta di Corte cost. n. 11 del 2020, al cospetto di incompatibilità differenti, segnatamente quella di essere il socio titolare di rapporti di lavoro pubblico o privato, rispetto a cui si può valorizzare la formula “per quanto compatibili” impiegata all’art. 7, comma 2, terzo periodo, senza della quale un’interpretazione rigorosamente letterale finirebbe per consentire la partecipazione solo (o quasi) a studenti, disoccupati o pensionati Questa la sintesi del Consiglio di Stato n. 5/2022 che dopo aver analizzato le differenti ratio ispiratrici delle incompatibilità descritte nelle norme di riferimento ed in particolare nella legge 362 del 1991 articolo 7 co. 2 ed 8, ha concluso in modo sorprendente affermando che Differentemente, in assenza di una società unipersonale e quindi di una partecipazione totalitaria, (ma sempre ragionando in relazione ad un diverso tipo di incompatibilità) dovrebbe assumere rilevanza una partecipazione che comunque permetta di concorrere nella gestione della farmacia, n el senso di influenzarne le scelte aziendali. Non rileverebbe quindi qualunque partecipazione sociale ma quella che possa dare al socio il controllo della società, nei modi gradatamente indicati dal citato art. 2359 e in presenza dei quali, come si è già osservato, opera la presunzione di direzione e coordinamento (ricavabile anche aliunde , in specie dall’essere la società tenuta al consolidamento del proprio bilancio). Soccorrono evidentemente le regole e gli istituti propri del diritto societario, nell’elaborazione offertane in primo luogo dalla giurisprudenza civile. Da quanto sopra si ricavano due principi di diritto nel il rapporto medico - farmacista - impresa secondo l'adunanza plenaria del CdS 5/22: Scopri il sito dedicato agli articoli per farmacisti (i) la nozione di “esercizio della professione medica” , ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 7, comma 2, secondo periodo, della l. 362/1991, deve ricevere un’interpretazione funzionale ad assicurare il fine di prevenire qualunque potenziale conflitto di interessi derivante dalla commistione tra questa attività e quella di dispensazione dei farmaci, in primo luogo a tutela della salute; in tal senso deve ritenersi applicabile la situazione di incompatibilità in questione anche ad una casa di cura, società di capitali e quindi persona giuridica, che abbia una partecipazione in una società, sempre di capitali, titolare di farmacia; (ii) una società concorre nella “gestione della farmacia”, per il tramite della società titolare cui partecipa come socio, qualora, per le caratteristiche quantitative e qualitative di detta partecipazione sociale, siano riscontrabili i presupposti di un controllo societario ai sensi dell’art. 2359 c.c., sul quale poter fondare la presunzione di direzione e coordinamento ai sensi dell’art. 2497 c.c. Una volta rinvenuto nella fattispecie in esame l’elemento dell’esercizio della professione medica, ne consegue che sussiste l’incompatibilità di cui all’art. 7, comma 2, secondo periodo, nel senso che la casa di cura non può avere partecipazioni in una società titolare dell’esercizio della farmacia. CdS 5/22 Tale principio, ad avviso di chi scrive, è estendibile alla luce di quanto affermato dal Consiglio di Stato anche in altri casi in cui si generi di fatto detta commistione in cui un centro di interessi detenga partecipazioni comuni all'ambito medico ed alla farmacia. Hai un quesito? Leggi il blog o contattaci Home Studio Legale Angelini Lucarelli Diritto Farmaceutico a cura di Aldo Lucarelli.

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gli articoli del blog non costituiscono consulenza sono casi di scuola ad uso studio di carattere generale e non prescindono dalla necessità di un parere specifico su caso concreto.

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