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  • Fallimento e bancarotta della farmacia e del farmacista

    L’autorizzazione della farmacia può essere dichiarata decaduta  ove a seguito di procedura fallimentare non venga approvato il concordato nei successivi 15 mesi di gestione provvisoria, ai sensi dell’art 113 del testo unico. In tali casi il curatore designato dal Tribunale Fallimentare potrà affidare allo stesso farmacista uscente la gestione provvisoria al fine di cedere l’autorizzazione e quindi monetizzare per ripartire l’attivo tra i creditori intervenuti. Leggi pure: Fallimento della Farmacia e prosecuzione dell’attività L’esercizio provvisorio deve essere autorizzato dalla Asl/Asp ed é volto a preservare l’azienda così come il servizio farmaceutico di zona (zona di competenza) ed evitare il ben più severo rimedio della decadenza dell’autorizzazione. Data la complessità e la specificità della materia di diritto farmaceutico il curatore potrà avere degli ausiliari tra cui anche lo stesso farmacista titolare. Leggi pure: Farmacia ed il fallimento dei soci É possibile procedere alla vendita della farmacia (avviamento/autorizzazione/immobilizzazioni/giacenze/crediti e cespiti aziendali) anche mediante un procedimento competitivo all’interno del concordato preventivo previa autorizzazione decreto del Tribunale. Particolare questione merita il rispetto dei termini, attenzione alla decadenza prevista dall’art 113 del testo unico lettera d) per la chiusura protratta da oltre 15 giorni dalla data del fallimento, che potrebbe, ( condizionale d’obbligo) portare all’avvio di un procedimento di decadenza da parte della Asl/Asp  in caso di mancata comunicazione tempestiva da parte del curatore per l’esercizio provvisorio, che a sua volta é soggetto al termine perentorio di 15 mesi di gestione, all’interno del cui spazio temporale é necessario calare la procedura con concorsuale e quindi di vendita competitiva. Casi isolati segnalano l’affitto dell’azienda farmacia in vista della cessione sebbene come affrontato in altri articoli l’azienda farmacia non potrebbe essere oggetto di affitto d’azienda sebbene in tale ipotesi sarebbe logico in vista di una imminente ed obbligatoria cessione. La farmacia ed il suo titolare nell’iter fallimentare tra problemi di diritto farmaceutico e procedurali Altro aspetto da segnalare é la eventuale mala gestio della farmacia e della relativa liquidità di cassa in caso di fallimento. Si segnalano di procedimenti penali ex art 216/219 legge fallimentare per bancarotta. l’ampiezza delle tematiche non ci consente di dilungarci oltre, leggi il blog  o contattacii  i per il tuo caso specifico. Studio Legale Angelini Lucarelli Diritto Farmaceutico Avv Aldo Lucarelli

  • vendita di immobile ed estinzione della società

    In caso di cessazione della società venditrice prima del rogito è possibile agire nei confronti degli ex soci? Segui la Pagina on Line con articoli gratuiti a tema La domanda viene sollevata per quei casi in cui la società venditrice abbia promesso la vendita, incassato alcune somme, ma poi non abbia trasferito il bene immobile a causa di una cancellazione volontaria dal registro delle imprese, con frustrazione dei malcapitati acquirenti. La risposta è affermativa , si potrà agire nei confronti dei soci per l'obbligazione di concludere il contratto di vendita anche se la società è estinta, e ciò in quanto si tratta di un obbligo di “fare” che in quanto tale non è estinto per la cancellazione della società dal registro delle imprese. Ed infatti come nel caso di decesso della persona fisica, che abbia avuto la veste di promittente alienante in una vendita immobiliare - contro gli eredi è azionabile il diritto del promissario acquirente alla stipulazione del contratto definitivo (Cass. Sez. n. 1087 1995); Ne discende che, all'esito della stipulazione di una promessa di vendita, il decesso del promittente alienante prima della stipulazione del definitivo non comporta ostacolo all'obbligo di concludere il contratto definitivo nei confronti degli eredi del promittente venditore, in quanto siffatto evento non configura una situazione di sopravvenuta impossibilità di adempimento del detto preliminare, ma comporta soltanto l'automatica variante dei soggetti tenuti al trasferimento della piena proprietà del bene. vendita di immobile ed estinzione della società Infatti, gli eredi del promittente venditore succedono nella stessa posizione processuale che quest'ultimo rivestiva nel preliminare e subentrano nei correlati obblighi. La medesima conclusione vale nell'ipotesi in cui la veste di promittente alienante sia assunta da una società, di cui sopravvenga l'estinzione prima della stipulazione del definitivo. Anche a fronte dell'obbligo di concludere il definitivo - assunto dalla società estinta - si rientra nell'ambito dei crediti sociali non soddisfatti che possono essere fatti valere dai creditori nei confronti dei soci assumendo i soci i diritti e gli obblighi della società estinta in ordine ai rapporti ancora pendenti al tempo della cancellazione, analogamente a quanto accade nel caso di fusione societaria, che pure realizza un fenomeno estintivo (Cass. Sez. U, Sentenza n. 21970 del 30/07/2021). vendita di immobile ed estinzione della società Dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta. (Cass. Sez. Un. 6070/2013.) La limitazione della responsabilità dei soci - i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali - attiene precipuamente alle obbligazioni di dare... e non di fare Leggi il Blog in diritto immobiliare e contrattualistica Quanto alle obbligazioni di fare, infatti, non è necessario un ulteriore "prerequisito", consistente nella percezione da parte di questi ultimi di una quota eventuale dell'attivo, potendo sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono trasferiti ai soci (Cass. n.37932/2022) Pertanto, i soci subentrano e i rapporti obbligatori continuano, essendo i soci equiparati a successori universali per le eventuali sopravvenienze o sopravvivenze non contemplate nel bilancio di liquidazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4060 del 22/02/2010). vendita di immobile ed estinzione della società Dall'estinzione della società, derivante dalla sua volontaria cancellazione dal registro delle imprese, non discende l'estinzione degli obblighi di facere ancora insoddisfatti Hai un quesito? Contattaci E ciò senza che assuma alcuna rilevanza il fatto che tali ex soci non siano divenuti proprietari dell'immobile oggetto della promessa di vendita. Leggi il Blog Di talchè i soci della società estinta possono essere convenuti in giudizio qualora la causa abbia ad oggetto obbligazioni della società diverse da quelle riguardanti somme di denaro. (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 6598 del 06/03/2023 e Cass. Civ. 15762/23). Studio Legale Angelini Lucarelli

  • Esclusione dell'impresa e comportamenti sleali

    Appalti: parliamo dell'obbligo di concessione del contraddittorio in caso di comportamenti sleali da parte dell'impresa prima dell'esclusione da parte della stazione appaltante La tematica è comune per tutti i tipi di impresa da quella manifatturiera edile alla sanitaria farmaceutica purché si verta in tema di appalto. Per principio generale le esclusioni per comportamento scorretto debbono essere di regola precedute da un adeguato contraddittorio,  tra stazione appaltante e impresa, affinché quest’ultima possa fornire adeguata dimostrazione di eventuali misure di self cleaning nel frattempo adottate sul piano tecnico ed organizzativo. Come rilevato dalla giurisprudenza (Cons. Stato, sez. V, 30 settembre 2020, n. 5732), la normativa di cui all’art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016 (commi 7 ed 8) prevede in estrema sintesi che: Segui la Pagina on Line con articoli gratuiti a tema “ a) le Stazioni Appaltanti possono procedere all'esclusione di un concorrente unicamente dopo che le stesse dimostrano, con mezzi adeguati, che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità, vietando qualsiasi automatismo all'esclusione dalle procedure di gara; b) il concorrente che si trova in una delle ipotesi di esclusione, deve essere messo nelle condizioni di fornire la prova di aver adottato tutte le misure contestate, dimostrando la sua affidabilità per non essere escluso dalla gara (principio di proporzionalità)” . Prosegue la stessa decisione di questa sezione affermando che: “ L'onere del contraddittorio - oltre ad esser stato introdotto normativamente - è stato anche ribadito e procedimentalizzato dall'ANAC nel paragrafo VI delle Linee Guida n. 6-2017, ove è stato previsto che "l'esclusione dalla gara ai sensi dell'art. 80, comma 5, lettera c), deve essere disposta all'esito di un procedimento in contraddittorio con l'operatore economico interessato" . Esclusione dell'impresa e l'obbligo del contraddittorio in caso di comportamenti sleali Sul piano giurisprudenziale va ormai affermandosi l’indirizzo secondo cui, in particolare:“ la giurisprudenza più recente, anche della Sezione (cfr. Cons. Stato, sez. III, 20 febbraio 2023, nn. 1700 e 1719) ha, in effetti, superato l'impostazione per cui le misure di self-cleaning sono irrilevanti se adottate nel corso della gara, in quanto destinate a valere solo per il futuro, in favore di una lettura maggiormente in linea con i principi europei per cui le predette misure vanno sempre valutate dalla stazione appaltante” . Ed ancora: “ la giurisprudenza nazionale più recente (cfr. CGA, 13 luglio 2022, n. 829), facendo, invero, applicazione della sentenza della Corte di Giustizia UE 14 gennaio 2021 (causa C-387/19), ha affermato che le misure di ravvedimento operoso possono essere poste in essere "in qualunque fase della procedura che proceda l'adozione della decisione di aggiudicazione" (cfr. § 29 della sentenza)” . Appalti: Esclusione dell'impresa e comportamenti sleali Dunque, le misure di self cleaning possono essere dimostrate non solo  de futuro ma anche per le gare “in corso”. Tanto ulteriormente premesso, non deve essere ignorato un certo orientamento (tra l’altro proprio di questa sezione: Cons. Stato, sez. V, 12 novembre 2019, n. 7749;) secondo cui la mancanza di leale collaborazione da parte del concorrente escluso (informazioni omesse su fatti rilevanti per la affidabilità professionale) possa esonerare la stazione appaltante dall’obbligo di attivazione dell’invocata misura partecipativa. Riassumendo i termini della questione: L’illecito professionale non può essere mai fonte di esclusione automatica ma soltanto di estromissione disposta a seguito di contraddittorio procedimentale; In occasione di tale contraddittorio, l’impresa accusata di illecito professionale è ammessa a provare di avere adottato efficaci misure di self cleaning ; Tali misure debbono essere valutate, dalla stazione appaltante, non solo per le gare future ma anche per quelle in corso; L’efficacia o meno di tali misure deve riguardare non solo i comportamenti contrattualmente scorretti ma anche, se del caso, quelli proceduralmente sleali ; In altre parole, in caso di esclusione dell'impresa il contraddittorio procedimentale è diretto a valutare, altresì, se il comportamento sleale nei confronti della stazione appaltante sia da ascrivere soltanto al precedente assetto organizzativo decisionale (dal quale ci si intende poi discostare) CdS 3858/2024 Hai un quesito? cerca il tuo caso nel blog o contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli

  • Il divieto di partecipazione decennale al Concorso Farmacie

    Torniamo a parlare del divieto di ottenimento di una nuova farmacia se non dopo il decennio dalla vendita e l'applicabilità di tale divieto anche per i soci di società. Leggi pure: farmacia e responsabilità del comune per mancata apertura Il punto di partenza della vicenda non risiede solo  nel concorso farmacie e nel suo bando, il famigerato articolo 2 punto 6, ovvero “non aver ceduto la farmacia negli ultimi dieci anni” bensì nella applicazione pratica dell'art. 12 della legge 475 del 1968 secondo cui “Il farmacista che abbia ceduto la propria farmacia ai sensi del presente articolo o del successivo articolo 18 non può concorrere all'assegnazione di un'altra farmacia se non sono trascorsi almeno dieci anni dall'atto del trasferimento.” Segui la pagina su Facebook con articoli quotidiani gratuiti Il divieto di partecipazione decennale al Concorso Farmacie Tale precisazione è necessaria per comprendere l'iter evolutivo della vicenda che ha portato al noto atto dirigenziale 748 del 2023 con cui la Regione Campania recependo il dictat del Consiglio di Stato n. 6016 del 2023 ha escluso le candidature ove uno dei componenti aveva ceduto una quota di società (di persone prima e di capitali poi) a sua volta di società titolare di farmacia.   Segui la Pagina on Line con articoli gratuiti a tema Ed ecco quindi che ... la ratio cui risponde la diversa norma di cui all’art. 12, comma 4, concerne il divieto per dieci anni di partecipare a concorsi per l’assegnazione di sedi farmaceutiche in capo a chi abbia ceduto la titolarità della farmacia a seguito di precedente concorso. Il divieto di partecipazione decennale al Concorso Farmacie Correttamente, dunque, il Tar (Napoli 1341/23) ha stabilito che debbano essere esclusi dalla graduatoria (anche) i titolari di quote di una società di persone che deteneva una farmacia e delle quali successivamente si sono disfatti attraverso la cessione a terzi tramite trasformazione in SRL. Non è quindi la natura della SRL ad essere stata censurata bensì' l'elusione realizzata dalla trasformazione della società di persone (vietata dal CdS 2763/2022) in società di capitali. In altre parole, ai fini della verifica dell’incompatibilità (anche a seguito dell’acquisizione di una nuova farmacia) sancita dalla legge, non viene in rilievo l’ammissibilità e la liceità della trasformazione della società (da società di persone a società di capitali) e della fattispecie a formazione progressiva di cui è espressione il collegamento negoziale, quanto, ex se, la precedente titolarità di farmacia, successivamente dismessa. Non solo, infatti, è questa doppia evenienza (pregressa titolarità del presidio, anche attraverso la detenzione della quota di società di persone e sua successiva cessione, intermediata dalla trasformazione societaria) ad integrare gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 12 comma 4, a prescindere da ogni altra considerazione sulla liceità dei passaggi negoziali che hanno condotto alla trasformazione della società e al subentro di questa, nella sua veste di società di capitale, nella titolarità della farmacia; ma, deve aggiungersi, diversamente opinando si finirebbe per consentire l’aggiramento del divieto di cui all’articolo 12, comma 4 attraverso una impropria giustapposizione di discipline solo in parte collimanti (cfr. Consiglio di Stato,Sezione III, 2 agosto 2022, n. 6775, 10 gennaio 2020, n. 229); mentre, come noto, la funzione dell’incompatibilità fissata dall’art. 12, comma 4, L. n.475/1968 in parola – è notoriamente quella di evitare la conseguenza che la “disponibilità” degli esercizi farmaceutici , nel senso dell’affidamento della relativa titolarità, dipenda in buona parte dai farmacisti stessi, e venga quindi sottratta alla dinamica concorsuale, consentendo loro di decidere di cedere la farmacia (e così individuarne il titolare) e liberamente concorrere per una nuova assegnazione (cfr., ex pluribus, Cons. Stato, Sez.III, 10 gennaio 2020 n. 229): e ciò in dispregio del fatto che fornire medicinali è un servizio pubblico che, ovviamente, prevale sul diritto del singolo a lucrare sull’attività farmaceutica stessa (come ampiamente osservato dal Consiglio di Stato nel proprio parere del 2018, n. 69). Come stabilito dal CdS 6016/2023, è decisiva “la nozione di “cessione” dell’esercizio farmaceutico, la cui realizzazione nel decennio (antecedente alla data di presentazione della domanda di partecipazione al concorso straordinario) priva il cedente di uno dei requisiti partecipativi” (Consiglio di Stato, cit. n. 6775/2022). L’esito di questa operazione dismissiva va verificato confrontando la situazione di partenza del concorrente (socio di società di persona e titolare pro quota difarmacia) e la sua situazione attuale (assenza di quote), poiché è questo semplice raffronto che restituisce il dato di una pregressa detenzione dell’esercizio farmaceutico che è poi venuta meno e che lo rende non idoneo alla nuova assegnazione. Può solo aggiungersi, portando l’attenzione nuovamente sulla ratio dell’istituto, che se l’art. 12, comma 4, L. n. 475/1968, è preordinato ad evitare che il farmacista, che abbia ceduto la propria farmacia, si appropri,attraverso l’assegnazione concorsuale (a prescindere dal fatto che si tratti di concorso ordinario o straordinario) di un nuovo esercizio farmaceutico, prima che sia trascorso un decennio dalla cessione, di un doppio vantaggio economicamente valutabile, è evidente che siffatta ratio ricorre tanto nel caso in cui la cessione sia disposta da una persona fisica, quanto nel caso in cui la cessione sia stata effettuata da una persona giuridica nella quale è confluita la precedente detenzione a titolo “personale”(TAR Bologna, sez. II, 3 gennaio 2022, n.4). Le argomentazioni sopra riportate ad avviso di chi scrive si basano su un concetto spesso sottovalutato ovvero che la titolarità della sede in capo ad una Farmacia è riferibile alla società ma ciò non equivale alla possibilità di poterla sezionare/dividere in caso di cessione di quote di società di persone. L'autorizzazione del singolo titolare farmacista di sede rurale, ad esempio, sarà rinunciabile per l'apertura di una nuova sede ottenuta a concorso, così come l'autorizzazione di una farmacia rurale sottoforma di società di persone sarà rinunciabile non dal singolo ma dalla compagine societaria in caso di vincita di un nuova sede immessa a concorso, e cio' in quanto l'autorizzazione deve intendersi unica pro indiviso, così come già visto in sede di concorso per il vincolo di gestione triennale e secondo la ricostruzione del Consiglio di Stato 2763/2022. Ecco quindi che al socio di farmacia rurale sarà consentito ottenere una nuova autorizzazione NON a seguito della cessione della propria quota, bensì a seguito della rinuncia dell'autorizzazione da parte della società titolare della stessa, non essendo sufficiente (ad avviso di chi scrive) che la cessione di quota consenta di ottenere una nuova autorizzazione nemmeno in caso di preventiva trasformazione in SRL, meccanismo bandito dal Tar Napoli 1341/23. In sintesi ove il candidato sia socio di società di persone, la rinuncia (probabilmente non conveniente a livello economico) dovrebbe intervenire dalla società nel suo complesso non essendo ammissibile, una cessione di quota nemmeno dopo una trasformazione per poter ottenere una nuova sede da concorso farmacie. Ci sentiamo quindi di concludere (salvo sviluppi ed opinioni differenti) che l'autorizzazione della Farmacia è unica sia per il titolare individuale che per la società questo il senso dell'Adunanza Plenaria CdS 1/2020 secondo cui “ i farmacisti che concorrono per la gestione associata ottengono personalmente e pro indiviso la titolarità della sede farmaceutica messa a concorso, salvo poi essere autorizzati alla gestione della stessa anche in forma collettiva.” Il divieto di partecipazione decennale al Concorso Farmacie Il divieto di partecipazione decennale al Concorso Farmacie : Prima di chiudere alcuni chiarimenti, mentre il Tar Napoli 1341 2023 e il CdS 6016 2023 hanno censurato la vendita di quote societarie di società di capitali ai fini concorsuali in quanto derivanti ad precedente trasformazione di società di persone , il Consiglio di Stato n. 2763 2022 ha precisato che la cessione di quote minoritarie di srl comunque non integra cessione della farmacia, con tutto ciò che ne consegue, ed infatti si legge “ulteriormente, nella fattispecie in esame non si verte nel caso della cessione della titolarità da parte di società titolare dell’autorizzazione, ma della cessione di quote minoritarie, rimanendo inalterata la titolarità della farmacia. Ne consegue che l’ipotesi concreta si pone ben lontana da quella che il legislatore del 1968 ha voluto prevenire: ossia evitare che il farmacista, il quale abbia ceduto la propria farmacia, si appropri attraverso l’assegnazione concorsuale di un nuovo esercizio farmaceutico, ottenendo un doppio vantaggio economicamente valutabile”. La medesima ratio ricorre anche laddove la cessione sia stata effettuata da una società di persone dovendo ritenersi che anche il quel caso il socio abbia acquisito i relativi vantaggi (come precisato dalla Sezione, nella sentenza n. 229/2020), ma è quanto meno dubbio possa altresì rinvenirsi in una semplice cessione di quote di una società di capitale, dotata di personalità giuridica e di autonomia patrimoniale “perfetta”, elemento già emerso in sede ministeriale nella nota del 27.01.2014. Si legge nel TAR Campano: “Ne consegue allora che, per tale ipotesi, in caso di cessione di quote societarie, non possa ragionevolmente applicarsi la preclusione decennale di cui all’art. 12, comma 4, della legge n. 475/1968, invocata dalla parte ricorrente - fattispecie che, come visto, si attaglia unicamente al caso in cui la singola persona fisica in qualità di titolare cede e trasferisce la titolarità (titolo e azienda) ad un soggetto terzo.” Le quote di farmacia e le posizioni sociali quindi andranno distinte oltre che per natura, ovvero se di società di persone o di capitali, anche di derivazione, quindi se derivano da una precedente trasformazione, ed oggi all'alba dei nuovi concorso ordinari bisognerà valutare se quelle cessioni di quote di SRL siano pure e quindi probabilmente svincolate dall'art. 12 della legge 475/1968 come lascia presagire il TAR partenopeo oppure vietate perché abbiano “aggirato” la legge con negozi in frode alle legge, il tutto sempre secondo e nei limiti dell'opinione personale di chi scrive. Hai un quesito leggi il blog e trova il tuo caso. Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • L'algoritmo nel concorso ed i rischi della intelligenza artificiale

    Intelligenza artificiale ed algoritmi s ono le nuove frontiere che la Pubblica Amministrazione sta valicando nei processi selettivi e nei concorsi di reclutamento del personale, soprattutto di docenza o di alta formazione esempio # Sna . Segui la Pagina on Line con articoli gratuiti a tema In tale contesto devono sottolinearsi gli indiscutibili vantaggi derivanti dalla automazione del processo decisionale dell’amministrazione mediante l’utilizzo di una procedura digitale ed attraverso un “algoritmo” – ovvero di una sequenza ordinata di operazioni di calcolo–che in via informatica sia in grado di valutare e graduare una moltitudine di domande. L’utilità di tale modalità operativa di gestione dell’interesse pubblico è particolarmente evidente con riferimento a procedure seriali o standardizzate , implicanti l’elaborazione di ingenti quantità di istanze e caratterizzate dall’acquisizione di dati certi ed oggettivamente comprovabili e dall’assenza di ogni apprezzamento discrezionale. Ciò è, invero, conforme ai canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (art. 1 l. 241/90), i quali, secondo il principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), impongono all’amministrazione il conseguimento dei propri fini con il minor dispendio di mezzi e risorse e attraverso lo snellimento e l’accelerazione dell’ iter procedimentale. Per questa ragione, in tali casi l’utilizzo di una procedura informatica che conduca direttamente alla decisione finale non deve essere stigmatizzata, ma anzi, in linea di massima, incoraggiata: essa comporta infatti numerosi vantaggi quali, ad esempio, la notevole riduzione della tempistica procedimentale per operazioni meramente ripetitive e prive di discrezionalità, l’esclusione di interferenze dovute a negligenza (o peggio dolo) del funzionario (essere umano) e la conseguente maggior garanzia di imparzialità della decisione automatizzata. In altre parole, l’assenza di intervento umano in un’attività di mera classificazione automatica di istanze numerose, secondo regole predeterminate (che sono, queste sì, elaborate dall’uomo), e l’affidamento di tale attività a un efficiente elaboratore elettronico appaiono come doverose declinazioni dell’art. 97 Cost. coerenti con l’attuale evoluzione tecnologica. Si pensi poi ad i concorsi "in basket" o relativi alle capacità situazionali il cui esito non sarebbe soggetto a motivazione. L'algoritmo nel concorso ed i rischi della intelligenza artificiale (Ma) l’utilizzo di procedure “robotizzate” non può, tuttavia, essere motivo di elusione dei princìpi che conformano il nostro ordinamento e che regolano lo svolgersi dell’attività amministrativa ed ecco quindi che la Giustizia Amministrativa ha delineato alcuni dictat da seguire pena l'annullamento della selezione concorsuale. Difatti, la regola tecnica che governa ciascun algoritmo resta pur sempre una regola amministrativa generale, costruita dall’uomo e non dalla macchina, per essere poi (solo) applicata da quest’ultima, anche se ciò avviene in via esclusiva. L'algoritmo nel concorso ed i rischi della intelligenza artificiale: questa regola algoritmica, quindi: - possiede una piena valenza giuridica e amministrativa, anche se viene declinata in forma matematica, e come tale, come si è detto, deve soggiacere ai principi generali dell’attività amministrativa, quali quelli di pubblicità e trasparenza (art. 1 l. 241/90), di ragionevolezza, di proporzionalità, etc.; - non può lasciare spazi applicativi discrezionali (di cui l’elaboratore elettronico è privo), ma deve prevedere con ragionevolezza una soluzione definita per tutti i casi possibili, anche i più improbabili (e ciò la rende in parte diversa da molte regole amministrative generali); la discrezionalità amministrativa, se senz’altro non può essere demandata al software , è quindi da rintracciarsi al momento dell’elaborazione dello strumento digitale; - vede sempre la necessità che sia l’amministrazione a compiere un ruolo ex ante di mediazione e composizione di interessi, anche per mezzo di costanti test, aggiornamenti e modalità di perfezionamento dell’algoritmo (soprattutto nel caso di apprendimento progressivo e di deep learning ); - deve contemplare la possibilità che – come è stato autorevolmente affermato – sia il giudice a “dover svolgere, per la prima volta sul piano ‘umano’, valutazioni e accertamenti fatti direttamente in via automatica”, con la conseguenza che la decisione robotizzata “impone al giudice di valutare la correttezza del processo automatizzato in tutte le sue componenti”. In definitiva, dunque conclude il CdS 2270/2019, l’algoritmo, ossia il software , deve essere considerato a tutti gli effetti come un “atto amministrativo informatico”. Ciò comporta, ad avviso del Consiglio di Stato un duplice ordine di conseguenze. in primo luogo, il meccanismo attraverso il quale si concretizza la decisione robotizzata (ovvero l’algoritmo) deve essere “conoscibile”, secondo una declinazione rafforzata del principio di trasparenza, che implica anche quello della piena conoscibilità di una regola espressa in un linguaggio differente da quello giuridico. Tale conoscibilità dell’algoritmo deve essere garantita in tutti gli aspetti: dai suoi autori al procedimento usato per la sua elaborazione, al meccanismo di decisione, comprensivo delle priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale e dei dati selezionati come rilevanti. Ciò al fine di poter verificare che gli esiti del procedimento robotizzato siano conformi alle prescrizioni e alle finalità stabilite dalla legge o dalla stessa amministrazione a monte di tale procedimento e affinché siano chiare – e conseguentemente sindacabili – le modalità e le regole in base alle quali esso è stato impostato. In altri termini, la “caratterizzazione multidisciplinare” dell’algoritmo (costruzione che certo non richiede solo competenze giuridiche, ma tecniche, informatiche, statistiche, amministrative) non esime dalla necessità che la “formula tecnica”, che di fatto rappresenta l’algoritmo, sia corredata da spiegazioni che la traducano nella “regola giuridica” ad essa sottesa e che la rendano leggibile e comprensibile, sia per i cittadini che per il giudice. In secondo luogo, la regola algoritmica deve essere non solo conoscibile in sé, ma anche soggetta alla piena cognizione, e al pieno sindacato, del giudice amministrativo. Leggi pure: "Il Ricorso contro l'esclusione dal concorso" La suddetta esigenza risponde infatti all’irrinunciabile necessità di poter sindacare come il potere sia stato concretamente esercitato, ponendosi in ultima analisi come declinazione diretta del diritto di difesa del cittadino, al quale non può essere precluso di conoscere le modalità (anche se automatizzate) con le quali è stata in concreto assunta una decisione destinata a ripercuotersi sulla sua sfera giuridica. Solo in questo modo è possibile svolgere, anche in sede giurisdizionale, una valutazione piena della legittimità della decisione; valutazione che, anche se si è al cospetto di una scelta assunta attraverso una procedura informatica, non può che essere effettiva e di portata analoga a quella che il giudice esercita sull’esercizio del potere con modalità tradizionali. In questo senso, la decisione amministrativa automatizzata impone al giudice di valutare in primo luogo la correttezza del processo informatico in tutte le sue componenti: dalla sua costruzione, all’inserimento dei dati, alla loro validità, alla loro gestione. Da qui, come si è detto, si conferma la necessità di assicurare che quel processo, a livello amministrativo, avvenga in maniera trasparente, attraverso la conoscibilità dei dati immessi e dell’algoritmo medesimo. In secondo luogo, conseguente al primo, il giudice deve poter sindacare la stessa logicità e ragionevolezza della decisione amministrativa robotizzata, ovvero della “regola” che governa l’algoritmo, di cui si è ampiamente detto. Leggi pure: "Concorso Sna guida al ricorso" Alla luce delle riflessioni che precedono in assenza di una regola conoscibile, quindi di un algoritmo la cui "regola tecnica" possa essere riscontrata e verificata appare coerente l'intervento del giudice amministrativo, sussistendo la violazione dei principi di imparzialità, pubblicità e trasparenza, poiché non è dato comprendere per quale ragione le legittime aspettative di soggetti collocati in una determinata posizione in graduatoria siano andate deluse. Infatti, l’impossibilità di comprendere le modalità con le quali, attraverso il citato algoritmo, siano stati assegnati i posti disponibili, costituisce di per sé un vizio tale da inficiare la procedura. In attesa di conoscere se anche altri concorsi della P.A. siano affidati all'algoritmo si pensi al reclutamento delle # forze dell'ordine o alle #farmacie possiamo affermare che il controllo sindacato del Giudice Amministrativo si estende pacificamente alle procedure informatiche che sono in ogni caso vincolate al principio costituzionale della "trasparenza e buona amministrazione". Consulta il blog o poni un quesito Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Farmacia comunale e la prelazione dei dipendenti

    La farmacia comunale è soggetta alla prelazione, ma tale norma è conforme al diritto comunitario? Leggi pure Farmacisti ed incompatibilità nel link qui sotto: https://www.farmadiritto.com/post/sas-farmacia-e-le-incompatibilità Cosa accade se in una gara pubblica viene applicato il principio della prelazione a discapito della parità di trattamento? Per rispondere a tali domande focalizziamo la normativa e l'applicazione pratica. Innanzitutto che l’art. 12, comma 2, della legge n. 362/1991 dispone che, in caso di trasferimento della titolarità di farmacie in gestione comunale, i dipendenti hanno diritto di prelazione, ricorrendo determinati requisiti indicati dall’art. 7. Segui la Pagina on Line con articoli gratuiti a tema La norma introduce un vantaggio per il farmacista dipendente comunale ad essere preferito ad altri, a parità di condizioni da questi offerte, nell’assegnazione della titolarità della farmacia, subentrando nella posizione del soggetto che tale titolarità acquisisce in esito al confronto competitivo, sulla base della presunzione legale assoluta che l’esperienza professionale acquisita alle dipendenze della farmacia comunale garantisca un migliore assolvimento del servizio nell’interesse pubblico alla salute. Segui la pagina sui social Ma con la sentenza n. 465/2019, la Corte Europea ha esaminato la questione di compatibilità della norma con riferimento all’articolo 49 TFUE, che tutela la libertà di stabilimento all’interno della Comunità europea, ed ha ritenuto che la norma del Trattato deve essere interpretata nel senso che osta ad una misura nazionale che concede un diritto di prelazione “incondizionato”, qual è quello contemplato dal citato art. 12 della L. n. 362/1991. La Corte ha rilevato l’ammissibilità della questione interpretativa, sebbene tutti gli elementi della controversia portata al suo esame fossero circoscritti all’interno di un unico Stato membro, poiché non si può escludere che tale normativa, applicabile indistintamente ai cittadini nazionali come a quelli di altri Stati membri, possa produrre effetti che non sono limitati solo all’Italia. Farmacia comunale e la prelazione dei dipendenti Nella specie, ha rilevato anche che, se per il valore della farmacia la gara presenta un interesse transfrontaliero, è sicuramente decisiva e rilevante la questione interpretativa pregiudiziale. La Corte ha considerato che “il diritto di prelazione incondizionato concesso ai farmacisti dipendenti di una farmacia comunale in caso di cessione di quest'ultima mediante gara, nella misura in cui è diretto ad assicurare una migliore gestione del servizio farmaceutico - supponendo che effettivamente persegua un obiettivo concernente la tutela della salute - non è idoneo a garantire la realizzazione di tale obiettivo e, in ogni caso, va oltre quanto necessario al raggiungimento dello stesso”. Pertanto, tenuto conto dell’investimento in termini di tempo e di denaro richiesto dalla partecipazione a una procedura di gara, la prelazione così formulata è idonea a dissuadere i farmacisti provenienti da altri Stati membri dal partecipare alla procedura di evidenza pubblica. La Corte ha, nel contempo, affermato però che, come rilevato dal giudice remittente, “l’obiettivo di valorizzazione dell'esperienza professionale può essere raggiunto mediante misure meno restrittive, come l'attribuzione di punteggi premiali, nell'ambito della procedura di gara, in favore dei partecipanti che apportino la prova di un'esperienza nella gestione di una farmacia”. (CdS 6401/20) Leggi il Blog di Diritto Farmaceutico Ecco quindi che nell'attuale contesto normativo la gara pubblica non potrà soggiacere a prelazioni di diritto farmaceutico incondizionate, bensì è ipotizzabile l'inserimento nel bando di "punteggi premiali" che attuino lo scopo della norma farmaceutica (L. 475/1968) senza tuttavia calpestare i parametri del libero mercato. Se hai un quesito contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • La risoluzione dell'appalto e la segnalazione ANAC

    Cosa accade in caso di risoluzione dell'appalto da parte della stazione appaltante? E' sempre legittima la segnalazione nel Casellario informatico dei contratti pubblici prevista dal codice degli appalti? E' possibile opporsi alla segnalazione nel Casellario informatico per problematiche tra Stazione appaltante e appaltatore? Quale controllo potrà effettuare il TAR sulla segnalazione illegittima? Segui la Pagina on Line con articoli gratuiti a tema Con il presente articolo cerchiamo di rispondere a tutte queste domande senza presunzione di completezza, se hai un quesito contattaci o leggi il blog in APPALTI e CONCESSIONI gratuito. Avvenuta la risoluzione del contratto di appalto (ex art. 108 co. 3 D.lgs 50/16) per presunte grave inadempienze, quali sono le conseguenze in capo all'appaltatore? La domanda deriva dalla annotazione, nel casellario informatico dei contratti pubblici (ex art. 213, co.10, del d.lgs. n. 50/2016) , della risoluzione del contratto di appalto. La segnalazione è altamente pregiudizievole, cosa puo' fare l'impresa se vuole contestare la segnalazione? A tal proposito va ricordato che, a norma dell’art. 213, co.10, del d.lgs. n. 50/2016, il casellario dei contratti pubblici contiene “… tutte le notizie, le informazioni e i dati relativi agli operatori economici con riferimento alle iscrizioni previste dall’art. 80. L’Autorità stabilisce le ulteriori informazioni che devono essere presenti nel casellario ritenute utili ai fini della tenuta dello stesso, della verifica dei gravi illeciti professionali di cui all’articolo 80, comma 5, lettera c)…” . Lo scopo è quello di dare pubblicità, all’interno del casellario, ai provvedimenti di risoluzione contrattuale, che discendono, ai sensi dell’art. 108 del codice, da una valutazione unilaterale della stazione appaltante, salva la facoltà per l’operatore economico di chiedere successivamente al giudice ordinario l’accertamento dell’insussistenza dei relativi presupposti. Quale è il ruolo dell'Anac? L’A.n.a.c., quale autorità addetta al controllo non deve ingerirsi nelle vicende fattuali e nelle ragioni giuridiche che hanno indotto la stazione appaltante a risolvere il contratto, dovendosi limitare ad una verifica inevitabilmente sommaria delle posizioni delle parti contrattuali, al solo fine di escludere l’inserimento di notizie manifestamente infondate. A fronte di una segnalazione avente ad oggetto la risoluzione di un contratto, infatti, l’A.n.a.c. non dispone né della competenza né degli strumenti per accertare errori di valutazione della stazione appaltante,  a meno che non siano rilevabili palesi violazioni procedimentali da parte del committente pubblico nella fase istruttoria della contestazione degli addebiti, come il mancato rispetto del contraddittorio, ovvero vizi di forma del provvedimento di risoluzione immediatamente identificabili, come gravi lacune motivazionali, che assurgono a indizi sintomatici di un utilizzo distorto del potere di risoluzione contrattuale. La giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire che “ la risoluzione del contratto e la revoca dell’aggiudicazione costituiscono ipotesi tipiche di annotazione rispetto alle quali può riconoscersi ad ANAC un’attenuazione dell’obbligo di motivazione in ordine all’utilità della notizia, salvo che la fattispecie concreta sia connotata da evidenti elementi di straordinarietà che consentono di escludere ogni utilità in concreto della notizia per la valutazione delle stazioni appaltanti in ordine all’affidabilità dell’operatore economico” (vds. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I- quater , 29 gennaio 2024, n. 1745, e la giurisprudenza ivi richiamata). Leggi post di appalti ed impresa nel blog gratuito o poni il tuo quesito. Tornando a parlare della risoluzione del contratto di appalto per gravi inadempienze ai sensi dell'art. 108 d.lgs 50/16 e la conseguente segnalazione di ANAC , è possibile contestarLa in caso di problematiche contrattuali? Quindi se vi fossero carenze del progetto esecutivo che abbiano causato la risoluzione, è ancora da considerare legittima la segnalazione nel casellario da parte di ANAC? Il quadro indiziario che emerge dagli atti – l’unico di cui l’A.n.a.c. possa servirsi per giungere ad un giudizio di “ manifesta infondatezza ” della segnalazione e, quindi, anche l’unico che possa utilizzare il giudice amministrativo ai fini della verifica della legittimità del provvedimento di annotazione – depone, tuttavia, a favore di una probabile tardività dei rilievi formulati dall’appaltatore nei confronti del progetto esecutivo. Costituisce, infatti, principio immanente alla disciplina dei rapporti tra appaltatore e committente pubblico quello che pone a carico del primo sia un particolare “ dovere cognitivo” delle condizioni richieste ai fini della corretta esecuzione dell’appalto sia l’onere di contestare tempestivamente gli atti di esercizio del potere direttivo intestato al secondo, quali aspetti del più generale obbligo rafforzato di cooperazione che grava sul contraente privato, funzionale al contenimento dei tempi per la realizzazione dell’opera, oggi positivizzato nel principio del risultato di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 36/2023. Ne sono chiara espressione tutti quegli istituti deputati a prevenire, laddove possibile, ovvero a risolvere celermente, negli altri casi, i contrasti che insorgono tra le parti allorché la realtà in cui si trova concretamente ad operare l’impresa non coincida con la rappresentazione che della stessa sia contenuta nei documenti predisposti dalla stazione appaltante, come dimostrano le norme sull’inammissibilità delle riserve su progetti validati, di cui all’art. 205, co. 2, del d.lgs. 50/2016 (oggi art. 210, co.2, del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36), e quelle sulla consegna dei lavori e sulle riserve, di cui agli artt. 5 e 9 del decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 7 marzo 2018, n. 49 (oggi artt. 3 e 7 dell’allegato II.14 al d.lgs. n. 36/2023), che sottopongono le eccezioni dell’appaltatore ad un rigido sistema di decadenze. Con particolare riferimento all’ipotesi in cui l’operatore economico lamenti errori o carenze del progetto, è stato, poi, osservato che “ Nell'appalto, sia pubblico che privato, rientra tra gli obblighi dell'appaltatore , senza necessità di una specifica pattuizione, il controllo della validità tecnica del progetto fornito dal committente, anche in relazione alle caratteristiche del suolo su cui l'opera deve sorgere, posto che dalla corretta progettazione, oltre che dall'esecuzione dell'opera, dipende il risultato promesso, sicché la scoperta in corso d'opera di peculiarità geologiche del terreno tali da impedire l'esecuzione dei lavori, non può essere invocata dall'appaltatore per esimersi dall'obbligo di accertare le caratteristiche idrogeologiche del terreno sul quale l'opera deve essere realizzata e per pretendere una dilazione o un indennizzo, essendo egli tenuto a sopportare i maggiori oneri derivanti dalla ulteriore durata dei lavori, restando la sua responsabilità esclusa solo se le condizioni geologiche non siano accertabili con l'ausilio di strumenti, conoscenze e procedure normali”  (Cass. civ., Sez. I, Ord. 26 febbraio 2020, n. 5144). La risoluzione dell'appalto e la segnalazione ANAC Ove quindi la ditta appaltatrice non fornisca prove “ pronte e liquide” (così T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I- quater , 11 marzo 2024, n. 4788) delle anomalie progettuali denunciate e, soprattutto, della diligenza spesa per intercettare preventivamente le difficoltà esecutive sarà quasi impossibile contestare l'annotazione. Elemento essenziale sarà un atto ricognitivo, così come una ATP di Tribunale volta a verificare lo stato dei luoghi e dell'appalto, o ancor piu' delicato il caso di una cessione di ramo di azienda, nella quale quindi sarà necessario procedere ad una ricognizione dei luoghi e del cronoprogramma dell'impresa cendente rispetto ai propri obblighi verso la stazione appaltate. In mancanza di tali tali strumenti quindi una impugnazione dell'annotazione non avrà i propri sperati esiti ed infatti non può essere mossa all’A.n.a.c. un’accusa di incompletezza o di parzialità a favore della stazione appaltante, in quanto il testo inserito nel casellario concede ampio spazio alle osservazioni della società appaltatrice, facendo riferimento ai fatti medio tempore intervenuti. La notizia, quindi, coerentemente con la funzione neutrale rivestita dall’A.n.a.c. nell’esercizio del potere di annotazione e con le finalità di pubblicità notizia delle iscrizioni di cui all’art. 213, co.10, del d.lgs. n. 50/2016, dà correttamente visibilità alla diversa posizione dei contraenti rispetto alla vicenda e alla mancata acquiescenza dell’impresa alla risoluzione del contratto, fornendo tutti gli elementi “utili” alle valutazioni delle stazioni appaltanti in occasione della consultazione del casellario. Il provvedimento che viene emesso dall' ANAC pertanto, in linea con l’orientamento più volte espresso dalla giurisprudenza amministrativa (Tar Roma 5834/2024) secondo il quale l’A.n.a.c. “ nei casi in cui in sede istruttoria siano emerse diverse ricostruzioni del medesimo fatto ad opera delle parti interessate, [è] tenuta, quanto meno, a dare conto di tali emergenze in sede di redazione dell'annotazione» (cfr. ex multis Tar Lazio, I, 8 marzo 2019, n. 3098), specificando però che il dovere di ANAC è solo quello di dare «sinteticamente conto … della diversa ricostruzione dei fatti» (Tar Lazio, I-quater, 24 ottobre 2022, n. 13626), ovvero quello di dare conto in sede di annotazione del contenzioso in essere in ordine ai fatti posti alla base della stessa (cfr. Tar Lazio, I-quater, 6 marzo 2023, n. 3742 ) La risoluzione dell'appalto e la segnalazione ANAC: in mancanza di lacune procedimentali non potrà essere impugnato nel merito ove l'ANAC abbia rispetto i fatti ed il contraddittorio. Leggi il blog in Appalti ed Impresa Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Impresa Agricola ed utili non distribuiti

    Ci viene chiesto se è obbligatorio distribuire gli utili nelle società di persone ed in particolare quale sia il valore del rendiconto nelle SaS ed il calcolo degli utili. Segui la Pagina on Line con articoli gratuiti a tema Sulla applicabilità alla impresa agricola nella forma della SAS delle regole di bilancio proprie delle società di capitali e soprattutto per quel che concerne il diritto del singolo socio , questa volta quindi socio accomandante,  a percepire utili: “ nelle società di persone il diritto del singolo socio a percepire utili è subordinato alla approvazione del rendiconto, situazione contabile che equivale quanto ai criteri di valutazione a quella del bilancio”. (Cass. Civ. 60628/21 e 6865/22). Rendiconto delle società di persone e bilancio delle società di capitali vanno quindi di pari passo indipendentemente dall'attività svolta dalla società. Impresa Agricola ed utili non distribuiti Infatti in tema di Società in Accomandita Semplice, l'art. 2320 3co prevede il diritto degli accomandati di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite. Ecco quindi che vengono in rilievo alcune criticità tipiche della SaS ovvero quale sia il valore del bilancio semplificato e del rendiconto e se questi possono essere parificati in termini di utili al bilancio di una SRL. La risposta è affermativa ed infatti “ Il rendiconto quindi deve fornire una adeguata informazione dell'attività imprenditoriale tale da consentire la corretta determinazione degli utili ” Così come la previsione della possibilità di redigere un bilancio in forma semplificata (art. 18 dpr 600/1973) non esime la società di persone (SaS) dalla redazione di un rendiconto nelle forme di un bilancio per la determinazione degli utili e quindi del risultato economico dell'impresa. (Trib. Ferrara n. 448/2024). Impresa Agricola ed utili non distribuiti: A ciò devono aggiungersi le previsioni statutarie e gli eventuali patti parasociali ed infatti nel sistema vigente, le società di persone rappresentano dei veri e propri soggetti di diritto e come tali vadano considerate: quali centri, quindi, di imputazione di comportamenti e di situazioni giuridiche proprie e autonome, perché distinte da quelle dei soci (Cass. 27 aprile 2020, n. 8222; Cass. 17 gennaio 2002, n. 442). Distribuzione degli utili è sufficiente l'accordo dei soci? Non sempre o per lo meno non da solo! Ed infatti non puo’ essere condivisa quindi l’opinione per cui le società di persone potrebbero liberamente distribuire utili, nel corso della loro vita,  somme e altre utilità sociale ai soci, sol che questi vi consentano unanimi ed infatti secondo l'art. 2303 c.c.,nella società in nome collettivo, “non può farsi luogo a ripartizione di somme tra soci, se non per utili realmente conseguiti”. Un utile distribuito ove inesistente costituirebbe di fatto un prestito della società al socio. Una “ripartizione” di somme può dunque avvenire, solo allorché si tratti di “utili” e sempre nel rispetto della condizione che si abbia sicura contezza dell’effettivo conseguimento degli stessi Così' come nel caso in cui in una SAS l’amministratore accomandatario non presenta il rendiconto annuale, il socio subisce – non percependo gli utili che nel caso gli spettino – un danno diretto e immediato, che e’ risarcibile con azione giudiziaria (Cass., n. 1261/2016). La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha, in effetti, piu’ volte affermato che, “ nelle societa’ di persone, il diritto del singolo socio a percepire gli utili e’ subordinato, ai sensi dell’articolo 2262 c.c., all’approvazione del rendiconto, situazione contabile che equivale, quanto ai criteri di valutazione, a quella di un bilancio” (Cass., n. 789/202). ù Come pure la Corte ha coerentemente ritenuto, tra le altre cose, che il calcolo degli utili ripartibili tra i soci ai sensi dell’articolo 2303 c.c. “ non può essere operato che sul patrimonio effettivo della società e dunque ripianando anzitutto integralmente la perdita subita nell’esercizio precedente e riportata a nuovo nell’esercizio successivo” (cfr. Cass., 3 gennaio 2017, n. 23). Ed in caso di mancata distribuzione cosa può fare il socio della società agricola? Sarà possibile chiedere tramite causa ordinaria una Consulenza Tecnica d'ufficio e verificare se la mancata previsione degli utili nel rendiconto da distribuire sia conforme ai principi di redazione del bilancio delle srl (art. 2423 cc). Hai un quesito? Leggi il blog o contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli avv. Aldo Lucarelli

  • Restituzione degli oneri concessori del PdC

    Quando é possibile chiedere indietro gli oneri concessori pagati e non utilizzati del permesso di costruzione? Quando decorre la prescrizione alla restituzione degli oneri concessori pagati? Sul punto la giurisprudenza del Consiglio di Stato é chiara Segui la Pagina on Line con articoli gratuiti a tema è ormai pacifico che il privato abbia diritto alla restituzione di quanto pagato a titolo di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione, in caso di mancato utilizzo del titolo edilizio, atteso che gli oneri concessori sono strettamente connessi al concreto esercizio della facoltà di costruire, per cui non sono dovuti in caso di rinuncia, di mancato utilizzo o di sopravvenuta decadenza dal titolo edilizio. In tali circostanze, il Comune è obbligato, ai sensi dell’art. 2033 c.c. o dell’art. 2041 c.c., alla restituzione delle somme incassate, perché il relativo pagamento risulta privo della causa originaria dell’obbligazione di dare, e, corrispondentemente, il privato ha diritto a pretenderne la restituzione (cfr., Cons. Stato, Sez. IV, 15 ottobre 2019, n. 7020; Cons. Stato, Ad. Plen., 30 agosto 2018, n. 12). La decorrenza del termine di prescrizione decennale relativo alla restituzione di somme pagate a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione va poi calcolata partendo dal momento in cui il diritto al rimborso può essere effettivamente esercitato dal privato in applicazione di un principio generale di cui all’art. 2935 c.c. Di conseguenza, il diritto di credito del titolare di una concessione edilizia non utilizzata di ottenere la restituzione di quanto corrisposto per oneri di urbanizzazione, decorre non dalla data del rilascio dell'atto di assenso edificatorio, bensì dalla data in cui il titolare comunica all'Amministrazione la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione da parte dell'amministrazione medesima del provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire per scadenza dei termini iniziali o finali (cfr. ex multis , Cons. Stato, sez. V, 19 giugno 2003 n. 954). Ad esempio Nel caso il termine finale di ultimazione delle opere oggetto della concessione edilizia è spirato, senza che si desse luogo alla edificazione prorogata e, dunque, solo da tale data è iniziato a decorrere il termine decennale di prescrizione del diritto alla ripetizione degli oneri concessori, salvo interruzioni Leggi il blog Studio Legale Angelini Lucarelli Avv Aldo Lucarelli

  • Concorso Ordinario farmacisti e vincolo dei 10 anni

    È incontestato il principio della incompatibilit à tra aspirazione alla assegnazione di una delle sedi oggetto di concorso e cessione della sede già in titolarità – scolpito dalla previsione del bando di concorso (punto 2, comma 6) secondo cui costituiva requisito di partecipazione quello di “ non aver ceduto la propria farmacia negli ultimi 10 anni” alla data di scadenza del termine di presentazio ne della domanda, in relazione al quale la nota 4 prevedeva che “tale condizione permane fino al momento dell’assegnazione della sede”. Leggi pure: L’associazione di farmacisti Dispone il punto 11 del bando che, durante il periodo di validità della graduatoria, le sedi non accettate nel termine di quindici giorni, quelle non aperte entro sei mesi dalla data di accettazione “ nonché quelle resesi vacanti a seguito delle scelte effettuate dai vincitori ” siano assegnate scorrendo la graduatoria medesima (in ciò ricalcando il disposto dell’art. 11, comma 6, d.l. n. 1 del 24 gennaio 2012). Segui la Pagina sui social con articoli in diritto farmaceutico Nella nota 13 del predetto art. 11 è poi precisato che, per sedi resesi vacanti a seguito delle scelte effettuate dai vincitori, “si intendono quelle che si rendono vacanti a seguito di accettazione/apertura di una delle sedi previste dal bando di concorso straordinario , vinta da un farmacista già titolare di una farmacia rurale sussidiata o soprannumeraria”. Concorso Ordinario farmacisti e vincolo dei 10 anni La clausola di cui al punto 11 del bando, letta unitamente alla relativa nota esplicatrice, rende evidente che le sedi già nella titolarità dei partecipanti al concorso straordinario , una volta che questi abbiano acquisito la titolarità di una delle sedi oggetto del medesimo concorso straordinario ( per effetto della assegnazione/accettazione della stessa ), sono sottratte alla loro disponibilità (in virtù del principio generale che preclude la titolarità contestuale di un duplice esercizio farmaceutico) , essendo destinate ad ampliare il bacino delle sedi suscettibili di assegnazione sulla scorta dello scorrimento della graduatoria concorsuale. Il riferimento contenuto nella nota 4 al punto 2.6 del bando di concorso, quindi, alla “assegnazione” della sede oggetto di concorso straordinario, quale (apparente)   dies ad quem  del regime di incedibilità dell’esercizio farmaceutico (a pena di esclusione dal concorso straordinario), lungi dall’essere interpretabile quale ponte di transizione al diverso regime di piena disponibilità, costituisce il punto di saldatura con la regola di indisponibilità collegata alla (essa, sì, diversa, rispetto a quella ispiratrice del precedente regime di incedibilità , a pena di esclusione dal concorso)  ratio  della destinazione delle sedi “resesi vacanti a seguito delle scelte effettuate dai vincitori” ai concorrenti beneficiari dello scorrimento della graduatoria di concorso. Leggi pure: "Le scure del TAR sulla trasformazione della Farmacia" La nota 13, laddove fa riferimento alle sedi che “si rendono vacanti a seguito di accettazione/apertura di una delle sedi previste dal bando di concorso straordinario…”, correla causalmente la vacanza della sede, quale presupposto per la sua assegnazione in virtù dello scorrimento della graduatoria, alla “accettazione/apertura” della sede oggetto di concorso straordinario. Tale interpretazione è conforme al disposto di cui all’art. 112, comma 3, R.D. n. 1265 del 27 luglio 1934. Deve infatti osservarsi che, nelle more dell’autorizzazione/apertura della farmacia assegnata all’esito del concorso straordinario, si realizza un effetto di indisponibilità del precedente esercizio farmaceutico, destinato a mettere capo alla decadenza della corrispondente autorizzazione per effetto della acquisizione della nuova: sì che gli eventi che dovessero verificarsi nelle more tra l’assegnazione/accettazione ed autorizzazione/apertura della nuova sede, tali da determinare l’impossibilità di apertura di quest’ultima, rileverebbero come fattispecie risolutiva della assegnazione della sede oggetto di concorso straordinario (coerentemente con il disposto di cui all’art. 11 lett. d) del bando, a mente del quale le sedi non aperte entro sei mesi dalla accettazione sono assegnate secondo la graduatoria ai concorrenti successivi) e, nel contempo, riespansiva del pieno potere dispositivo del titolare della precedente autorizzazione. Del resto, lo stesso art. 112, comma 3, R.D. n. 1265/1934, sebbene faccia discendere l’effetto decadenziale della pregressa autorizzazione dal conseguimento della seconda (“ottenuta la seconda”), fa risalire la fattispecie impeditiva della decadenza alla precedente fase dell’assegnazione. Segui la Pagina on Line con articoli gratuiti a tema Sul piano strettamente logico « non avrebbe senso consentire la partecipazione al concorso straordinario solo al farmacista rurale che non abbia disposto della farmacia nei dieci anni antecedenti al medesimo concorso, per poi legittimare la cessione dopo la sua conclusione (Cons. Stato, sez. III, 3 giugno 2019, n. 3681) Leggi pure Farma Diritto il sito accanto ai Farmacisti Questa ricostruzione avallata dal Consiglio di Stato nel 2024 (3683) é il frutto di un progressivo affinamento della giurisprudenza dal 2012 anno di avvio del maxi concorso straordinario ed ora sarà il punto di partenza dei nuovi concorsi ordinari nei quali andrà chiarita la questione della ammissibilità di coloro che hanno ceduto la precedere sede ( in chiave personale o da società di persone) rispetto a coloro che invece derivano dalla mera cessione di quote di Farmacia sotto forma di Srl ai quali é difficile attribuire (salvo smentite) una simile sanzione stante la non coincidenza tra Farmacia azienda autorizzata e singola partecipazione minoritaria. Hai un quesito leggi il blog o contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli Diritto Farmaceutico Avv Aldo Lucarelli

  • Subappalto casi pratici

    affrontiamo su richiesta di un nostro lettore un tema spinoso per la contrattualistica commerciale e gli appalti, ovvero il subappalto e le differenze con altre tipologie di contratti come la manodopera, la fornitura, ed il lavoro intellettuale. differenza tra subappalto e contratto autonomo Nell’interpretazione dell’art. 105, comma 3, lett. a), del Codice dei contratti pubblici (secondo cui «non si configurano come attività affidate in subappalto […] l’affidamento di attività specifiche a lavoratori autonomi, per le quali occorre effettuare comunicazione alla stazione appaltante») Segui la Pagina on Line con articoli gratuiti a tema occorre muovere dalla premessa che le prestazioni oggetto di siffatti contratti sono rivolte a favore dell’operatore economico affidatario del contratto di appalto con il soggetto pubblico e non invece direttamente a favore di quest’ultimo, come avviene nel caso del subappalto. L’impostazione del problema in termini di deroga rispetto alla disciplina del subappalto della norma sull’impiego di lavoratori autonomi del medesimo art. 105, comma 3), non tiene conto della differenza specifica che intercorre tra i due tipi di contratti, che emerge anche dalle norme sopra richiamate. L’art. 105, comma 3, cit. non è una norma derogatoria prescrive infatti «Le seguenti categorie di forniture o servizi, per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto […]»). La norma in questione pertanto delimita i confini rispetto alla nozione di subappalto applicabile nella disciplina sui contratti pubblici, ma non è una norma derogatoria del regime sul subappalto (né di natura eccezionale). La distinzione tra le due figure contrattuali (subappalto e lavoro autonomo) si fonda non solo, sulla specificità delle prestazioni, ma anche sulla diversità degli effetti giuridici dei due tipi di contratto . Le prestazioni alla base dei due contratti sono infatti dirette a destinatari diversi: nel caso del subappalto, il subappaltatore esegue direttamente parte delle prestazioni del contratto stipulato con l’amministrazione , sostituendosi all’affidatario; nell’altro caso, le prestazioni sono rese in favore dell’aggiudicatario che le riceve, inserendole nell’organizzazione di impresa necessaria per adempiere alle obbligazioni contrattuali e le riutilizza inglobandole nella prestazione resa all’amministrazione appaltante. Nel subappalto vi è un’alterità anche sul piano organizzativo, tra appaltatore e subappaltatore, poiché la parte di prestazione contrattuale è affidata dall’appaltatore a un terzo che la realizza direttamente attraverso la propria organizzazione; mentre nel contratto di cooperazione la prestazione resa è inserita all’interno dell’organizzazione imprenditoriale dell’appaltatore. I due contratti sono quindi diversi quantomeno sul piano funzionale. Ne deriva che la disciplina in tema di subappalto non è immediatamente estendibile, se non si dimostri che il contratto di lavoro autonomo costituisca solo uno schermo per il contratto di subappalto. CdS 4150/2021 Subappalto e fornitura di materiale In merito, che i contratti di subappalto e di fornitura, pur se in qualche caso vicini tra loro, si differenziano comunque nei loro elementi essenziali.   La fornitura, disciplinata nell’ambito dello schema legale del contratto di somministrazione di cui all’art. 1159 e ss. del codice civile per le prestazioni di beni, consiste in una forma contrattuale ove una parte si obbliga a eseguire nei confronti di un’altra parte delle prestazioni periodiche o continuative di beni, verso il pagamento di un corrispettivo. Diversamente, il contratto di subappalto di cui all’art. 105 del Codice dei contratti pubblici descrive quella forma contrattuale in cui un terzo affida l’esecuzione di una parte dell’opera, nella sede di cantiere, a proprio rischio e mediante una propria organizzazione di mezzi e personale   Orbene, la distinzione tra le due forme contrattuali ricade sull’assunzione del rischio finale d’impresa: con il subappalto, il subappaltatore si sostituisce all’affidatario della commessa nei confronti dell’Amministrazione, mentre con la vendita o fornitura la prestazione di base, seppur effettuata da altri, è acquisita nella stessa organizzazione aziendale del cliente acquirente o somministrato, il quale si accolla al riguardo il rischio d’impresa discendente da un eventuale difetto o difformità della prestazione. Come ben precisato dal Consiglio di Stato sul punto, “la distinzione tra le figure contrattuali si fonda non solo sulla specificità delle prestazioni, ma anche sulla diversità degli effetti giuridici dei tipi di contratto. Le prestazioni sono infatti dirette a destinatari diversi: nel caso del subappalto, il contratto è stipulato con l’amministrazione, sostituendosi all’affidatario; nell’altro caso, le prestazioni sono rese in favore dell’aggiudicatario che le riceve, inserendole nell’organizzazione di impresa necessaria per adempiere alle obbligazioni contrattuali e le riutilizza inglobandole nella prestazione resa all’amministrazione appaltante. Nel subappalto vi è un’alterità anche sul piano organizzativo, tra appaltatore e subappaltatore, poiché la parte di prestazione contrattuale è affidata dall’appaltatore a un terzo che la realizza direttamente attraverso la propria organizzazione; diverso è il caso in cui la prestazione resa è inserita all’interno dell’organizzazione imprenditoriale dell’appaltatore. Ne deriva che la disciplina in tema di subappalto non è estendibile, se non si dimostri che il contratto costituisca solo uno schermo per il contratto di subappalto” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 31 maggio 2021, n. 4150 e TAR Campobasso 45/2024 L’Amministrazione dovrebbe pertanto dimostrare, la sussistenza nel caso di specie di un contratto di subappalto. Subappalto e contratti di cooperazione e fornitura Ed invero prevede: “Le seguenti categorie di forniture o servizi, per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto: … c bis) le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti cooperativi di cooperazione servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata all’aggiudicazione dell’appalto. I relativi contratti sono depositati alla stazione appaltante, prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto”. Ritiene la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Sez. V, 19/05/2020, n. 3169; Cons. Stato, V, 24 gennaio 2020, n. 607) che con i “contratti di cooperazione servizio e/o fornitura” la legge faccia riferimento ai contratti che il concorrente stipula con terzi allo scopo di procurarsi quanto necessario alla propria attività d’impresa ovvero, quei beni e servizi indispensabili all’esecuzione della prestazione in affidamento. I terzi contraenti, quindi, non eseguono una parte della prestazione oggetto dell’appalto ma procurano all’operatore economico aggiudicatario i mezzi per la sua esecuzione. A detti contratti, dunque, l’amministrazione aggiudicatrice resta completamente estranea Porta a questa conclusione in primo luogo la formulazione letterale della disposizione che specifica che le prestazioni dei terzi contraenti sono rese “in favore dei soggetti affidatari”, così individuando chiaramente i destinatari delle prestazioni nelle imprese concorrenti e non nelle stazioni appaltanti (cfr. Cons. Stato, V, 27 dicembre 2018, n. 7256; contra Cons. Stato, III, 18 luglio 2019, n. 5068 secondo cui con la formula riportata si allude alla “direzione giuridica della prestazione, ovvero al fatto che l’unica relazione giuridicamente rilevante… è quella esistente tra stazione appaltante e soggetto affidatario” . L’art. 105 del Codice dei contratti pubblici precedente ed oggi l'art. 119 del nuovo codice degli appalti, contiene la disciplina del subappalto; il comma 3 lettera D precisa che non rientrano nel subappalto le prestazioni secondarie, accessorie o sussidiarie rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell'appalto. I relativi contratti sono trasmessi alla stazione appaltante prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto. Se il subappalto è il contratto con cui l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di una parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto (comma 2), i contratti di cooperazione continuativa, di converso, non hanno ad oggetto la prestazione affidata , ma quei beni e servizi dei quali l’impresa aggiudicataria necessita per poter, essa sola, eseguire la prestazione oggetto del contratto d’appalto. In definitiva detti contratti si caratterizzano per la “direzione soggettiva”, in quanto resi all’impresa aggiudicataria, e per l’“oggetto del contratto” che è altro rispetto alla prestazione in affidamento con il contratto d’appalto. A prescindere dagli aspetti peculiari di ogni vicenda, infatti i criteri di qualificazione sopra ricordati – direzione soggettiva della prestazione ed oggetto del contratto – consentono di risolvere in maniera sufficientemente attendibile anche i casi dubbi, assumendo carattere dirimente stabilire se l’impresa aggiudicataria, stipulando un contratto di cooperazione continuativa, si sia limitata a procurarsi il bene strumentale alla prestazione da rendere all’amministrazione, ovvero abbia affidato al terzo cooperante l’esecuzione di una parte (o frazione) della prestazione assunta nei confronti dell’amministrazione che non era in grado di eseguire.[…] Pertanto, come già ritenuto dalla Sezione (Cons. Stato Sez. V, 19/05/2020, n. 3169 cit) quando il terzo cooperante (o che svolga servizi o fornisca beni) esegue una parte della prestazione oggetto del contratto d’appalto che l’impresa aggiudicataria non sa o non può eseguire, si è fuori del subappalto, ed è corretta l’esclusione dalla procedura di gara. Pertanto il ricorso al subappalto andava necessariamente indicato in sede di partecipazione alla procedura evidenziale CdS 3856/2023 A ciò consegue che la mancata dichiarazione circa il conferimento in subappalto di una parte rilevante dei servizi oggetto dell’affidamento deve essere necessariamente sanzionata con l’esclusione dalla procedura evidenziale, avuto altresì riguardo alla necessità della stazione appaltante di procedere anche alla verifica in capo alla ditta subappaltatrice del possesso dei requisiti generali di partecipazione ex art. 80 del Codice. Va infatti ritenuto che “consentire ad un terzo cooperante di svolgere una parte della prestazione significherebbe porre l’amministrazione in rapporto con un soggetto del quale non è mai stato accertato il possesso dei requisiti generali e speciali di partecipazione previsti dall’art. 80 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e dalla disciplina di gara” (Cons. Stato Sez. V, 19 maggio 2020 n. 3169 cit). Leggi il blog sull'impresa o contattaci senza impegno Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Società a controllo pubblico e revoca dell'amministratore a chi compete?

    La revoca dell'amministratore nella società di capitali a controllo pubblico a chi compete? Il quesito nasce dalla partecipazione pubblica nella società, puo' la partecipazione pubblica di un ente (Comune) derogare alle norme in tema di società di capitali, (SRL/SAPA/SPA) ai fini della revoca dell'amministratore? Segui la Pagina on Line con articoli gratuiti a tema Come vedremo, la risposta è negativa. Ed infatti con specifico riferimento alle società per azioni con partecipazione pubblica , è stata ribadita la giurisdizione del giudice ordinario , quanto alla controversia relativa alla revoca dell'amministratore nominato ai sensi dell'art. 2449 c.c., in quanto trattasi di atto posto in essere dall'ente pubblico "a valle" della scelta iniziale di avvalersi dello strumento societario, emanato avvalendosi degli strumenti che il diritto comune attribuisce al socio e dunque interamente regolato dal diritto privato, come si evince chiaramente dal testo del richiamato art. 2449 c.c., il quale individua nello statuto sociale, e dunque in un atto fondamentale di natura negoziale, la fonte esclusiva dell'attribuzione al socio pubblico della facoltà di nominare un numero di amministratori proporzionale alla sua partecipazione, con la correlata facoltà di revocarli (Cass. S.U. n. 29078 del 11/11/2019). I principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza (Cass. S.U.n. 16335/2019), oltre che dello stesso Consiglio di Stato (cfr. Adunanza Plenaria 3 giugno 2011 n.10), confermano il fatto che la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto privato solo perché l'Ente pubblico ne possegga, in tutto o in parte, le azioni : il rapporto tra società ed ente pubblico azionista è, in altri termini, di assoluta autonomia. Società a controllo pubblico e revoca dell'amministratore a chi compete? Ciò significa che all'ente pubblico non è consentito incidere unilateralmente sugli atti di gestione e sull’attività della società per azioni mediante l'esercizio di poteri autoritativi , ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario dei quali dispone nella sua qualità di socio. Società a controllo pubblico e revoca dell'amministratore a chi compete? Del resto, il richiamo alla disciplina del codice civile in materia di società di capitali per quanto non diversamente stabilito dalla legge - e salve deroghe espresse -, trova esplicita e chiara conferma normativa nell'art. 4, comma 13, quarto periodo, del D.L. n. 95/2012 convertito nella L. n. 135/2012, oltre che nell'analogo art. 1, comma 3, del D. Lgs. n. 175/2016. Trattasi di previsioni normative che fungono da "clausola ermeneutica generale" di chiusura (in senso privatistico) e che entrambe esprimono rilevanza significativa. Il profilo involgente la disciplina di diritto pubblico, segnato dall'agire dell'ente pubblico come autorità, si esaurisce nella scelta iniziale dell'ente di costituire una società, o di parteciparvi, nel mentre il profilo privatistico è relativo alla adozione, durante lo svolgimento dell’attività sociale, degli atti (c.d. "a valle" di quella scelta iniziale) che l'ente pone in essere avvalendosi degli strumenti che il diritto comune gli attribuisce nella sua qualità di socio. Leggi pure: "Fallimento della SRL e piccoli debiti" Va pertanto riaffermata la giurisdizione del giudice ordinario (Cass. S.U. n. 21299/2017), senza che possa influire sulla correttezza di tale conclusione la circostanza che nella specie la società dalla cui carica è stato revocato l'amministratore era una società a responsabilità limitata, anziché una società per azioni. Tale differenza (SRL/SPA) che, come ricordato da Cass. S.U. n. 4309/2010, non preclude di estendere alle società a responsabilità limitata i principi dettati per le società per azioni a partecipazione pubblica , ove tale partecipazione assuma connotazioni analoghe per le prime, consente di affermare come non sia esigibile un espresso richiamo alla previsione di cui all’art. 2449 c.c., specificamente per le società per azioni con partecipazione dello Stato o di enti pubblici. Hai un quesito? Leggi il blog o contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli avv.. Aldo Lucarelli

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