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  • Immobile all'asta, l'acquisto è sempre derivato dal precedente proprietario.

    Asta Immobiliare, l'acquisto dell'immobile è sempre a titolo derivato Ci è stato chiesto di approfondire un tema delicato in cui ci si imbatte chi acquista un immobile all'asta, ovvero a seguito di una procedura esecutiva immobiliare. Il punto sta nel fatto che il dante causa, ovvero il precedente proprietario non cede per libera volontà il bene come avverrebbe in caso di vendita bensì a seguito di una procedura esecutiva di carattere coercitivo, in quanto il bene gli viene spossessato a seguito di un pignoramento, quindi di un atto avviato da parte di chi è creditore a seguito dell'ottenimento di un titolo, ad esempio il mancato pagamento di un debito. Puo' anche interessarti "L'acquisto dell'immobile all'asta" Ecco quindi che la Cassazione ha recentemente precisato che l'acquisto effettuato all'asta sebbene sia un acquisto che non prevede il consenso non puo' considerarsi acquisto a titolo originario, quale ad esempio l'usucapione, e quindi cio' comporta che vi possano essere dei collegamenti con il precedente proprietario almeno per quel che concerne le vicende processuali. Ed infatti l'acquisto del bene sottoposto ad esecuzione forzata, da parte dell'aggiudicatario, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario, e pur ricollegandosi ad un provvedimento del giudice dell'esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo, non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato, con la conseguenza che, qualora, nel corso del giudizio promosso contro il proprietario di un immobile, il bene venga espropriato in esito ad esecuzione forzata, la sentenza che definisce quel giudizio deve ritenersi opponibile all'aggiudicatario, ai sensi dell'art 111, comma 4 c.p.c., in qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso, salva l'eventuale operatività delle limitazioni previste dagli artt. 2915 e 2919 c.c. (massima ufficiale Cass. Civi. 28037.2022) E' solo il caso di ricordare che l'articolo 2915 prevede che "Non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione gli atti che importano vincoli di indisponibilità, se non sono stati trascritti prima del pignoramento, quando hanno per oggetto beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri e, negli altri casi, se non hanno data certa anteriore al pignoramento. Non hanno del pari effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione gli atti e le domande per la cui efficacia rispetto ai terzi acquirenti la legge richiede la trascrizione se sono trascritti successivamente al pignoramento. mentre l'articolo 2919 prevede che La vendita forzata trasferisce all'acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subìto l'espropriazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede. Non sono però opponibili all'acquirente i diritti acquistati da terzi sulla cosa, se i diritti stessi non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell'esecuzione. Hai un quesito? Contattaci Senza impegno Studio Legale Angelini Lucarelli

  • Appalti le responsabilità anche in corso di opera.

    Ci é stato chiesto se in tema di responsabilità del Direttore dei Lavori esista una data iniziale oppure questa può essere fatta valere in qualunque momento. La domanda nasce dal fatto che é prassi attendere il collaudo o l'ultimazione dei lavori al fine di verificare la rispondenza al progetto e le eventualità di responsabilità in capo al direttore dei lavori da parte del committente. Il punto che a volte pur ben consapevoli della difformità, si suole attendere il collaudo per la prova di tali difformità ed il grado di esse, con il rischio di attendere troppo. Si pensi infatti a quei lavori ultimati per la fine dell'estate con collaudi fissati a 180 giorni quindi nella primavera dell'anno successivo. Ecco quindi che il quesito nasce dalla necessità di non aspettare l'ultimo momento ammesso dalla normativa. In tale prospettiva la Cassazione ha di recente precisato che In tema di appalto, la responsabilità del direttore dei lavori per vizi costruttivi può configurarsi anche in corso d'opera, non presupponendo che la prestazione professionale sia stata resa, pur a fronte di revoca dall'incarico, fino all'ultimazione dei lavori e al relativo collaudo. Cass. 23858.22 Quindi almeno in tema di responsabilità si potrà valutare il da farsi anche in epoca antecedente il collaudo, sebbene a livello pratico tale soluzione apparirà complicata per quanto riguarda le prove da utilizzate. Hai un quesito? Contattaci senza impegno. Seguici e leggi qui sotto gli articoli a tema Appalti ed Imprese Studio Legale Angelini Lucarelli

  • Banca: la cessione dei crediti deve essere perfettamente individuata.

    E' prassi ormani diffusa che le Banche cedano i crediti verso i clienti a nuovi istituti o società di gestione e recupero, sicché il correntista, si trova spesso dinanzi operatori con quali non aveva mai avuto rapporti di credito. E' il caso delle finanziarie e delle banche che dopo aver perfezionato un finanziamento e/o un mutuo, cedono detto rapporto "in blocco" con altri a società specializzate per la gestione o il recupero del credito. A volta si tratta di vere e proprie società con specifico scopo, denominate SPV. E quindi il correntista da sempre affezionato cliente della banca X si ritrova lettere di sollecito o ancora peggio atti giudiziali da parte di nuovi interlocutori. Ma tutto cio' è lecito, senza il consenso del debitore ceduto? La risposta è affermativa tuttavia, è necessario che la banca cedente individui perfettamente i contratti che sono stati ceduti, non essendo sufficiente un generico richiamo alla vendita in blocco. Ed infatti l’art. 58 comma 2 TUB, se non impone che un contenuto informativo minimo, consente tuttavia che la comunicazione relativa alla cessione da pubblicare in Gazzetta contenga più diffuse e approfondite notizie. Con la conseguenza che – solo qualora il contenuto pubblicato nella Gazzetta indichi, senza lasciare incertezze od ombre di sorta, in relazione, prima di ogni altra cosa, al necessario rispetto del principio di determinatezza dell’oggetto e contenuto contrattuali ex art. 1346 cod. civ., sui crediti inclusi o esclusi dall’ambito della cessione – detto contenuto potrebbe anche risultare in concreto idoneo, secondo il «prudente apprezzamento» del giudice del merito, a mostrare la legittimazione attiva del soggetto che assume, quale cessionario, la titolarità di un credito ( Sul punto, Cass, 28 febbraio 2020, n 5617). L'avviso di cessione della Banca cedente quindi dovrà rispettare caratteristiche di certezza e determinatezza, e quanto all’oggetto della cessione appare indispensabile la produzione di copia del contratto di cessione con l’estratto da cui risultino le posizioni creditorie vantate dalla banca cedente nei confronti del debitore ceduto oppure la dichiarazione del creditore cedente che confermi che il contratto di cessione comprenda il credito azionato in sede monitoria. Ecco quindi che sebbene sia ammessa la cessione in blocco tra istituti bancari, questa cessione necessiterà della prova sull'effettiva individuazione del contratto del singolo correntista ceduto. Al debitore ceduto dovrà essere comunicata o notificata tale cessione, sino ad allora, potrà continuare a pagare all'originario creditore (art. 1264 cc). Hai un quesito o un problema con la Tua banca? Contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli

  • Assegno divorzile e le aspettative lavorative perse.

    Per riconoscere l’erogazione dell’assegno divorzile a carico dell’ex marito non è sufficiente che l’ex moglie si sia dedicata ai figli e alla gestione della vita domestica essendo necessario che tutto ciò abbia comportato il sacrificio di specifiche aspettative professionali e alla rinuncia di concrete occasioni lavorative produttive di reddito. Condizione per attribuire l’assegno divorzile in funzione compensativa non è il fatto in sé che uno dei coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure domestiche e dei figli, né di per sé il divario o lo squilibrio reddituale tra gli ex coniugi o l’elevata capacità economica dell’uomo o della donna. Infatti, ai fini della funzione compensativa dell’assegno divorzile la scelta di dedicarsi esclusivamente alla famiglia assume rilievo soltanto quando sia all’origine di aspettative professionali sacrificate e della rinuncia a realistiche occasioni professionali e reddituali, e solo in tal caso il divario reddituale tra gli ex coniugi assume rilievo quale elemento causalmente riconducibile a quella scelta e, per questa ragione, meritevole di riequilibrio. Contattaci per ogni esigenza Fonte Cass. Civ. 29920/2022. Studio Legale Angelini Lucarelli

  • Farmacie, l'associazione in partecipazione.

    Hai un quesito? Contattaci Cerchiamo di rispondere ad un quesito relativo a forme di contratto alternative alla singola ditta individuale ed alla società, nella gestione dell'impresa Farmacia. Parliamo della associazione in partecipazione: Con il contratto di associazione in partecipazione l'associante attribuisce all'associatouna partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto. L'apporto potrà essere solo di capitale infatti Hai un quesito? Contattaci senza impegno Nel caso in cui l'associato sia una persona fisica l'apporto di cui al primo comma non può consistere, nemmeno in parte, in una prestazione di lavoro, e cio' a seguito della riforma del 2015 che ha espressamente escluso l'apporto di lavoro al fine di evitare una sovrapposizione con un rapporto di carattere subordinato mascherato da una associazione in partecipazione. La distinzione principale poi risiede nel rischio di impresa che è presente nel contratto di associazione mentre manca nei rapporti subordinati, e cio' quale controprestazione alla partecipazione agli utili ed alle perdite. Leggi gli articoli gratuiti in Diritto Farmaceutico Il contributo che viene offerto dall'associato è quindi di natura patrimoniale ed è funzionale alla gestione dell'impresa farmacia, che comunque rimane esclusivamente dell'associante, il quale sarà tenuto a versare gli utili in una somma predeterminata all'associato in misura proporzionale o forfettaria a seconda degli accordi interni. Blog di Diritto Farmaceutico Puo' anche interessarti “Farmacia e negozio in frode alla legge” Tale rapporto quindi potrà avere una durata predeterminata o a tempo indeterminato, con conseguente diritto di recesso in capo ad entrambe le parti. Particolari previsioni possono essere stabilite per modellare i rapporti nel tempo e per stabilire i relativi obblighi. D'altra parte la partecipazione alle perdite dell'impresa, colpirà l'associato nei limiti dell'apporto in capitale attribuito sin dall'inizio. Assistenza all'impresa Farmacia Si deve evidenziare che associato potrà essere anche un non farmacista, anche se tale precisazione oggi dopo la riforma del 2017 appare superata, così come non vi dovrebbero essere previsioni particolari in tema di incompatibilità, sebbene ad avviso di chi scrive, il rapporto farmacista/medico dovrà essere evitato anche in tale rapporto sinallagmatico, facendo proprie le previsioni stabile dal Tar Marche e poi confermate dal Consiglio di Stato in tema di partecipazioni societarie da parte dei medici, e cio' al fine di evitare commistioni tra le due figure. La gestione dell'impresa o dell'affare spetta all'associante. Il contratto può determinare quale controllo possa esercitare l'associato sull'impresa o sullo svolgimento dell'affare per cui l'associazione è stata contratta. In ogni caso l'associato ha diritto al rendiconto dell'affare compiuto, o a quello annuale della gestione se questa si protrae per più di un anno. Leggi anche i rapporti tra il Direttore ed il Responsabile di Farmacia Tali contratti, oggi un po' in desuetudine, sono stati molto utilizzati in passato sia per finanziare le farmacie di farmacisti con ditta individuale, sia per compensare problemi successori in favore di cointeressati non farmacisti. Oggi tali previsioni appaiono pareggiate dai meccanismi societari della riforma data dalla legge 124 del 2017 sebbene mantengano una loro certa autonomia. Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Immobile privo di agibilità, vendita per possesso ed altre eccezioni

    Pariamo oggi di due fattispecie frequenti nella prassi immobiliare, ma entrambe non prive di rischi. Stiamo parlando - vendita dell'immobile privo di agibilità - vendita dell'immobile per possesso. Perché accomunare tali questioni apparentemente distanti? Perché su richiesta di un nostro lettore è apparso un chiaro collegamento, ovvero il ruolo del notaio. Ecco infatti che oggi generalmente si riconosce validità alle vendite di immobili privi di agibilità, sebbene tale elemento corrobori il contratto di compravendita e conduce in sua assenza ad una causa di risoluzione contrattuale e richiesta risarcitoria. E' stato infatti precisato che l'immobile privo di agibilità è commerciabile ma non abitabile, e pertanto l'acquirente deve essere perfettamente edotto delle caratteristiche del bene, e distinguere il caso in cui l'agibilità manchi perché non completata la pratica, dal fattore ben piu' severo della mancanza per impossibilità di ottenerla. In assenza di patti contrari, l’obbligo di consegna dei documenti comprovanti l’agibilità grava in capo all’alienante, essendo tale requisito implicito in caso di silenzio delle parti sul punto, da ciò discende che, in assenza di agibilità, graverà in capo al venditore l’obbligo di attivarsi al fine di attivare la procedura volta al suo ottenimento. Al riguardo, l’inserimento in atto di una clausola nella quale si afferma che “il bene è trasferito nello stato di fatto e di diritto in cui si trova” non incide in alcun modo sugli obblighi in capo al venditore. In base a quanto detto, risulta dunque evidente che l’assenza dell’agibilità incide sul corretto adempimento degli obblighi scaturenti dal contratto di vendita e non sulla validità del contratto stesso. Non va confusa la problematica inerente l'agibilità dalla abusività per difformità totale del manufatto, da cui non potrà che derivare la nullità del contratto per illiceità della causa. Prima parte venditrice, e quindi il Notaio quindi avranno obbligo di informare le parti sulla commerciabilità dell'immobile e sullo stato dello stesso. Un immobile privo di agibilità quindi è commerciabile con le cautele sopra richiamate. Diverso è il caso in cui invece si sia difronte ad una situazione in cui una particella o una parte dell'immobile non sono giuridicamente della parte alienante, per mancanza di documenti o per difetto della successione. In tali casi, soprattutto ove la vendita non sia di grande rilevanza economica, era lecito aspettarsi l'avvio di una procedura giudiziaria di usucapione di durata sicuramente superiore ad un anno, o diversamente un usucapione con il meccanismo della mediazione, quindi tramite un accordo che poi andrà trascritto nei pubblici registri. Oggi invece sta riprendendo quota la modalità della vendita per possesso, dopo che sia il Notariato, sia la Cassazione civile hanno sdoganato l'istituto, attribuendogli una certa utilità pratica, ed una relativa sicurezza, ove manchi un titolo di proprietà trascritto, e vi sia un venditore disposto a dichiararsene titolare, almeno del possesso. La vendita per possesso, quindi costituisce una modalità operativa per sopperire ad alcune lacune delle "catene" di titolarità, ove manchi un passaggio, o ancor peggio ove la particella e/o il bene risulti di un terzo di difficile se non impossibile individuazione concreta, perché trasferito all'estero e/o deceduto da tempo. La vendita per possesso quindi è un modo per trasferire la proprietà di un bene immobile ad un terzo da parte di chi non risulta effettivo proprietario di tale bene Registri Pubblici previa dichiarazione dinanzi al Notaio di esserne l'effettivo proprietario e di aver esercitato il possesso ai fini dell'usucapione. Il terzo acquirente diventa così proprietario del bene e il Notaio provvede alla relativa trascrizione nei Pubblici Registri del passaggio di proprietà. Segui la pagina Tale passaggio sarà soggetto al termine decennale di impugnazione ove il reale proprietario, esista e venga quindi a conoscenza di un atto in suo danno. Hai un quesito? Necessiti di un contratto specifico? Contattaci senza impegno Studio Legale Angel ini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Famiglia: l'assegno di mantenimento e l'assegno di divorzio, due strade differenti.

    ridefinire le caratteristiche dell'assegno di mantenimento, che nei suoi presupposti si distingue nettamente dall'assegno di divorzio: L'assegno di mantenimento ha quindi un diverso presupposto dell'assegno divorzile. Stiamo parlando della cessazione degli effetti civili del matrimonio, vediamo ora in cosa consiste l'assegno di mantenimento e quando e perché si differenza da quello di divorzio. a) va sottolineato che, dopo una consolidata giurisprudenza, ferma nel ritenere che qualora sussista una disparita' economica tra le parti, "i redditi adeguati", cui va rapportato in sede di separazione l'assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente piu' debole al quale non sia addebitabile il fallimento dell'unione, sono quelli necessari a garantire il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto nel corso della convivenza, la necessaria correlazione tra l'adeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente ed il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio era stata messa in discussione da alcune pronunce (cfr. Cass. n. 16405 del 2019 e Cass. n. 26084 del 2019) atte ad equiparare i criteri di attribuzione e determinazione dell'assegno separativo e divorzile; b) tuttavia,  l'indirizzo tradizionale, che insiste sulla differenza di presupposti tra l'assegno divorzile e quello di separazione, ha trovato definitiva conferma anche di recente, essendosi ribadito che per quest'ultimo emolumento il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio trova giustificazione nella permanenza del vincolo coniugale, "non riscontrabile nel caso dell'assegno divorzile" il quale, a differenza dell'assegno di mantenimento, presuppone l'intervenuto scioglimento del matrimonio (Cass. n. 13408/2022); Puo' anche interessarti Diritto di Famiglia "E' vietato fare abusivo affidamento sui genitori" L'assegno divorzile quindi vista l'intervenuta cessazione dell'Unione si svincola dal parametro del tenore di vita insistito durante la vita coniugale. Seguici sui Social In tema di Assegno Divorzile da ultimo si deve precisare che L’assegno divorzile, deve essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri di cui all’art. 5, comma 6, Legge n. 898/70, essendo volto non a ricostituire il tenore di vita coniugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi. Puo' anche interessarti Diritto di Famiglia: "L'impresa familiare" Tutto ciò premesso, per il riconoscimento e il calcolo dell’assegno divorzile il giudice deve valutare: a) l’impossibilità oggettiva dell’ex coniuge a procurarsi mezzi economici adeguati a garantirsi un tenore di vita dignitoso; b) il contributo offerto alla formazione del patrimonio della famiglia; c) il contributo offerto alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge; d) la perdita di opportunità lavorative, professionali e di formazione dovuta alle scelte operate a favore del nucleo familiare. Ecco quindi che nel solco delineato dalla Cassazione a Sezioni Unite del 2018 e dalle successive sentenze si è delineato il seguente principio secondo cui: Puo' anche interessarti in Diritto di Famiglia "Famiglia Divorzio ed Eredità" “All'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate” Hai un quesito? Contattaci e sottoponi il Tuo caso. Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Farmacia e la successione dell'impresa.

    Il decesso della persona è un momento triste ed un momento in cui si realizzano importanti effetti giuridici, quali ad esempio la successione mortis causa. La successione mortis causa è infatti il passaggio di consegne da un soggetto ad un altro, non tramite contratto - successione inter vivos - ma in funzione ed a causa dell'evento morte. Ti puo' anche interessare la "Successione Ereditaria in Farmacia" In tali casi tuttavia, mentre è possibile scegliere nella successione inter vivos, quindi contrattuale, quali siano i soggetti, nel senso che ognuno è libero di contrarre con chi ritiene, nella successione mortis causa lo Stato tutela una serie di soggetti che succederanno per legge, questi sono il coniuge, i parenti, gli affini. Puo' anche interessarti "famiglia divorzio ed eredità" Il testatore può disporre validamente dell'intero suo patrimonio, tuttavia gli articoli 536 e seguenti del Codice Civile riconoscono a favore di determinati soggetti il diritto ad una quota minima sul patrimonio del defunto, la cosiddetta quota di legittima. La parte di patrimonio non compresa nella quota di legittima è detta quota disponibile; di tale quota il testatore può liberamente disporre. Chi ha diritto alla quota di legittima Ne hanno diritto il coniuge o la parte dell’unione civile, i figli e i loro discendenti e - in assenza di figli - i genitori. Questi soggetti sono chiamati legittimari. La quota di legittima spettante a ciascuno degli appartenenti a tali categorie varia a seconda di come gli stessi concorrono tra loro (uno più figli, coniuge e figli, etc.) Accanto a detti soggetti è possibile poi disporre dei beni residui e/o ancora disponibili tramite il testamento. Come ben noto tuttavia il testamento non potrà ledere le quote previste per legge in favore dei coniugi e dei figli, non sarà quindi possibile disporre di tutto il patrimonio in danno di un figlio o del coniuge, i quali rimarranno comunque titolari di quote di diritto. Esistono poi questioni legali legate alla successione ereditaria dell'azienda di famiglia, come nel caso di imprese, o di attività soggette ad autorizzazione come le farmacie. Puo' anche interessarti "la successione ereditaria della farmacia" Sussistano rimedi in casi in cui il testatore de cuis abbia disposto in danno di alcuni degli eredi legittimari, ad esempio donando in vita gran parte dei propri beni, o lasciando i beni in modo sproporzionato a favore solo di alcuni di essi. Si tratterà quindi di procedere con un legale ad una azione di riduzione proprio per ripristinare le quote di legge. E' possibile invece che un erede non accetti l'eredità per timore di dover soddisfare i propri creditori. E' il caso di un soggetto indebitato che abbia diritto di ricevere un eredità ma che non la voglia accettare per evitare di veicolare tale eredità in favore dei propri creditori. Anche in tali casi è possibile un'azione legale da parte dei creditori affinché chi ha ha diritto accetti l'eredità. Sarà necessario anche in tale caso un'azione legale da parte di un avvocato ai sensi dell'art. 524 cc. L'apertura della successione quindi si apre al momento della morte del soggetto. La prima cosa da verificare in tale situazione è l'esistenza o meno di un testamento. La successione legittima è disciplinata agli articoli 565 e seguenti del Codice Civile. I soggetti che ereditano per legge sono il coniuge o la parte dell’unione civile; i figli; i genitori; i fratelli e le sorelle; i parenti fino al sesto grado. Le quote di eredità dipendono da quali tra i soggetti elencati siano effettivamente presenti. La presenza di figli esclude tanto i genitori quanto i fratelli e sorelle e i parenti meno prossimi. Può succedere che il testamento vi sia ma disponga solo di una parte del patrimonio: in questo caso per la parte restante operano le regole della successione legittima in concorso con quella testamentaria. Se nessuno di questi parenti è vivente e non esiste un testamento, l'eredità è devoluta allo Stato Ove esistesse un testamento sarà necessario procedere immediatamente alla sua pubblicazione, tramite notaio, ove invece non sussista un testamento si potrà procedere con la successione ordinaria, nella quale quindi riassumere tutta la consistenza patrimoniale del de cuis. Si possono distinguere tre fasi della successione. L’apertura della successione L’art. 456 del Codice Civile stabilisce che la successione si apre al momento della morte, nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto. Tale norma individua anche il Tribunale competente alla trattazione delle diverse cause che possono essere connesse alla successione del defunto, che è il Tribunale del luogo dell’ultimo domicilio del defunto. La fase della delazione o chiamata all’eredità Si tratta della fase nella quale si deve individuare a chi spetta il patrimonio ereditario ed in quale misura. L’erede infatti diviene tale solo dopo aver accettato l’eredità, prima si parla di chiamato. Il chiamato è la persona che, in seguito all’apertura della successione, ha un’aspettativa ereditaria, o perché indicato come erede nel testamento o perché prossimo congiunto del defunto. L’accettazione o la rinuncia all’eredità Con l’accettazione il chiamato diventa erede, accettando l’eredità. L’accettazione non è obbligatoria, infatti il chiamato può anche scegliere di rinunciare all’eredità, ad esempio quando l’eredità sia composta in gran parte da debiti. Ove sussistano dubbi sulla consistenza del patrimonio che si andrà ad ereditare è necessario procedere prima con una stima delle attività e delle passività dell'asse ereditario, e valutare la rinuncia all'eredità o l'accettazione con il beneficio d'inventario. Hai necessità di assistenza? Contattaci Potrebbe interessarti anche "La rinuncia all'eredità danneggia i creditori" Esistono però tutta una serie di questioni ereditarie che esulano dal solo diritto farmaceutico ed attengono ai rapporti familiari. Si tratta dell'ipotesi in cui il chiamato all'eredità sia debitore di verso soggetti esterni, estranei ai rapporti aziendali, i quali potrebbero avere interesse al soddisfacimento dei propri crediti tramite l'asse ereditario. Ecco quindi che il chiamato all'eredità, non farmacista, che sarebbe interessato ad accettare le quote della neo costituita società titolare di farmacia, si trovi nella incresciosa situazione di dover rinunciare all'eredità. In tale ipotesi, tutt'altro che residuale, si deve tener presente che i diritti dei creditori esterni sono tutelate con il meccanismo dell'art. 524 cc secondo cui "Se taluno rinunzia, benché senza frode, a un'eredità con danno dei suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad accettare l'eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti. Il diritto dei creditori si prescrive in cinque anni dalla rinunzia" Questione affrontata in altro articolo "la rinuncia all'eredità in danno dei creditori" Altro tema assai spinoso è quello della premorienza in sede di concorso farmacie, e di assegnazione sede. Leggi "premorienza nella associazione durante il Concorso Farmacie" In sede di Concorso infatti molto dipenderà dalla "fase" in cui si trovi il procedimento assegnatorio autorizzatorio. Si potrà parlare di successione della posizione solo ad autorizzazione avvenuta, e non in fase di punteggio in graduatoria. Il punto rimane dibattuto, tuttavia l'associazione di farmacisti che non abbia ancora ottenuto una sede, si vedrà decurtare il punteggio dell'associato deceduto, ove sia ancora nella fase dello scorrimento, e cio' in quanto come è stato osservato, l'autorizzazione è pro diviso quindi il punteggio dell'associato, la cui sommatoria è prevista ope legis, verrà decurtato per mancanza della posizione soggettiva facente parte all'associazione. Ecco quindi che in sede di successione - mortis causa - da differenziare dalla successione inter vivos che avviene tramite contratto, sarà necessario dapprima verificare l'esistenza di un testamento, dopodiché verificare le vicende successorie e le quote in esso ricomprese con particolare attenzione alle quote previste ope legis. Ove infatti si verificasse un'ipotesi di quote in danno di uno degli eredi sarà possibile procedere all'azione civile di riduzione, quindi un'azione giudiziaria volta al ripristino della legalità delle quote per i chiamati all'eredità, contando anche le disposizioni a titolo gratuito operate in vita dal de cuis, come le donazioni che potrebbero aver intaccato il patrimonio. Solo una menzione ai patti Ecco quindi che la sorte dell'impresa farmacia, sebbene oggi avvantaggiata a seguito della riforma 124/2017, dal meccanismo successorio delle quote - anche in favore di non farmacisti - il ché rende il periodo provvisorio di gestione, solo un "purgatorio" per verificare le ipotesi di incompatibilità previste dalla legge, dall'altro apre la strada ad una serie di questioni con creditori degli eredi e chiamati all'eredità che non è esente da problematiche inerenti il diritto successorio dell'impresa. Oggi è altresì possibile ai sensi dell'art. 768 bis cpc disporre per la Farmacia come per le imprese ed aziende, del Patto di Famiglia, inteso come patto, appunto donazione, in favore di uno solo degli eredi che avrà l'obbligo di liquidare proporzionalmente gli altri legittimari con una somma corrispondente al valore della quota di legittima di costoro. E' necessario però il consenso di tutti i chiamati. Trattasi di "donazione modale" ed è definita come "il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti. Si deve evidenziare tuttavia che con il patto di famiglia, si garantisce una continuità all'impresa, che risulta l'oggetto della tutela, piu' che evitare contrasti tra i legittimari. Infatti lo scopo del patto di famiglia è quello di evitare che un azienda, intesta come complesso di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, sia colpita da vicende divisionali in sede di successione del capo famiglia. In sede di successione bisognerà altresì tener da conto l'ipotesi dell'esistenza di una "impresa familiare" (art. 230 bis cc) intesa come la collaborazione prevista dal codice in caso di impresa individuale a cui partecipino compenti della famiglia. Ed infatti L'istituto dell'impresa familiare ha carattere residuale, in quanto appresta una tutela minima ed inderogabile a quei rapporti di lavoro comune che si svolgono negli aggregati familiari, ricondotti in passato ad una causa affectionis vel benevolentiae, o ad un contratto innominato di lavoro gratuito, con la conseguenza che l'istituto, e la correlativa competenza del giudice del lavoro, non è configurabile quando i rapporti intervenuti tra i componenti della famiglia, estrinsecantesi in un'attività economica produttiva, trovino il loro fondamento in un diverso rapporto contrattuale, quale quello di società. Ecco quindi che ove non vi sia il fenomeno societario sarà da considerare l'esistenza di una impresa familiare, dalla quale deriva un diritto di "prelazione" di legge a favore dei famigliari in caso di divisione ereditaria. Hai un quesito specifico per il Tuo caso? Devi predisporre delle attività legali legate ad una successione o ad un testamento? Contattaci per un parere preventivo o un consulto. Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Testamento, Successione e quote di legittima.

    Il decesso della persona è un momento triste ed un momento in cui si realizzano importanti effetti giuridici, quali ad esempio la successione mortis causa. La successione mortis causa è infatti il passaggio di consegne da un soggetto ad un altro, non tramite contratto - successione inter vivos - ma in funzione ed a causa dell'evento morte. Ti puo' anche interessare la "Successione Ereditaria in Farmacia" In tali casi tuttavia, mentre è possibile scegliere nella successione inter vivos, quindi contrattuale, quali siano i soggetti, nel senso che ognuno è libero di contrarre con chi ritiene, nella successione mortis causa lo Stato tutela una serie di soggetti che succederanno per legge, questi sono il coniuge, i parenti, gli affini. Puo' anche interessarti "famiglia divorzio ed eredità" Il testatore può disporre validamente dell'intero suo patrimonio, tuttavia gli articoli 536 e seguenti del Codice Civile riconoscono a favore di determinati soggetti il diritto ad una quota minima sul patrimonio del defunto, la cosiddetta quota di legittima. La parte di patrimonio non compresa nella quota di legittima è detta quota disponibile; di tale quota il testatore può liberamente disporre. Chi ha diritto alla quota di legittima Ne hanno diritto il coniuge o la parte dell’unione civile, i figli e i loro discendenti e - in assenza di figli - i genitori. Questi soggetti sono chiamati legittimari. La quota di legittima spettante a ciascuno degli appartenenti a tali categorie varia a seconda di come gli stessi concorrono tra loro (uno più figli, coniuge e figli, etc.) Accanto a detti soggetti è possibile poi disporre dei beni residui e/o ancora disponibili tramite il testamento. Come ben noto tuttavia il testamento non potrà ledere le quote previste per legge in favore dei coniugi e dei figli, non sarà quindi possibile disporre di tutto il patrimonio in danno di un figlio o del coniuge, i quali rimarranno comunque titolari di quote di diritto. Esistono poi questioni legali legate alla successione ereditaria dell'azienda di famiglia, come nel caso di imprese, o di attività soggette ad autorizzazione come le farmacie. Puo' anche interessarti "la successione ereditaria della farmacia" Sussistano rimedi in casi in cui il testatore de cuis abbia disposto in danno di alcuni degli eredi legittimari, ad esempio donando in vita gran parte dei propri beni, o lasciando i beni in modo sproporzionato a favore solo di alcuni di essi. Si tratterà quindi di procedere con un legale ad una azione di riduzione proprio per ripristinare le quote di legge. E' possibile invece che un erede non accetti l'eredità per timore di dover soddisfare i propri creditori. E' il caso di un soggetto indebitato che abbia diritto di ricevere un eredità ma che non la voglia accettare per evitare di veicolare tale eredità in favore dei propri creditori. Anche in tali casi è possibile un'azione legale da parte dei creditori affinché chi ha ha diritto accetti l'eredità. Sarà necessario anche in tale caso un'azione legale da parte di un avvocato ai sensi dell'art. 524 cc. L'apertura della successione quindi si apre al momento della morte del soggetto. La prima cosa da verificare in tale situazione è l'esistenza o meno di un testamento. La successione legittima è disciplinata agli articoli 565 e seguenti del Codice Civile. I soggetti che ereditano per legge sono il coniuge o la parte dell’unione civile; i figli; i genitori; i fratelli e le sorelle; i parenti fino al sesto grado. Le quote di eredità dipendono da quali tra i soggetti elencati siano effettivamente presenti. La presenza di figli esclude tanto i genitori quanto i fratelli e sorelle e i parenti meno prossimi. Può succedere che il testamento vi sia ma disponga solo di una parte del patrimonio: in questo caso per la parte restante operano le regole della successione legittima in concorso con quella testamentaria. Se nessuno di questi parenti è vivente e non esiste un testamento, l'eredità è devoluta allo Stato Ove esistesse un testamento sarà necessario procedere immediatamente alla sua pubblicazione, tramite notaio, ove invece non sussista un testamento si potrà procedere con la successione ordinaria, nella quale quindi riassumere tutta la consistenza patrimoniale del de cuis. Si possono distinguere tre fasi della successione. L’apertura della successione L’art. 456 del Codice Civile stabilisce che la successione si apre al momento della morte, nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto. Tale norma individua anche il Tribunale competente alla trattazione delle diverse cause che possono essere connesse alla successione del defunto, che è il Tribunale del luogo dell’ultimo domicilio del defunto. La fase della delazione o chiamata all’eredità Si tratta della fase nella quale si deve individuare a chi spetta il patrimonio ereditario ed in quale misura. L’erede infatti diviene tale solo dopo aver accettato l’eredità, prima si parla di chiamato. Il chiamato è la persona che, in seguito all’apertura della successione, ha un’aspettativa ereditaria, o perché indicato come erede nel testamento o perché prossimo congiunto del defunto. L’accettazione o la rinuncia all’eredità Con l’accettazione il chiamato diventa erede, accettando l’eredità. L’accettazione non è obbligatoria, infatti il chiamato può anche scegliere di rinunciare all’eredità, ad esempio quando l’eredità sia composta in gran parte da debiti. Ove sussistano dubbi sulla consistenza del patrimonio che si andrà ad ereditare è necessario procedere prima con una stima delle attività e delle passività dell'asse ereditario, e valutare la rinuncia all'eredità o l'accettazione con il beneficio d'inventario. Hai necessità di assistenza? Contattaci Potrebbe interessarti anche "La rinuncia all'eredità danneggia i creditori" Hai un quesito specifico per il Tuo caso? Devi predisporre delle attività legali legate ad una successione o ad un testamento? Contattaci per un parere preventivo o un consulto. Studio Legale Angelini Lucarelli

  • Contratto di Compravendita, compromesso, preliminare e mancanza di agibilità dell'immobile

    Mancanza di Agibilità nel contratto immobiliare, il preliminare è valido? Si, l'agibilità sarà necessaria per procedere al Rogito. Mancanza di Agibilità dell'immobile prima del rogito, l'acquirente puo' rifiutarsi di stipulare l'atto? Si, fintanto che tale agibilità non sia stata fornita, o vi sia specifico accordo differente. Mancanza di Agibilità, sussiste una incommerciabilità assoluta? No, infatti come previsto dalla giurisprudenza si tratta di incommerciabilità economica, da cui derivano conseguenze legali, (risoluzione-risarcimento). Vediamo nel dettaglio secondo le sentenze della Cassazione. E ciò perché, in tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, la mancata consegna o il mancato rilascio del certificato di abitabilità (o agibilità), pur non incidendo sul piano della validità del contratto, integra però un inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio, adducibile da parte del compratore in via di eccezione, ai sensi dell'art. 1460 c.c., o come fonte di pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene, salvo che quest'ultimo non abbia espressamente rinunciato al requisito dell'abitabilità o comunque esonerato il venditore dall'obbligo di ottenere la relativa licenza. (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 19749 del 22/09/2020; Sez. 6-2, Ordinanza n. 12324 del 23/06/2020; Sez. 6-2, Ordinanza n. 10665 del 05/06/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 23265 del 18/09/2019). Leggi i Post nell'archivio Sicché il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo del certificato di abitabilità o di agibilità, pur se il mancato rilascio dipenda da inerzia del Comune - nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il promittente venditore - è giustificato, poiché il predetto certificato è essenziale, avendo l'acquirente interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico-sociale nonché a soddisfare i bisogni che inducono all'acquisto, cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2196 del 30/01/2020; Sez. 2, Sentenza n. 10820 del 11/05/2009; Sez. 2, Sentenza n. 15969 del 19/12/2000). Hai un quesito? Un caso pratico? Contattaci Né a tale conclusione può derogarsi in ragione dell'asserita conoscenza, a cura del promissario acquirente, del difetto di tale attestazione. E tanto in quanto se, per un verso, l'eccezione di inadempimento basata sulla mancanza del certificato di abitabilità dell'immobile non può essere proposta qualora risulti che il promissario acquirente era a conoscenza di tale situazione, per altro verso, il presupposto dell'obbligo che l'art. 1477, ultimo comma, c.c. pone a carico del venditore (e non del promittente venditore), in ordine alla consegna dei documenti relativi all'uso della cosa venduta, è che tali documenti siano necessari all'uso della medesima e si trovino in possesso del venditore, il quale, in caso negativo, dovrà comunque curarne la formazione al momento della conclusione del contratto, sicché, in caso di preventiva conclusione del contratto preliminare, è necessario che tali documenti siano acquisiti e consegnati al promissario acquirente all'atto della stipula del contratto definitivo di vendita. (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20426 del 02/08/2018; Sez. 2, Sentenza n. 25427 del 12/11/2013; Sez. 2, Sentenza n. 16024 del 14/11/2002). Ebbene, nella fattispecie risulta appunto che la mancanza del certificato di abitabilità ha costituito la ragione preminente che ha indotto il promissario acquirente a disattendere l'invito del promittente alienante, come da diffida inoltrata, a stipulare il definitivo nella data indicata. Leggi i Post di Diritto Civile e Commerciale Ne discende che, se la conoscenza di tale difetto non poteva determinare in sé larisoluzione del preliminare prima che fossero maturate le condizioni per la stipulazione del definitivo, in ogni caso, tale conoscenza non poteva legittimare la pretesa del promittente alienante di concludere il definitivo prima che il certificato di abitabilità fosse rilasciato. Puo' anche interessarti “il preliminare ed il divieto temporaneo di vendita” Né emerge dalle argomentazioni su cui si fonda la sentenza impugnata che il promissario acquirente abbia rinunciato al requisito dell'abitabilità o comunque abbia esonerato il promittente venditore dall'obbligo di ottenere la relativa attestazione. Seguici sui Social Altro orientamento, Cass. Civ. 2294/2017 prescrive che In materia di vendita di immobile destinato ad abitazione, integra ipotesi di consegna di aliud pro alio il difetto assoluto della licenza di abitabilità ovvero l'insussistenza delle condizioni necessarie per ottenerla in dipendenza della presenza di insanabili violazioni della legge urbanistica. Il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha infatti l'obbligo di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità, senza il quale l'immobile stesso è incommerciabile; la violazione di tale obbligo può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l'eccezione di inadempimento, e non è sanata dalla mera circostanza che il venditore, al momento della stipula, abbia già presentato una domanda di condono per sanare l'irregolarità amministrativa dell'immobile. Secondo Cass. 23 gennaio 2009, n. 1701 in Riv. not., 2009, 1280, cit. “il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l’obbligo di consegnare all’acquirente il certificato di agibilità, senza il quale l’immobile stesso è incommerciabile. La violazione di tale obbligo può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l’eccezione di inadempimento, e non è sanata dalla mera circostanza che il venditore al momento della stipula, avesse già presentato una domanda di condono per sanare l’irregolarità amministrativa dell’immobile”. Secondo la recente ordinanza della Cassazione del 10 ottobre 2019 n.25418 (in Ced cassazione) si tratta di un danno che deve essere liquidato in via equitativa Per quanto sopra, in caso di mancanza dell'agibilità, il bene oggetto della compravendita risulta in tal caso economicamente incommerciabile, non essendo idoneo a svolgere la funzione economico-sociale a cui è deputato e che ne costituisce la causa. Da ciò deriva che non sussistono invece ostacoli giuridici alla sua circolazione. Contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli

  • Concorso Straordinario Farmacie il criterio del punteggio per le associazioni di farmacisti.

    Concorso Straordinario Farmacie, perché è ammesso la sommatoria dei titoli per entrare in graduatoria? E' una domanda piu' volte pervenuta da parte dei Farmacisti titolari di farmacia e con decenni di attività che si sono visti scavalcare dalle Associazioni di giovani farmacisti nelle graduatorie, ormai in scadenza, del Concorso Straordinario Farmacie. In questo articolo tratteggiamo la normativa e troviamo la spiegazione a tale fenomeno, per ora unico nel suo genere e che potrebbe essere riutilizzato in futuri concorsi, ove una legge ad hoc, lo prevede. E quindi la pronuncia del Consiglio di Stato n. 1/2020 e Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 69/2018 sono i capisaldi della giurisprudenza in tema di Concorso Straordinario Farmacie e punteggi. Come ha avuto modo di precisare qualche mese fa il Consiglio di Stato la normativa del Concorso Straordinario Farmacie è specifica. Ed infatti quello della specificità della normativa che regola la fattispecie è specifica e trova fondamento nell'art. 11 del D.L. 1/2012, ed è relativa all’annullamento dell’autorizzazione all’apertura della farmacia in forma associata a due farmaciste con obbligo di co-gestione per un minimo di tre anni. La specialità è insita nella modalità, quella della sommatoria -lineare dei titoli. Questo concetto era stato già esaminato dal Consiglio di Stato nella sentenza 5667 del 2015 secondo cui - in tema di tetto massimo delle rurali - "il bando, avendo specificato che il punteggio massimo di 35 punti è relativo a tutti i titoli attinenti all’esperienza professionale, si è attenuto a quanto stabilisce la legge e il DPCM in ordine al punteggio attribuibile per i l’attività professionale, ma non ha implicitamente tenuto conto anche della maggiorazione prevista dall'art. 9 della L. 221/1968... in sostanza, spiegano i giudici, "osservando la clausola del bando, soltanto coloro che hanno un’anzianità di poco più di 13 anni di servizio nelle farmacie rurali potrebbero conseguire il massimo punteggio, mentre risulterebbero penalizzati coloro i quali sono in possesso di un’anzianità superiore – intorno ai 20 anni di servizio-, il che naturalmente oltre a porsi in contrasto con la legge, condurrebbe a conseguenze abnormi sul piano della razionalità e dell’imparzialità. Ecco quindi che il criterio di attribuzione del punteggio nel concorso farmacie ha subito delle deroghe al sistema ordinario, ma tale possibilità viene, tuttavia, subordinata dal legislatore al rispetto di taluni vincoli, che condizionano il mantenimento della titolarità della sede farmaceutica assegnata. I vincitori del concorso straordinario che hanno partecipato in gestione associata devono infatti garantire che tale forma di gestione permanga per un periodo non inferiore ai tre anni dalla data di autorizzazione all’esercizio della farmacia e che la gestione si svolga tra essi su base paritaria. Abbiamo già visto che gestione paritetica è garantita da un particolare tipo di società, la SRL. La gestione paritaria.. Nel successivo punto 23 del parere la Commissione Speciale ha rappresentato che in seguito alla vincita del concorso straordinario possono essere costituite società di capitali “purché sia pienamente rispettata la chiara prescrizione incentrata sulla conservazione della gestione paritaria per tre anni, da parte dei soggetti che, associandosi, hanno partecipato al concorso”. Hai un quesito? Contattaci senza impegno I medesimi principi sono stati ribaditi anche dall’Adunanza Plenaria n. 1/2020 che, in particolare, ha rilevato che: “la titolarità della sede, all’esito del concorso straordinario, deve essere assegnata ai farmacisti “associati” personalmente, salvo successivamente autorizzare l’apertura della farmacia e l’esercizio dell’attività in capo al soggetto giuridico (società di persone o di capitali) espressione degli stessi (…) farmacisti vincitori del concorso ed assegnatari della sede, che sarà in grado di garantire la gestione paritetica della farmacia con vincolo temporale di almeno tre anni (art. 11, comma 7, del D.L. n. 1/2012). Hai un quesito? Contattaci “I singoli farmacisti possono aspirare alla gestione associata della sede, come prevede l’art. 11, comma 7, del D.L. n. 1 del 2012, “sommando i titoli posseduti” e la loro partecipazione associata al concorso straordinario, sulla base di un accordo inteso alla futura gestione” (….) associata della sede agognata”. L’Adunanza Plenaria ha quindi precisato, in sintesi, che “i farmacisti concorrenti per la gestione associata otterranno personalmente e pro indiviso, per così dire, la sede messa a concorso, salvo poi essere autorizzati alla titolarità dell’esercizio in una forma giuridica, tra quelle previste dall’art. 7 comma 1, della L. n. 362/1991, che consenta l’esercizio in forma collettiva dell’attività imprenditoriale e la gestione paritetica per almeno tre anni”. Nella sentenza n. 2804/2019 il Consiglio di Stato – richiamando il parere della Commissione speciale n. 69/2018 -, ha affermato che in seguito alla vincita del concorso straordinario possono essere costituite società di capitali purchè “sia pienamente rispettata la chiara prescrizione incentrata sulla conservazione della gestione paritaria per tre anni, da parte dei soggetti che, associandosi, hanno partecipato al concorso”. Consulta la nostra sezione di Diritto Farmaceutico Ne consegue che, come chiaramente espresso sia dalla Commissione Speciale nel parere citato, sia dall’Adunanza Plenaria n. 1/2020 e dalla giurisprudenza la disciplina speciale relativa al concorso straordinario prevede necessariamente la gestione associata dei vincitori del concorso che hanno partecipato in associazione, cumulando i rispettivi titoli, per almeno tre anni. Trova il tuo post nell'archivio di Diritto Farmaceutico Se così non fosse, infatti, potrebbero verificarsi fenomeni elusivi della disciplina straordinaria che in deroga alle normali regole concorsuali, ha consentito la cumulabilità dei titoli condizionatamente, però, alla gestione congiunta e paritaria tra gli associati. Leggi anche "il doppio vantaggio é vietato" Ecco quindi il collegamento e la giustificazione nel punteggio delle graduatorie della sommatoria dei titoli ammessi per l'associazione dei farmacisti. Seguici per rimanere aggiornato Studio Legale Angel ini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Farmacie, spopolamento e chiusura della sede, un automatismo?

    In caso di decremento della popolazione, sussiste un obbligo di soppressione della farmacia? Facciamo il punto della situazione sulla modalità di istituzione secondo il criterio speciale, topografico, in deroga ai parametri demografici. E' possibile la soppressione di una sede di farmacia? E' possibile ritenere richiedere un dispensario farmaceutico al posto di una sede dichiarata vacante? La soppressione di una sede è un diritto concorrenziale di un altro farmacista? Che ruolo ha l'ordine professionale in caso di soppressione di una sede di farmacia? Cerchiamo di rispondere ad una serie di interrogativi spinosi ed articolati, creando un collegamento tra le norme esistenti. Il criterio topografico previsto dalla legge n. 362 del 1991, secondo l’art. 104 dispone che: Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, quando particolari esigenze dell'assistenza farmaceutica in rapporto alle condizioni topografiche e di viabilita' lo richiedono, possono stabilire, in deroga al criterio della popolazione di cui all'art. 1 della L. 475/1968 e successive modificazioni, sentiti l'unita' sanitaria locale e l'ordine provinciale dei farmacisti, competenti per territorio, un limite di distanza per il quale la farmacia di nuova istituzione disti almeno 3.000 metri dalle farmacie esistenti anche se ubicate in comuni diversi. Tale disposizione si applica ai comuni con popolazione fino a 12.500 abitanti e con il limite di una farmacia per comune. In sede di revisione delle piante organiche.. le farmacie gia' aperte in base al solo criterio della distanza sono riassorbite nella determinazione del numero complessivo delle farmacie stabilito in base al parametro della popolazione e, qualora eccedenti i limiti demografici sono considerate in soprannumero. Ecco quindi che le farmacie risultanti in soprannumero alla pianta organica saranno gradatamente assorbite nella pianta stessa con l'accrescimento della popolazione o per effetto di chiusura di farmacie che vengano dichiarate decadute. Tale disposizione si applica ai comuni con popolazione fino a 12.500 abitanti e con il limite di una farmacia per comune. . E cosa accade alle Farmacie istituite con Criterio Topografico in sede di Revisione della Pianta Organica? Per rispondere a tale domanda partiamo da dati normativi. La legge n. 362 del 1991 ha stabilito in tema di “revisione della pianta organica” all’art. 5, che “Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentiti il comune e l’unità sanitaria locale competente per territorio, in sede di revisione della pianta organica delle farmacie, quando risultino intervenuti mutamenti nella distribuzione della popolazione del comune o dell’area metropolitana anche senza sostanziali variazioni del numero complessivo degli abitanti, provvedono alla nuova determinazione della circoscrizione delle sedi farmaceutiche”; Ecco quindi che la revisione della pianta organica è giustificata biennalmente a Dicembre e per qualunque mutamento della distribuzione della popolazione. Tale locuzione oggi è altamente utilizzata per giustificare gli insediamenti in quei Comuni con pochi abitanti ma su un territorio molto esteso, oppure frazionato in zone alte e basse ove è suddivisa la comunità. Hai un quesito? Consulta il nostro archivio Criterio Topografico e classificazione delle farmacie: Sussiste la divisione tra rurali ed urbane poi l’art. 1 della legge n. 221 del 1968 aveva previsto che le farmacie sono classificate in due categorie: a) farmacie urbane, situate in comuni o centri abitati con popolazione superiore a 5.000 abitanti; b) farmacie rurali, ubicate in comuni, frazioni o centri abitati con popolazione non superiore a 5.000 abitanti. Tuttavia la stessa legge precisa che “ Non sono classificate farmacie rurali quelle che si trovano nei quartieri periferici delle citta', congiunti a queste senza discontinuita' di abitati.” Effetti della riforma 2012 e Farmacie Soprannumerarie L’art. 11 del d.l. n. 1 del 2012, al dichiarato scopo di favorire l’accesso alla titolarità delle farmacie di un più ampio numero di aspiranti, ha ridotto il quorum delle farmacie da istituire con criterio demografico, abbassando la soglia a 3.300 abitanti. Ecco quindi che secondo quanto previsto dall’art. 380 del r.d. n. 1265 del 1934, le farmacie risultanti in soprannumero alla pianta organica sono “gradatamente assorbite nella pianta stessa con l’accrescimento della popolazione o per effetto di chiusura di farmacie che vengano dichiarate decadute”. Ai sensi della legge n. 475 del 1968, per farmacie soprannumerarie si intendono “le farmacie aperte in base al criterio topografico o della distanza che non risultino riassorbite nella determinazione del numero complessivo delle farmacie stabilito in base al parametro della popolazione." Dalla lettura sistematica delle norme richiamate, si desume: che in deroga al criterio “demografico”, nei Comuni piccoli è ammessa la costituzione di ulteriori sedi farmaceutiche, definite “rurali” nei Comuni con popolazione inferiore a 12.500 abitanti, in base al criterio “topografico e della viabilità” relativo alla particolare configurazione del territorio; e che la soppressione può essere disposta solo con riferimento a quelle sedi che non possano essere riassorbite per effetto dell’incremento del numero degli abitanti e che, comunque, si siano prima rese vacanti; che l’apertura del dispensario farmaceutico è consentita solo quando manchi una farmacia, mentre essa non può essere disposta in sostituzione di una sede esistente. Infatti come chiarito dalla giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. III, 2018; Id., sez. III, del 2019), l’obiettivo della riforma del 2012 non è stato quello del massimo decentramento delle sedi, ma piuttosto quello di aumentare l’accessibilità all’assistenza farmaceutica in favore del maggior numero di abitanti del Comune, nella considerazione complessiva dell’intero territorio comunale. La tendenziale apertura alla concorrenza rende recessivo, nella riforma del 2012, l’interesse commerciale delle farmacie preesistenti in opposizione al potere di pianificazione degli enti locali. In tale prospettiva, la finalità di garantire l’accesso degli utenti al servizio distributivo dei farmaci non può significare che si debba procedere all’allocazione delle nuove sedi solo in zone disabitate o del tutto sprovviste di farmacie (cfr. Cons. Stato, sez. III, del 2016). Il d.l. n. 1 del 2012 ha inteso dunque incrementare il numero delle sedi farmaceutiche in deroga al criterio demografico, ma non ha fatto venir meno, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il concorrente criterio topografico (Cons. Stato, sez. III, n. 5701 del 2015). Non sono state abrogate le diverse e previgenti disposizioni di settore, che miravano ad incrementare il numero delle sedi farmaceutiche in deroga al criterio demografico: la riforma del 2012 è intervenuta sull’ordinario criterio demografico, consentendo una maggiore presenza di farmacie in relazione al numero di abitanti, ma nulla ha modificato in ordine all’ulteriore e preesistente opzione incrementale topografica, di natura straordinaria (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 4085 del 2016). Ne discende che i Comuni non sono tenuti a promuovere la soppressione delle sedi farmaceutiche che non possano essere comunque assorbite nella pianta organica: la revisione in diminuzione delle sedi, nell’ambito della procedura di revisione della pianta organica, non è dunque un provvedimento obbligatorio o automatico, ma richiede una valutazione discrezionale di merito circa la sussistenza o meno dell’interesse pubblico alla riduzione delle sedi, pur in presenza dei presupposti di carattere demografico. Il richiamato alla legge n. 362 del 1991 consente, quando siano intervenuti mutamenti nella distribuzione della popolazione comunale, la “nuova determinazione della circoscrizione delle sedi farmaceutiche”, senza che per ciò il Comune sia obbligato alla soppressione delle farmacie nella cui circoscrizione sia venuto a concentrarsi un minor numero di abitanti. La primaria considerazione del diritto alla salute costituzionalmente garantito comporta una valutazione prudente e discrezionale circa il mantenimento delle sedi farmaceutiche, per rimuovere ogni possibile sperequazione di ordine territoriale, nella considerazione dell’interesse pubblico alla soppressione ove “ritenuta non più utile per le esigenze della popolazione locale”. Oltre a ciò, ai fini della soppressione assume rilevanza la dimostrata vacanza della sede. In questo senso, si è affermato che “l’adeguamento del numero delle farmacie possa e debba essere fatto non solo in aumento (nel caso di incremento demografico), ma anche in diminuzione (in caso di decremento). È vero semmai che in questa seconda ipotesi la riduzione del numero delle farmacie in pianta organica non comporta, nell’immediato, la chiusura di alcuna delle farmacie in esercizio – non essendovi previsioni normative in tal senso – ma avrà comunque effetto nel momento in cui la farmacia soprannumeraria venga, per altra legittima causa, a trovarsi vacante” (Cons. Stato, sez. III, del 2015; Id., sez. III, del 2016 e Tar Piemonte 2021). Secondo un orientamento oggi presente la previsione del comma 2 dell’art. 104 del r.d. n. 1265 del 1934, sul riassorbimento stabilito in base alla popolazione in sede di revisione delle piante organiche e sulla conseguente classificazione in soprannumero, si riferisce esclusivamente alle farmacie urbane aperte in base al solo criterio della distanza, non anche alle farmacie rurali che sono istituite in base al diverso criterio topografico. Come si è detto, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 221 del 1968, il criterio normativo per la distinzione delle categorie di farmacie è quello topografico demografico, per cui sono “rurali” le farmacie situate in Comuni, frazioni o centri abitati con meno di 5.000 abitanti ovvero in quartieri periferici non congiunti alla città; sono invece farmacie “urbane” quelle situate in Comuni o centri abitati con popolazione superiore a 5.000 abitanti. Secondo la giurisprudenza, non è previsto il riassorbimento delle farmacie rurali, ciò in considerazione del fatto che tali farmacie sono destinate a far fronte a particolari esigenze dell’assistenza locale, che prescinde dall’ordinario criterio legato ai dati della popolazione residente (cfr. Cons. Stato, sez. III, 2019; Id., sez. III, del 2018). La disciplina dettata dall’art. 104 del Testo Unico del 1934 sul riassorbimento, in sede di revisione della pianta organica, trova quindi esclusiva applicazione per le farmacie urbane e non anche per le farmacie rurali, istituite in base al criterio topografico (Cons. Stato, sez. III, del 2019). Leggi anche "La decadenza dell'autorizzazione della farmacia" Ed in tali circostanze, quale è il ruolo del dispensario farmaceutico? Il dispensario farmaceutico rappresenta invece un mero presidio sul territorio al servizio dei cittadini, non un soggetto economico in grado di competere con le farmacie.. ed in quanto tale non è assimilabile all’ordinario servizio farmaceutico, tanto è vero che resta privo di circoscrizione e di autonomia tecnico-funzionale (Cons. Stato, sez. III del 2015). Ne consegue che il dispensario farmaceutico non può essere aperto in sostituzione di una farmacia, trattandosi di diversi strumenti di erogazione dei farmaci (Cons. Stato, sez. III, del 2015). L’istituzione di un dispensario farmaceutico a tempo indeterminato inirebbe per tradursi, oltre che in un livello inferiore di assistenza farmaceutica, anche in un’elusione dei principi concorsuali di assegnazione delle sedi, con una privativa a vantaggio del farmacista viciniore per il tempo presente e futuro, costituente un’eccezione rispetto alla regola generale che prevede, invece, l’indizione del concorso per la copertura delle sedi farmaceutiche vacanti (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. V, del 2017). In contrario, si è già chiarito che le farmacie costituite secondo il criterio topografico nei Comuni fino a 5.000 abitanti non soggiacciono al meccanismo del riassorbimento e soppressione, quando la sede non possa essere assorbita nell’incremento della popolazione. Ciò premesso, deve ribadirsi che la scelta di mantenere o meno una sede farmaceutica è rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione, sindacabile solo quando la relativa valutazione sia palesemente irrazionale, irragionevole, arbitraria. Le scelte assunte dalle Amministrazioni competenti in sede di revisione della pianta organica delle sedi farmaceutiche non abbisognano di specifica motivazione e sono frutto di un ampio potere discrezionale, finalizzato a garantire, attraverso una razionale distribuzione delle farmacie sul territorio, l’interesse pubblico alla conservazione di un adeguato livello di assistenza farmaceutica. La scelta conclusiva si basa sul bilanciamento di interessi diversi attinenti alla popolazione, attuale e potenzialmente insediabile, alle vie ed ai mezzi di comunicazione. Essa è sindacabile solo sotto il profilo della manifesta illogicità ovvero della inesatta acquisizione al procedimento degli elementi di fatto presupposto della decisione (Cons. Stato, sez. III, 2020; Id., sez. III, del 2018). Leggi i Post di Diritto Farmaceutico E quale è il ruolo dell'ordine dei Farmacisti in caso di “conferma della pianta organica”? L’obbligo di acquisizione dei pareri grava sul Comune solo in caso di istituzione di nuove sedi farmaceutiche, non nell’ipotesi in cui il Comune confermi la pianta organica già esistente. L’art. 2, comma 1, della legge n. 475 del 1968 prevede infatti che “Al fine di assicurare una maggiore accessibilità al servizio farmaceutico, il comune, sentiti l’Azienda sanitaria e l’Ordine provinciale dei farmacisti competente per territorio, identifica le zone nelle quali collocare le nuove farmacie”. Seguici sui Social Del valore dei pareri ci siamo già occupati in altri articoli, possiamo concludere affermando che essi sono obbligatori ma non vincolanti, costituenti quindi un contributo di carattere “istruttorio” alla emananda ordinanza amministrativa, valutabile dal Tar in sede di ricorso ove sussista un “difetto di istruttoria”, ma questa è un'altra storia. Contattaci per ogni esigenza Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli casi di studio che non costituiscono consulenza né raccomandazione.

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gli articoli del blog non costituiscono consulenza sono casi di scuola ad uso studio di carattere generale e non prescindono dalla necessità di un parere specifico su caso concreto.

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