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- Farmacia e Società in House, la Corte dei Conti ha giurisdizione.
Home diritto Farmaceutico Si muove sempre piu' velocemente quel processo di riforma che sta fondendo il sistema del Diritto Farmaceutico, al Diritto Societario, il tutto sotto lo sguardo attento della Giurisdizione Erariale, ovvero del Giudice del controllo della Contabilità pubblica per cio' che attiene alle forme di responsabilità del management. Si sta sviluppando il Diritto Societario della Farmacia, sia in ambito pubblico che in ambito privato. I punti salienti di tale articolato percorso vanno rintracciati già dal D.L. 112 del 2008 e poi nella riforma 124 del 2017 che ha aperto le porte del sistema societario al modello delle Farmacie, cosa ben nota al lettore, Da ultimo segnaliamo la Sentenza del Consiglio di Stato n. 687 del 30 Marzo 2022 con la quale il Consiglio di Stato ha consacrato - ove ve ne fosse stato ancora bisogno - il modello "in house providing" per il sistema farmaceutico. In tale occasione il CdS aveva avuto modo di precisare che l’assistenza farmaceutica, ai sensi dell’art. 28, comma 1, della legge n. 833 del 1978 (di istituzione del servizio sanitario nazionale), è erogata dalle aziende sanitarie locali attraverso le farmacie, di cui sono titolari enti pubblici (comuni e aziende ospedaliere) o soggetti privati. Sgombrando il campo da ipotesi alternative, per la Sezione il servizio farmaceutico va qualificato in termini di servizio pubblico di rilevanza economica. Ed ecco la prima precisazione, “Le farmacie pubbliche, dunque, non risultano attratte nella sfera di applicazione delle norme concernenti i servizi pubblici locali.” Il citato articolo 9 l. 475/68 dispone che “la titolarità delle farmacie che si rendono vacanti e di quelle di nuova istituzione a seguito della revisione della pianta organica può essere assunta per la metà dal comune. Le farmacie di cui sono titolari i comuni possono essere gestite, ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142, nelle seguenti forme: a) in economia; b) a mezzo di azienda speciale; c) a mezzo di consorzi tra comuni per la gestione delle farmacie di cui sono unici titolari; d) a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità. All'atto della costituzione della società cessa di diritto il rapporto di lavoro dipendente tra il comune e gli anzidetti farmacisti”. La giurisprudenza amministrativa ha esaminato più volte la questione concernente l’ammissibilità di forme di gestione delle farmacie comunali non previste dall’articolo 9 della l. 475 del 1968, poiché, ad esempio, fra le forme di gestione individuate dalla predetta norma speciale non è stato previsto l’affidamento in concessione a terzi. Sul punto osserva la sentenza, sez. III, 13 novembre 2014, n. 5587, che lo stesso legislatore ha previsto forme di gestione del servizio farmaceutico comunale ulteriori rispetto a quelle indicate nell'art. 9 della legge 475 del 1968 che, dunque, non sono tassative, ed ecco il secondo punto innovativo. “non si dubita … che la gestione di una farmacia comunale possa essere esercitata da un comune mediante società di capitali a partecipazione totalitaria pubblica (in house), benché tale modalità non sia stata prevista dal legislatore del 1968 (e del 1991). Peraltro, si ritiene oggi unanimemente che l’assenza di una norma positiva che autorizzi la dissociazione tra titolarità e gestione non crei un ostacolo insormontabile all’adozione del modello concessorio. La giurisprudenza del Consiglio di Stato osserva inoltre che la gestione di una farmacia comunale – da qualificarsi, si ripete, servizio pubblico di rilevanza economica –, può essere esercitata dall’ente, oltre che con le forme dirette previste dal citato articolo 9 l. n. 475 del 1968, sempre in via diretta, anche mediante società di capitali a partecipazione totalitaria pubblica (in house), ovvero può essere affidata in concessione a soggetti estranei al comune previo espletamento di procedure di evidenza pubblica in modo da garantire la concorrenza. La scelta di affidare in house la gestione della farmacia può essere attratta nella disciplina del Codice degli appalti (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) e conseguentemente nel regime processuale previsto dal rito degli appalti? Ed oggi da ultimo della Sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite che ha sancito la giurisdizione della Corte dei Conti per le questioni gestite da Società in House. Ha infatti stabilito la Cassazione a Sez. Un. "In tema di azione di responsabilità promossa nei confronti degli organi di gestione e di controllo di società di capitali partecipate da enti pubblici, sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nel caso in cui tali società abbiano, al momento delle condotte ritenute illecite, tutti i requisiti per essere definite "in house providing", ..che possono risultare dalle disposizioni statutarie in vigore all'epoca dei fatti, ma anche derivare dall'esterno ove la sussistenza di un controllo analogo, che diverso da quello gerarchico è posto in essere da un soggetto distinto da quello controllato, sia ricavabile da normative che consentono all'ente pubblico partecipante di dettare le linee strategiche e le scelte operative, con il presidio a monte di un adeguato flusso di informazioni tale da incidere sulla complessiva "governance" della società "in house", preservando le finalità pubbliche che comunque la permeano e costituiscono la stella polare del controllo, quale elemento dinamico che connette concretamente la stessa società con il pubblico ente." 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- Agenzia delle Entrate: Scatta L'obbligo di invito al contraddittorio.
Home Fiscale Agenzia delle Entrate, come funziona l'obbligo di invito al contraddittorio. Sintesi: obbligatorio per imposte dirette ed IVA. Escluso: quando vi é fondato pericolo per la riscossione oppure avvisi di accertamento parziale oppure casi in cui sia stata rilasciata copia di un processo verbale di chiusura, da parte degli organi di controllo, ad esempio in caso di verifica a cui segue il rilascio di un processo di constatazione, oppure ci siano altre forme di partecipazione. Scopo: partecipazione del privato; Rimedi: impugnazione dell'atto ove si dimostri il mancato rispetto del contraddittorio da parte dell'ufficio e la peoficuitá di tale contraddittorio ove esperito in tempo. Con il decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 è stato introdotto l’obbligo di invito al contraddittorio nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione. L’articolo 4-octies del decreto legge 34/2019 inoltre, ha previsto ulteriori disposizioni di coordinamento che incidono sul medesimo procedimento e che disciplinano rispettivamente: una proroga “automatica” di 120 giorni del termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo, qualora, tra la data di comparizione e quella di decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere di notificazione dell’atto impositivo, intercorrano meno di 90 giorni. Inoltre vi è la possibilità di presentare l’istanza con la quale richiedere all’ufficio la formulazione di una proposta di accertamento con adesione, qualora l’avviso notificato sia stato preceduto da un invito al contraddittorio obbligatorio. Hai un quesito ? Contattaci Leggi gli altri contributi Lo scopo é quello prevenire la fase contenziosa; Tocca al contribuente partecipare, durante il procedimento avviato alla fase di analisi dei dati e delle informazioni raccolti dall’ufficio nella fase istruttoria. Pertanto, il confronto anticipato con il contribuente assume un ruolo centrale nell’assicurare la corretta pretesa erariale e, in generale, nello spingere i contribuenti medesimi a incrementare il proprio adempimento spontaneo, così da ridurre, conseguentemente, il tax gap. In coerenza con tali finalità, gli uffici sono tenuti ad attivare e valorizzare il contraddittorio preventivo. L’invito è applicabile esclusivamente per la definizione degli accertamenti in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, contributi previdenziali, ritenute, imposte sostitutive, imposta regionale sulle attività produttive, imposta sul valore degli immobili all’estero, imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero e imposta sul valore aggiunto, L’introduzione del nuovo istituto richiede una particolare attenzione da parte degli uffici in fase istruttoria al fine di verificare se, per lo specifico procedimento accertativo, sussista l’obbligo di avviare l’iter dell’adesione tramite invito al contraddittorio. Hai ricevuto un atto che vuoi contestare? Contattaci Al riguardo si osserva che l’invito, ancorché obbligatorio, mantiene le “ordinarie” finalità, propedeutiche alla instaurazione del contraddittorio per la definizione dell’accertamento; la nuova disposizione non modifica le finalità dell’istituto dell’accertamento con adesione perseguite sin dalla sua introduzione, né i suoi effetti sia tributari che extra-tributari. La mancata attivazione del contraddittorio comporta l’invalidità dell’atto impositivo: «qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato» Salvo i casi di particolare urgenza o di fondato pericolo per la riscossione e quelli di «partecipazione del contribuente prima dell’emissione di un avviso di accertamento» Leggi gli altri Post a tema In questi ultimi casi, l’invalidità dell’avviso di accertamento, emesso senza aver prima proceduto ad invitare il contribuente al contraddittorio obbligatorio, è rimessa quindi alla valutazione del giudice tributario a cui è demandato stabilire, in sede di impugnazione, se l’osservanza di tale obbligo avesse potuto comportare un risultato diverso. Si tratta della cosiddetta “prova di resistenza”, in ragione della quale il contribuente deve fornire la prova che l’omissione del contraddittorio gli ha impedito di far emergere elementi o circostanze puntuali e non «del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali» che avrebbero potuto indurre l’ufficio, in concreto, a valutare diversamente gli elementi istruttori a sua disposizione Esclusione dall’applicazione dell’istituto L’obbligo di avvio del procedimento di adesione su iniziativa dell’ufficio è escluso nei «casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo» L’obbligo di notifica dell’invito al contradditorio è, inoltre, escluso negli altri casi di «partecipazione del contribuente prima dell’emissione di un avviso di accertamento» Obbligo di “motivazione rafforzata” Nel caso di mancata adesione, l’avviso di accertamento emesso dall’ufficio deve essere specificatamente motivato con riferimento «ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente» Avviso di accertamento preceduto da invito il procedimento con adesione può essere attivato anche su istanza del contribuente a seguito della notifica di un avviso di accertamento, soltanto nel caso in cui quest’ultimo non sia stato preceduto da un invito a comparire per il contraddittorio con l’ufficio previsto dall’articolo. Tali procedure si applicano agli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020» Fonte: Circolare 17/E Agenzia delle Entrate del 22 Giugno 2020. Blog Fiscale di Studio Legale Angelini Lucarelli
- Società di persone, le condotte del socio che recede e le sorti della società che fallisce.
Nelle Società di persone, il Socio meno attivo che decida ad un certo punto della vita sociale di uscire dalla società tramite il recesso, puo' essere ritenuto responsabile in caso di fallimento? E' il caso che delle società SNC ove a fronte di una amministrazione disgiunta, uno dei soci sia meno attivo e lasci l'effettiva gestione economica dell'impresa all'altro socio, che potrebbe essere realmente il solo responsabile del dissesto. La risposta va contro corrente, infatti nelle società di persone ANCHE il socio meno attivo, che abbia i poteri gestori si troverà nei guai. Hai un quesito di Diritto Societario? Contattaci Al di là dell'esercizio disgiunto dei poteri gestori, gravano, infatti, indistintamente, su tutti i soci-amministratori obblighi di vigilanza - direttamente discendenti dalla posizione di garanzia delineata dagli artt. 2260 e 2267 cod. civ. - che impongono loro di controllare di continuo l'andamento della gestione ed intervenire per evitare che condotte pericolose per la prosecuzione dell'attività sociale e per gli interessi dei creditori possano essere poste in essere. Leggi i nostri articoli Può, dunque, affermarsi che: «Nella società di persone, il potere di amministrazione disgiunta spettante, di regola, a ciascun socio, non vale, di per sé, a esonerare il socio, che non si sia reso autore di condotte pregiudizievoli per la società ed i creditori, da responsabilità anche penale, a titolo di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale, in caso di dichiarazione di fallimento, essendo egli onerato del potere-dovere di vigilare sulla complessiva gestione della società, salvo che non adduca specifiche e documentate ragioni atte a dar conto dell'inesigibilità del relativo esercizio. Cass. Civ. 17092/2022 Torna alla home Studio Legale Angelini Lucarelli
- Farmacie: il criterio topografica arriva sino alla Comodità dell'utente?
Criterio topografico, quindi in deroga alla nota soglia dei 3.300 abitanti per farmacia. La seconda sede con il criterio demografico è prevista con il 50% +1 degli abitanti, e così al raggiungimento di 4950 abitanti. Ecco quindi che si pone il problema del nostro lettore, nel caso di un comune che abbia 4.600 abitanti, a chi spetterà decidere se richiedere l'istituzione della seconda sede di farmacia? La risposta è agevole, all'amministrazione Comunale, ovvero al centro di interessi della Pubblica Amministrazione maggiormente vicino al cittadino, così' come piu' volte affermato dal Consiglio di Stato, che ha anche sottolineato della ampia discrezionalità nella scelta di tale richiesta. Ecco quindi che il Consiglio Comunale sarà l'organo chiamato a revisionare la pianta organica, ed a valutare il rapporto tra servizio farmaceutico e abitanti del Comune, o della zona/frazione del medesimo Comune, sempre che non vi siano i numeri previsti per la farmacia con il criterio demografico. In caso di contestazione invece spetterà al privato cittadino, ad esempio un concorrente già titolare di farmacia, chiedere la verifica della pianta organica ed il rispetto dei parametri. Home Come anticipato però non è sempre agevole comprendere quali siano le effettive giustificazioni atte a suffragare l'iter motivazionale di una determina che vada ad istituire una seconda sede di farmacia in quei comuni che nel limite dei 12.500 abitanti vogliano utilizzare il criterio in deroga previsto dall'art. 104 del Testo Unico delle leggi sanitarie secondo cui l'istituzione della sede farmaceutica è ammessa, in deroga all'ordinario criterio demografico di cui all'art. 1 della L. n. 475 del 1968, quando particolari esigenze dell'assistenza farmaceutica in rapporto alle condizioni topografiche e di viabilità lo richiedono, purché vi sia "un limite di distanza per il quale la farmacia di nuova istituzione disti almeno 3000 metri dalle farmacie esistenti anche se ubicate in comuni diversi". Sei interessato all'argomento? Contattaci Diversamente dal criterio demografico, fondato sull'oggettivo parametro numerico, il criterio derogatorio è basato quindi su una valutazione delle situazioni topografiche e di viabilità ed è pertanto volto a garantire la reale copertura del servizio di assistenza farmaceutica in centri abitati il cui accesso alle sedi farmaceutiche presenti sia disagevole. L'applicazione del criterio topografico, essendo rimessa alla valutazione discrezionale dell'Amministrazione Comunale è sindacabile solo per gravi ed evidenti errori di valutazione dei presupposti ed irragionevolezza delle scelte effettuate dalla Amministrazione. Segui la pagina di Diritto Farmaceutico Ma l'irragionevolezza come puo' essere dimostrata? Sarà necessario per il Comune - evidenziare l'iter logico giuridico seguito per la richiesta di una nuova sede - mentre per il privato che voglia recriminare tale scelta sarà necessario evidenziare 1) la non necessità, 2) l'assenza di disagi topografici tali da giustificare una deroga al principio ordinario, 3) l'effettiva copertura del servizio farmaceutico da parte delle farmacie esistenti anche tramite presisi ancillari quali dispensari o farmacie succursali ed anche nei periodi festivi. In ultimo è stato di recente affermato dal Consiglio di Stato in un caso affrontato, che il servizio farmaceutico oltre che capillare possa essere anche "comodo". Su tale aspetto però vedremo cosa ne penserà la Cassazione in uno dei procedimenti pendenti per violazione di legge avverso una eccessiva estensione interpretativa dell'art. 104 del Testo Unico. Sei interessato all'argomento? Contattaci Home Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli
- Farmacia: la trasformazione in SRL costituisce ipotesi di "cessione"
La trasformazione della Farmacia ditta da partita iva individuale in SRL e la successiva donazione delle quote puo' costituire in senso ampio una ipotesi di cessione della Farmacia? Abbiamo già affrontato il tema nell'articolo "doppio vantaggio", torniamo a parlarne alla luce della recente sentenza del Consiglio di Stato che si è spinta sino ad analizzare il concetto di "cessione" da un punto di vista logico - fattuale, con particolare riguardo al #Concorso #Farmacie. Premesso infatti che il termine “cessione” è caratterizzato da una ampia portata, non vi è dubbio che sia riconducibile in tale concetto l’attribuzione della titolarità della farmacia a titolo di conferimento aziendale a favore della neo costituita società. il conferimento aziendale puo' considerarsi quindi una “cessione” nell'ambito del sistema concorsuale Farmacie. ciò in quanto non assume rilievo il concetto di “gratuità-onerosità” dell'atto. E ció in quanto non può negarsi che il conferimento da parte del Farmacista abbia natura di prestazione corrispettiva, finalizzata a compensare, l’acquisizione al suo patrimonio della titolarità (maggioritaria) delle quote sociali, della neo nata società. il concetto di “cessione”, quindi assume un significato ulteriore che si concentra sul risultato dell'operazione in sé piuttosto che sul valore letterale dell'atto. Deve solo aggiungersi, a completamento di tale ricostruzione che il distacco della titolarità della farmacia dal patrimonio giuridico risulta completato a seguito della donazione del pacchetto di quote societarie in favore di un familiare. Ecco quindi che “trasformazione” della ditta individuale in quote di SRL e successiva “donazione” è una operazione che integra la previsione di “cessione”, così prevista come causa escludente dall’art. 2.6 del bando di concorso straordinario Farmacie e del suo referente legislativo di cui all’art. 12, comma 4, l. n. 475/1968. E ció in totale aderenza al principio sancito dalla pronuncia del CdS n. 229 del 10 gennaio 2020 secondo cui lo scopo del legislatore di “evitare che il farmacista, il quale abbia ceduto la propria farmacia, si appropri, attraverso l’assegnazione concorsuale di un nuovo esercizio farmaceutico prima che sia trascorso un decennio dalla cessione, di un doppio vantaggio economicamente valutabile”. Seguici Hai un quesito? Contattaci Studio Legale Angel ini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli
- Il recesso del Socio nella SNC in caso di fallimento.
Sono il titolare di una SNC unitamente ad un mio Socio con cui abbiamo lavorato e condiviso l'attività per 15 anni, ora lui vuole recedere, è legittimo il Suo recesso anche se la società è in difficoltà? Gentile Signore, per rispondere alla sua domanda precisiamo che il recesso del socio dalla SNC prevederebbe la liquidazione della propria quota, ma attenzione, nei limiti del valore "attuale". Infatti nel caso di recesso di socio di società di persone, per il calcolo della liquidazione della quota, a norma dell'art. 2289, comma 2, cod. civ., deve tenersi conto della effettiva consistenza economica dell'azienda sociale all'epoca dello scioglimento del rapporto, comprendendovi anche il fattore di redditività della azienda stessa: Redditività, in cui si sostanzia il concetto di avviamento, che deriva da un complesso di elementi i quali, se pure cronologicamente attualizzati al momento dello scioglimento del rapporto, si fondano sui risultati economici delle passate gestioni e sulle prudenti previsioni dei futuri rendimenti, e che si traduce nella probabilità, proiettata eminentemente nel futuro, di maggiori profitti per i soci superstiti, derivati dall'apporto conferito dal socio recedente e consolidatosi come componente del patrimonio sociale (Sez. 1 civ., n. 7595 del 10/07/1993, Rv. 483091; conf. Sez. 1 civ., n. 5449 del 18/03/2015, Rv. 634708). Nel caso che ci ha prospettato, se la società è in difficoltà, pretendere una liquidazione senza tenere in debita considerazione l'effettiva consistenza patrimoniale della SNC da parte del Suo socio lo porterà ad affrontare ipotesi di responsabilità in caso di dissesto. Leggi i nostri articoli gratuitamente QUI Deve, quindi, affermarsi che: «Nella società di persone, la condotta del socio uscente per recesso che prelevi dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti al credito vantato nei confronti della società - in riferimento al suo diritto a vedersi liquidata la quota -, senza alcuna indicazione di elementi oggettivi che ne consentano un'adeguata valutazione, costituisce un atto di disposizione patrimoniale intrinsecamente arbitrario, che, in quanto idoneo ad esporre a pericolo le ragioni dei creditori, è tale da integrare il delitto di bancarotta per distrazione». Hai un quesito? Contattaci Conclusione: Sarà quindi possibile per il Suo Socio recedere dalla società, pur tuttavia il recesso non determinerà automaticamente il diritto a vedersi liquidata la propria quota, in quanto pur recedendo il Suo socio dovrà tener conto della reale situazione finanziaria della SNC per non incorrere in responsabilità in caso di fallimento. Studio Legale Angelini Lucarelli
- Medicina e Chirurgia - Il Ricorso Collettivo al Tar conviene?
Mancata ammissione al Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, cosa fare? Attenzione ai ricorsi collettivi, sempre piu' spesso dichiarati inammissibili, vediamo il perché. Spesso viene proposto un ricorso collettivo, svolto quindi per un gruppo di persone che però rischia di essere inammissibile ove non vi sia la coincidenza delle posizioni e l'identità dei motivi di ricorso. Hai un dubbio sul Tuo concorso? Contattaci senza impegno. La graduatoria così come i criteri di correzione sono infatti i primi indiziati. Per comprendere se é possibile fare un ricorso collettivo bisogna evitare di cadere nei seguenti errori: 1) i ricorrenti hanno punteggi disparati ed eterogenei. 2) tra costoro vi sono poi numerosi soggetti che sono giá decaduti dalla graduatoria. 3) vi sono altresì numerosi soggetti in condizione di “fuori soglia” . Ed ecco la precisazione del Tar Lazio: “ il ricorso collettivo è proponibile soltanto in presenza di identiche situazioni sostanziali e processuali, quando possa escludersi con certezza qualsiasi conflitto di interessi fra le parti.” Quindi é necessario che tra i ricorrenti non vi siano neanche situazioni di potenziali conflitti. Per approfondimenti contattaci o seguici sui social. Per il Tar al contrario è possibile proporre il ricorso collettivo quando: a) prospettazione di vizi implicanti, l'annullamento dell’intera procedura, con nuove opportunità per TUTTI gli originari concorrenti non ammessi, a seguito di ripetizione della prova; b) rivendicazione di posti aggiuntivi, tali da assicurare ai medesimi non ammessi nuove possibilità di soddisfacimento della pretesa azionata; Conclude il Tar Roma 2020, in materia di ammissione alle scuole di specializzazione in Medicina e Chirurgia: “il ricorso collettivo è ammissibile se vi è identità di posizioni sostanziali e processuali e se non sussiste conflitto di interesse anche solo potenziale tra i ricorrenti ..” (Cons. Stato, 29 maggio 2020, n. 3394).Il ricorso veniva quindi dichiarato inammissibile. Orientamento avallato nel 2021 dal Tar Basilicata che nella pronuncia n. 572/2021 ha precisato sul medesimo tema della ammissibilità dei ricorsi cumulativi: <<…– fra gli atti impugnati venga ravvisata quantomeno una connessione procedimentale di presupposizione giuridica o di carattere logico, in quanto i diversi atti incidono sulla medesima vicenda; – le domande cumulativamente avanzate si basino sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e siano riconducibili nell’ambito del medesimo rapporto o di un’unica sequenza procedimentale; – sussistano elementi di connessione tali da legittimare la riunione dei ricorsi… Rimane quindi di valutare caso per caso la posizione del candidato, e capire se vi sono problematiche di carattere generale, come ad esempio questioni di verbali, criteri, pubblicazioni, vizi del bando, che sono vizi "generalisti" oppure lacune della singola candidatura, come ad esempio, correzioni, ammissioni con riserva, documentazione integrativa. Hai un quesito? Sei stato escluso dal concorso oppure la graduatoria non ti convince? Contattaci senza impegno. Studio Legale Angelini Lucarelli
- Concorsi: i criteri di valutazione delle prove sono sempre un requisito necessario per la validità.
Ho partecipato ad un concorso per un posto pubblico ma non mi sono collocata in posizione utile per mancanza del voto minimo, ho preso 18/30 ma il voto minimo era 21/30, a me sembrava fosse andato tutto bene, cosa posso fare? hai un quesito Contattaci senza impegno Gentile Sig.ra la prima cosa da verificare in un concorso è il rispetto della legge del concorso, ovvero del bando che è l'insieme delle regole sia per i candidati sia per l'amministrazione giudicante. Leggi lo Speciale Concorsi Pubblici Altro requisito essenziale, è la dimostrazione da parte della commissione di gara/concorso di aver fissato i criteri di valutazione, mediante apposito verbale prima dell'inizio del concorso. Seguici on line Infatti i criteri di valutazione della commissione servono per esplicare quali sono le regole logico - giuridiche seguite nella fase di controllo, e dare quindi l'opportunità di riscontrare la correttezza delle operazioni di verifica, e quindi la trasparenza, non essendo sufficiente a tal proposito il solo voto numerico. I criteri quindi devono essere esplicati in apposito verbale redatto dalla commissione, prima dello svolgimento della prova, in ossequio al principio di trasparenza a cui deve tendere l'agire della Pubblica Amministrazione. Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, condiviso da questo Collegio, ai sensi dell’art. 12 del D.P.R. n. 487/94 è infatti necessaria la preventiva predeterminazione e formalizzazione, nei relativi verbali, dei criteri e delle modalità di valutazione delle prove concorsuali al fine di assegnare i punteggi attribuiti alle singole prove. La predeterminazione dei criteri di valutazione è, infatti, regola generale per tutti i concorsi pubblici, discendente dall’esigenza di garantire l’effettiva attuazione della trasparenza della procedura selettiva, che si configura, in tutti i casi, quale condizione necessaria e imprescindibile ai fini della sufficiente motivazione del giudizio espresso con voto numerico (cfr., per tutti, Cons. di Stato, V, 28 giugno 2004, n. 4782; Cons. di Stato, V, 17 dicembre 2018, n. 7115). Home Amministrativo Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che: “la commissione è tenuta, ai sensi dell'articolo 12 del D.P.R. 487/1994, a stabilire i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali nella sua prima riunione o, eventualmente, prima della correzione delle prove scritte, rientrando tale principio nell'ottica della trasparenza dell'attività amministrativa perseguita dal legislatore, il quale ritiene necessario determinare i criteri in un momento nel quale non possano sorgere dubbi circa l'imparzialità degli stessi” (Cons. di Stato, VI, 12 dicembre 2018, n. 6979). La natura necessariamente preventiva di tale determinazione e verbalizzazione si desume dal fatto che nello stesso art.12 appena citato si stabilisce che tale operazione deve avvenire alla prima riunione delle commissioni esaminatrici. I criteri devono esser pertanto indicati in apposito verbale da redigersi prima dell’esame o dello svolgimento delle prove. Leggi i nostri pareri ed articoli In caso contrario, non sarebbe possibile alcun controllo in concreto circa il corretto esercizio della discrezionalità tecnica spesa dalla Commissione, escludendosi, di fatto, ogni possibilità di verifica circa il percorso logico-argomentativo seguito da quest’ultima nella valutazione degli elaborati scritti e dell’esposizione orale dei candidati e in ordine all’effettiva rispondenza dei giudizi espressi alle prove effettivamente da questi sostenute, nonché dei singoli punteggi attribuiti ad una griglia di valori preventivamente stabilita, al fine di assicurare il regolare esito della selezione e garantire il fine proprio della procedura concorsuale (Cons. di Stato, V,17 dicembre 2018, n. 7115). Hai partecipato ad un concorso? Contattaci per ogni esigenza, se hai colleghi nelle tue stesse condizioni, valuteremo un ricorso collettivo. Studio Legale Angelini Lucarelli
- Concorso Farmacie, l'incompatibilità del Socio è legittima?
Perché il Socio di Società di Farmacia è soggetto alle incompatibilità del Titolare di Farmacia? Per rispondere a questo interrogativo, prendiamo il caso prospettato, ovvero due soci di SaS di cui uno, quello Accomandante, anche dipendete pubblico. E bene questo socio è soggetto alle incompatibilità dell'art. 8 della Legge 362 del 1991 lett. a)ove la Farmacia sia assegnata a seguito del Concorso Farmacie? ù Il quesito nasce dalla interpretazione dell’inciso della legge “in quanto compatibile” contenuto nell’art. 7 della legge 362/91, il ché farebbe intendere che la titolarità del diritto all’apertura della farmacia, e quindi alla titolarità e gestione, sarebbe lecito, se a favore del dipendente pubblico o privato, risultato vincitore della procedura concorsuale, non viene riconosciuto anche il diritto di iniziativa economica per lo svolgimento della relativa attività commerciale, diritto in questo caso riconosciuto solo alla società di cui una socia è accomandataria e non l'altra socia che è solo socia accomandante. Quindi, il socio Accomandante di SaS è soggetto agli stessi limiti del Socio accomandatario per cio' che attiene alle incompatibilità? Il quesito, nasce dalla stretta applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n.11/2020 laddove ha ritenuto che “l’incompatibilità con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato, se era coerente con il precedente modello organizzativo – che, allo scopo di assicurare che la farmacia fosse comunque gestita e diretta da un farmacista, ne consentiva l’esercizio esclusivamente a società di persone composte da soci farmacisti abilitati, a garanzia dell’assoluta prevalenza dell’elemento professionale su quello imprenditoriale e commerciale –, coerente (quella incompatibilità) non lo è più nel contesto del nuovo quadro normativo di riferimento che emerge dalla citata legge n. 124 del 2017, che segna il definitivo passaggio da una impostazione professionale-tecnica della titolarità e gestione delle farmacie ad una impostazione economico-commerciale. Innovazione, quest’ultima, che si riflette appunto nel riconoscimento della possibilità che la titolarità nell’esercizio delle farmacie private sia acquisita, oltre che da persone fisiche, società di persone e società cooperative a responsabilità limitata, anche da società di capitali; e alla quale si raccorda la previsione che la partecipazione alla compagine sociale non sia più ora limitata ai soli farmacisti iscritti all’albo e in possesso dei requisiti di idoneità. Ragion per cui non è neppure più ora indispensabile una siffatta idoneità per la partecipazione al capitale della società, ma è piuttosto richiesta la qualità di farmacista per la sola direzione della farmacia: direzione che può, peraltro, essere rimessa anche ad un soggetto che non sia socio. Essendo, dunque, consentita, nell’attuale nuovo assetto normativo, la titolarità di farmacie private in capo anche a società di capitali, di cui possono far parte anche soci non farmacisti, né in alcun modo coinvolti nella gestione della farmacia o della società, è conseguente che a tali soggetti, unicamente titolari di quote del capitale sociale (e non altrimenti vincolati alla gestione diretta da normative speciali), non sia pertanto più riferibile l’incompatibilità «con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico privato», di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 8 della legge n. 362 del 1991”. Sgombriamo il campo da fantasiose ricostruzioni, e bene, sussiste l'incompatibilità dell'art. 8 della Legge 362 del 1991 anche per il Socio Accomandante, ma perché? La risposta è contenuta nella stessa sentenza della Corte Costituzionale n. 11/2020 sopra richiamata. In tale decisione, infatti, la Corte Costituzionale al punto 4.1 ha ricordato che l’art. 8 della legge n. 362 del 1991, nel testo modificato in parte qua dalla legge n. 124 del 2017, “riferisce l’incompatibilità (con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato) di cui alla denunciata lett. c) del suo comma 1, al soggetto che gestisca la farmacia” con l’aggiunta, però, “(o che, in sede di sua assegnazione, ne risulti associato, o comunque coinvolto, nella gestione)”: la Corte ha quindi confermato (ai fini dell’incompatibilità in questione) l’identità di condizione in cui versano il socio che gestisce la società e quello che “in sede di assegnazione ne risulti associato, o comunque coinvolto nella gestione”. Contattaci Tale concetto è stato ribadito dalla Corte laddove ha precisato che in caso di titolarità di farmacie (private) in capo anche a società di capitali, per i soggetti, “unicamente titolari di quote del capitale sociale (e non altrimenti vincolati alla gestione diretta da normative speciali)”, non sia più “riferibile l’incompatibilità «con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico privato», di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 8 della legge n. 362 del 1991”: con tale affermazione si ribadisce il concetto in precedenza espresso, secondo cui non sussiste l’incompatibilità ex art. 8 comma 1, lett. c) cit. in capo ai soci unicamente titolari di quote del capitale sociale “e non altrimenti vincolati alla gestione diretta da normative speciali”. Da ciò deriva, al contrario che l’incompatibilità derivante dal rapporto di lavoro pubblico o privato sussiste sia quando il socio di capitale gestisce la farmacia, sia quando il socio è vincolato, in base ad una normativa speciale, ad esercitare l’attività gestoria e, quindi, “quando in sede di sua assegnazione, ne risulti associato, o comunque coinvolto, nella gestione”, situazione che ricorre nel caso di specie, in base alla previsione recata dall’art. 11, comma 7 del d.l. n. 1/2012. Hai un quesito? Consulta gratuitamente i nostri articoli a tema. QUI Nel caso del concorso straordinario, in base all’art. 11, comma 7, del d.l. n. 1/2012, peraltro, non solo sussiste il vincolo della gestione associata, ma tale gestione deve essere pure paritaria, come precisato dall’Adunanza Plenaria n. 1/2020, con la conseguenza che - nonostante la tipologia di società prescelta (sullo specifico punto si fa rinvio ai punti nn. 30 e 31 del parere della Commissione speciale n. 69/2018) – la nostra Socia di SaS non può ritenersi estranea alla gestione della farmacia, essendo tenuta per legge alla co-gestione di essa per almeno tre anni per effetto della partecipazione congiunta alla procedura selettiva. Ecco quindi che dall'applicazione del principio concorsuale della gestione su base paritaria, per le farmacie del Concorso Straordinario Farmacie d.l. 1/2012, deriva la sussistenza della incompatibilità con qualunque lavoro dipendente pubblico e privato per i Soci, di cui all'art. 8 della Legge 362 del 1991. Oggi il diritto farmaceutico sposa sempre piu' spesso questioni di diritto societario, con la peculiarità di essere un settore riservato al controllo Pubblico. Contattaci per La tua Esigenza in Diritto Farmaceutico, Diritto Sanitario e Procedure Amministrative oppure consulta il nostro vasto repertorio di articoli gratuiti a tema. Studio Legale Angelini Lucarelli
- Le operazioni inesistenti, SRL, la responsabilità dell'amministratore.
Hai un quesito? Contattaci senza impegno. Il #reato di utilizzazione #fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000) è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all'IVA, esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura. Leggi i nostri articoli a tema La condotta di dichiarazione fraudolenta mediante fatture o documenti per operazioni inesistenti, presenta una "struttura bifasica", in cui la dichiarazione, quale momento conclusivo, integra un falso contenutistico, mentre la condotta preparatoria, cioè la registrazione o detenzione a fini di prova dei documenti che costituiranno il supporto della dichiarazione, si riferisce ai documenti falsi (cioè contraffatti o alterati) emessi da altri in favore dell'utilizzatore. Da qui l'orientamento della Cassazione nel 2022 secondo ciu l'ex amministratore non può rispondere del reato citato, se a presentare la dichiarazione infedele sia il suo successore, e cio' in quanto il reato si consuma nel momento in cui è presentata la dichiarazione infedele. In tema di reati tributari, non risponde del reato di fatturazione falsa, nemmeno a titolo di tentativo l'amministratore di una società il quale dopo aver acquisito e registrato una fattura per operazioni inesistenti sia cessato dalla carica prima della presentazione della dichiarazione fiscale per la cui redazione la medesima fatturazione venga poi poi utilizzata dal suo successore. In tema di reati tributari i delitti di dichiarazione fraudolenta previsti dagli articoli 2 e 3 del D.lgs 74 del 2000, si consumano quindi nel momento della presentazione della dichiarazione fiscale nella quale sono effettivamente inseriti o esposti elementi contabili fittizi, essendo penalmente irrilevanti tutti i comportamenti prodromoci tenuti dall'agente, ivi comprese le condotte di acquisizione e registrazione nelle scritture contabili di fatture e documenti contabili falsi o artificiosi ovvero di false rappresentazioni con l'uso di mezzi fraudolenti idonei a ostacolarne l'accertamento. Speciale Diritto Societario La falsità può cadere sul contenuto della fattura o del documento contabile rilevante, attestandosi che è stata eseguita una operazione in realtà non eseguita oppure che l'importo dell'operazione è superiore a quello reale, ma può cadere anche sulla indicazione dei soggetti tra cui è intercorsa l'operazione. A tale riguardo "soggetti diversi da quelli effettivi" sono quei soggetti che, in realtà, non hanno preso parte all'operazione e sono invece indicati nel documento, e ciò anche ove siano soggetti di fantasia. Approfondimenti e casi pratici nel BLOG del sito, Infatti non vi è alcun fondamento razionale nell'affermare che la falsa fatturazione non ricorre quando i soggetti che appaiono emittenti del documento siano addirittura inesistenti (trattandosi, ad esempio, di nomi di fantasia) o siano soggetti che nessun rapporto abbiano mai avuto con il contribuente che utilizza il documento medesimo. Anche in tal modo, infatti, il contribuente fa apparire di avere speso somme in realtà non sborsate e pone così in essere una lesione del bene giuridico protetto, costituito dal patrimonio erariale, con la conseguenza, dunque, che nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) la falsità può essere riferita anche all'indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l'operazione, intendendosi per "soggetti diversi da quelli effettivi", ai sensi dell'art. 1 lett. a), del citato D.Lgs., coloro che, pur avendo apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione, sono irreali, come nel caso di nomi di fantasia, o non hanno avuto alcun rapporto con il contribuente finale. Contattaci per ogni esistenza Studio Legale Angelini Lucarelli Cass. Pen. 9753/2022 e 13275/2021.
- Liquidazione Società ed Agenzia delle Entrate.
Liquidazione della Società, può l'Agenzia delle Entrate iscrivere a ruolo straordinario i debiti fiscali non definitivi? Pagina Tributario Il quesito nasce dall'art 15 bis del DPR 602/del 1973, e quindi dalla circostanza se la sola circostanza della messa in liquidazione volontaria della società contribuente, sia di per sé inidonea ad integrare il presupposto del fondato pericolo per la riscossione. Vai alla Conclusione Secondo la recente giurisprudenza della Cassazione n.2259/2022, la risposta é negativa, la liquidazione volontaria della società non é sufficiente a giustificare l'iscrizione nei ruolo straordinari anche se non definitivi e ciò in quanto é necessario che sussistano fatti ulteriori riferibili alle condotte del contribuente, come l'occultamento di cespiti. Ed Infatti La liquidazione delle società di capitali, regolata dagli artt. 2484 costituisce una fase della vita della società immediatamente precedente e strumentale alla sua estinzione ed è caratterizzata da un procedimento complesso che inizia con la verificazione e l’accertamento di una causa di scioglimento. Pagina Societario In termini essenziali, al centro della procedura si pone il liquidatore (art. 2487 c.c.), che è tenuto a convertire il residuo patrimoniale attivo della società in denaro per il soddisfacimento, in via primaria, dei creditori e, in via secondaria, dei diritti dei soci. Hai un quesito? Contattaci L’art. 2489 c.c., in particolare, attribuisce ai liquidatori la facoltà di compiere “tutti gli atti utili” per la liquidazione della società; costoro, dunque, debbono attivarsi – con una diligenza qualificata poiché sono responsabili per i danni eventualmente cagionati ai soci, alla società e ai creditori qualora siano inadempienti rispetto agli obblighi previsti dall’art. 2491 c.c. - per effettuare ogni operazione che, direttamente o indirettamente, sia utile ad una liquidazione fruttuosa. Non solo: l’art. 2491 c.c. prevede anche che i liquidatori possano chiedere ai soci, proporzionalmente, i versamenti ancora dovuti nel caso in cui i fondi non consentano di soddisfare i creditori. Torna alla Home Ne deriva che il liquidatore ove constati l’incapienza del patrimonio sociale per l’integrale pagamento dei creditori man mano che i rispettivi crediti vengano a scadenza (attività che deve essere informata, anche in caso di liquidazione volontaria, ai principi di concorsualità, rispettando, cioè, la cd. par condicio creditorum), deve ritenersi tenuto a promuovere (eventualmente con interessamento dell’assemblea dei soci) una procedura concorsuale per il soddisfacimento paritetico di tutti i creditori. Del resto, il liquidatore che operi pagamenti preferenziali di alcuni creditori a discapito di altri a fronte dell’incapienza della società può essere chiamato a rispondere del danno da questi ultimi subito ai sensi dell’art. 2489, secondo comma, c.c. Occorre sottolineare, infine, che la fase di liquidazione della società è caratterizzata dalla redazione di specifici bilanci (artt. 2490 e 2492 c.c.), che devono essere predisposti dai liquidatori nei termini e secondo le modalità previste dalla legge. In questa prospettiva, dunque, l’avvio e lo svolgimento della fase di liquidazione non può ritenersi, di per sé, portatore di disvalore poiché attesta, semplicemente, che la vita di quella particolare società, con una procedura controllata e trasparente, è destinata a chiudersi; al contempo, l’iter avviato è funzionale al soddisfacimento dei creditori esistenti (e solo in subordine dei soci). La giurisprudenza della Corte, invero, in alcune rade occasioni ha positivamente valutato, ai fini della legittimità dell’iscrizione a ruolo straordinario, la condizione di messa in liquidazione della società. Ciò ha fatto, tuttavia, in quanto tale status fosse concorrente con altri elementi. Già la sentenza Cass. 11225 del 30/07/2002, infatti, aveva precisato che «in tema di riscossione delle imposte sui redditi, ai fini della iscrizione delle imposte nei ruoli straordinari, la sussistenza, alla data della formazione del ruolo, di provvedimento (valido ed efficace) di iscrizione di ipoteca legale sui beni di società assoggettata ad IRPEG e la circostanza che la società stessa si trovi in fase di liquidazione costituiscono elementi concorrenti ad integrare il requisito del "fondato pericolo per la riscossione", richiesto dall'art. 11, quinto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (ed ora dall'art. 11, comma terzo, del d.P.R. medesimo, come sostituito dall'art. 3 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46)»; il principio è poi stato ribadito da Cass. n. 458 del 13/01/2014 (non in contrasto, sullo specifico punto, con Sez. U n. 758 del 13/01/2017). In via generale, che la sola circostanza della messa in liquidazione, anche volontaria, della società non è idonea ad integrare il requisito del “fondato pericolo per la riscossione”, occorrendo, invece, che a tale condizione concorrano ulteriori fatti – riferibili vuoi a condotte tenute dal contribuente (quali, ad esempio l’occultamento di cespiti) vuoi ad eventi oggettivi esterni (ad esempio, l’adozione di provvedimenti di sequestro, la contestuale presenza di una pluralità di ingenti debiti ovvero la presentazione di istanze di fallimento), vuoi, anche, a gravi irregolarità da parte del liquidatore nella stessa procedura di liquidazione – come tali suscettibili di porre in risalto la criticità della posizione debitoria e il timore di un vulnus per il credito. Studio Legale Angelini Lucarelli
- I farmaci allergeni e le competenze dell'AIFA.
I medicinali allergeni sono preparazioni farmaceutiche ottenute da estratti contenenti allergeni, ovvero sostanze comunemente presenti nell'ambiente esterno, che generano, in soggetti predisposti, una reazione immunitaria, detta di ipersensibilità allergica. Tali medicinali possono essere utilizzati a scopo diagnostico e terapeutico. I medicinali allergeni attualmente in commercio in Italia sono di tre tipologie: Medicinali autorizzati al commercio ope legis ai sensi del D.M. 13 dicembre 1991 Il Decreto Legislativo 178/1991 ha classificato gli allergeni per la prima volta come medicinali e, pertanto, ha stabilito norme rigorose per l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC). Al fine di evitare improvvise indisponibilità di medicinali ritenuti necessari, a seguito dell’emissione della nuova norma, il Ministero della Sanità ha emanato il D.M. 13 dicembre 1991, che ha consentito ai prodotti già utilizzati in Italia anteriormente al 1 ottobre 1991 di restare in commercio, a condizione che le Società titolari dei medicinali commercializzati presentassero al Ministero della Sanità regolare domanda di AIC. Per tali prodotti è stato pertanto possibile il mantenimento in commercio ope legis, in attesa del rilascio dell’AIC. Attualmente in Italia i seguenti medicinali per immunoterapia, appartenenti a diverse famiglie di allergeni, hanno ricevuto l’autorizzazione all’immissione in commercio mediante procedura decentrata o di mutuo riconoscimento, in accordo alla direttiva 2001/83/CE. Medicinali commercializzati ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs 219/2006 come Named Patient Product (NPP) Dalle informazioni raccolte da AIFA, sul mercato italiano è presente un gran numero di prodotti allergeni commercializzati ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs 219/2006, come “Named Patient Product” (NPP), ovvero “...medicinali preparati industrialmente su richiesta, scritta e non sollecitata, del medico, […] il quale si impegna ad utilizzare i suddetti medicinali su un determinato paziente proprio o della struttura in cui opera, sotto la sua diretta e personale responsabilità...”. La prescrizione medica degli NPP, in Italia, è disciplinata dall’art. 5 della Legge n. 94/1998 (cd. “Legge Di Bella”) ed è, pertanto, responsabilità del medico attenersi alle disposizioni contenute in tale legge, ovvero: “i medici possono prescrivere preparazioni magistrali esclusivamente a base di principi attivi descritti nelle farmacopee dei Paesi dell’Unione europea o contenuti in medicinali prodotti industrialmente di cui è autorizzato il commercio in Italia o in altro Paese dell’unione europea […]. E’ consentita la prescrizione di preparazioni magistrali a base di principi attivi già contenuti in specialità medicinali la cui autorizzazione all’immissione in commercio sia stata revocata o non confermata per motivi non attinenti ai rischi di impiego del principio attivo”. (Fonte Aifa). Sicché gli allergeni vengono formalmente inclusi tra le specialità medicinali con il d. lgs. n. 178 del 1991, il cui articolo 20, al comma 2, li definisce come «i medicinali che hanno lo scopo di individuare o indurre una determinata alterazione acquisita nella risposta immunologica ad un agente allergizzante»; - precedentemente, la produzione e la commercializzazione dei farmaci allergeni avvenivano sulla scorta di singole autorizzazioni, rilasciate ai sensi dell’art. 144 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265; - nel medesimo contesto normativo veniva definito il modello legale di autorizzazione prevedendosi (articolo 20, comma 3, d. lgs. cit.) che, ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci allergeni, «il produttore deve dimostrare di essere in grado di assicurare in modo riproducibile la conformità della partita, convalidando i processi di fabbricazione utilizzati; la documentazione di convalida deve essere sottoposta al Ministero della sanità, che acquisisce al riguardo il giudizio tecnico dell’Istituto superiore di sanità»; - in via transitoria, per consentire l’adeguamento della produzione e del commercio di tali prodotti alla disciplina del richiamato decreto legislativo, con decreto del 13 dicembre 1991, recante “Disposizioni sui radiofarmaci e sugli allergeni”, il Ministero della Sanità, al fine di evitare i rischi connessi all’indisponibilità di medicinali allergeni giudicati necessari ed in attesa delle determinazioni da assumersi sulle domande di autorizzazione all’immissione in commercio avanzate, ha espressamente consentito il commercio e l’impiego degli allergeni già precedentemente utilizzati in Italia, all’uopo fissando a carico delle aziende responsabili dell’immissione in commercio l’obbligo: a) di inoltrare entro il 31 dicembre 1991, apposita comunicazione recante la denominazione e la composizione di ciascun prodotto, nonché ulteriori informazioni (art. 6); b) di presentare entro il 30 aprile 1992 una domanda di autorizzazione all’immissione in commercio per gli allergeni, oggetto della comunicazione sopra menzionata, raggruppati per famiglie (art. 7); - con decreti legge del 23 marzo 1996, n. 160 e 27 maggio 1996, n. 290 (non convertiti in legge) veniva reiterato l’obbligo di presentazione delle domande di autorizzazione all’immissione in commercio dei medicinali allergeni non ancora evase; - in attuazione delle direttive 2001/83/CE e 2003/94/CE il legislatore ha quindi adottato il d. lgs. n. 219 del 2006, oggi referente normativo in materia; - l’A.I.FA. ha definito le modalità di conclusione della fase transitoria per il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio dei medicinali allergeni, all’uopo compulsando le Aziende interessate a produrre la necessaria documentazione. Ed ecco quindi il punto della situazione in materia di autorizzazione all’immissione in commercio degli allergeni non può legittimamente pretendersi che il relativo potere venga esercitato sulla base di un approccio “sostanzialistico”, tanto più se per sopperire – come si pretende nel presente giudizio – a carenze documentali o errori dichiarativi della parte istante, sia perché «la mancata corrispondenza dei prodotti rende impossibile valutare i profili di sicurezza connessi alla loro commercializzazione» sia perché «l’equivalenza terapeutica è nozione disciplinata nel contesto di una fattispecie normativa cui non appare riconducibile l’oggetto del presente giudizio, e comunque implica una competenza dell’AIFA nel relativo accertamento» (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 7 dicembre 2021, n. 8166, Cons. St., sez. III, 20 luglio 2021, n. 5445, e tutta la giurisprudenza di questo Consiglio ivi richiamata). Leggi il nostro archivio di articoli a tema. Sei interessato all'argomento? 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