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  • I Rapporti tra Contratto preliminare e azione costitutiva

    Quale é il rapporto tra contratto preliminare non adempiuto e sentenza costitutiva richiesta dal promissario acquirente? Ci occupiamo nel presente articolo del difficile rapporto tra “contratto preliminare” e “azione costitutiva ex art 2932 cc” in caso di mancata esecuzione dell’obbligo di concludere il contratto definitivo. Deve precisarsi che le sentenze di "esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto", per definizione sono destinate a produrre "gli effetti del contratto non concluso", sostituendo la decisione del giudice alla volontà delle parti, una delle quali abbia omesso di manifestarla, pur essendovi tenuta. Ne consegue che le prestazioni eventualmente imposte con il provvedimento costituiscono il contenuto di obbligazioni di carattere prettamente negoziale, ancorché stabilite in forma di accertamento, di condanna, o di condizione di efficacia. Il mancato pagamento del prezzo che è l'ipotesi più frequente nella prassi ma anche la consegna del medesimo bene oggetto della sentenza, non perdono la natura di prestazione corrispettiva, destinata ad attuare il sinallagma contrattuale, sicché l'eventuale inadempimento può essere fatto valere dall'altra parte, ricorrendone i presupposti, come ragione di risoluzione . Si è detto, infatti, che in caso di sentenza di accoglimento della domanda del promissario acquirente per l'esecuzione specifica di un preliminare di vendita, il pagamento del prezzo cui è subordinato il trasferimento della proprietà del bene, costituisce la condizione per il verificarsi dell'effetto traslativo medesimo, senza con ciò rendersi incompatibile con la natura di prestazione essenziale del contratto, con la conseguenza che il mancato versamento del prezzo può comportare la risoluzione del contratto stesso con riferimento alla gravità dell'inadempimento a norma dell’ art 1455 cc, secondo cui Il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra (ex plurimus Sez. II, Sent. n. 8164 del 2023 Rv. 667503-01). Nella specie, invece, è stata accolta la domanda di risoluzione per l'inadempimento di obblighi derivanti dal contratto preliminare: infatti, l'immobile oggetto del preliminare non ha subito alcuna modifica dopo la sentenza ex art. 2932 c.c. e le difformità del bene rispetto a quello promesso in vendita nel contratto preliminare erano già state oggetto di discussione nel precedente giudizio e la parte già le conosceva al momento in cui ha chiesto l'esecuzione in forma specifica del contratto e poteva farle valere in quella sede sia per chiedere la risoluzione che la riduzione del prezzo. Infatti, nel giudizio avente ad oggetto l'esecuzione in forma specifica ex art. 2932 dell'obbligo di trasferire il bene il promissario acquirente ha la facoltà di chiedere in alternativa la risoluzione del contratto o anche la riduzione del prezzo. La giurisprudenza della Corte è ormai stabilmente e univocamente orientata nel senso che il promissario acquirente non resta soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell'accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme, ma può esperire l'azione di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo e, cumulativamente , proporre un'actio quanti minoris per vizi della cosa , chiedendo l'eliminazione delle accertate difformità o la riduzione del prezzo; in tal caso, l'offerta del prezzo, non è necessaria, ove il pagamento non sia esigibile prima della conclusione del contratto definitivo. (Sez. II, Ordinanza n. 36241 del 23 novembre 2021, Rv. 662945-01). I Rapporti tra Contratto preliminare e azione costitutiva I Rapporti tra Contratto preliminare e azione costitutiva Dopo il passaggio in giudicato della sentenza costitutiva ex art 2932 cc dunque, l'immobile che si trasferisce per volontà del promissario acquirente è quello oggetto del giudizio e nelle condizioni da questi conosciute e l'obbligo del promittente alienante è quello di consegnare il suddetto bene dietro il pagamento del prezzo cui è obbligata la controparte. si arriva quindi secondo la Cassazione n 5638/2025 seguente principio di diritto: la sentenza costitutiva ex art 2932 produce gli effetti del contratto non concluso dal momento del suo passaggio in giudicato, dando luogo ad un rapporto che è distinto da quello derivante dal preliminare e che è, a sua volta, suscettibile di risoluzione per inadempimento, ma per ragioni inerenti al nuovo sinallagma venuto in essere, sicché la pronuncia di risoluzione del contratto non può che riguardare le obbligazioni da esso nascenti (vedi anche Sez. II, Sentenza n. 26233 del 02 dicembre 2005, Rv. 585216-01). Leggi il blog e trova il tuo caso Studio Legale Angelini Lucarelli

  • Appalto le cause di esclusione non automatiche nelle gare

    Ai sensi dell’art 95 co. 1 del codice degli appalti (d.lgs 36/2023) La stazione appaltante esclude dalla partecipazione alla procedura un operatore economico qualora accerti: a) sussistere gravi infrazioni in materia di salute e di sicurezza sul lavoro nonché agli obblighi in materia ambientale , sociale e del lavoro … b) situazione di conflitto di interesse c) sussistere una distorsione della concorrenza d) offerte siano imputabili ad un unico centro decisionale e) che l'offerente abbia commesso un illecito professionale grave.. 2. gravi violazioni non definitivamente accertate agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o contributi previdenziali… In tema di cause di esclusione non automatica relativa al punto d) dell’art 95 ovvero per offerte  siano imputabili ad un unico centro decisionale la giurisprudenza ha precisato che La causa di esclusione non automatica .. richiede che la stazione appaltante disponga di indicazioni sufficientemente plausibili per concludere che un concorrente abbia stipulato accordi con altri operatori economici al fine di falsare la concorrenza e che valuti il concreto impatto delle offerte sulla procedura di gara. (Tar Sicilia 1067/2025)   Ed inoltre che ai fini dell’individuazione dell’unico centro decisionale e del collegamento sostanziale tra le imprese e, pertanto, dell’eventuale alterazione del gioco concorrenziale, i relativi indizi devono essere vagliati non già in una prospettiva atomistica, ma nel loro insieme e letti in una visione complessiva. (CdS 393/2021) Appalto le cause di esclusione non automatiche nelle gare Appalto le cause di esclusione non automatiche nelle gare In motivazione la sezione ha precisato che non è in discussione l’astratta possibilità della contestuale partecipazione alla stessa gara del consorzio e di un’impresa consorziata, quanto piuttosto l’esistenza di plurimi indizi gravi, precisi e concordanti, circa la sussistenza di un unico centro decisionale, i quali (anche tenendo conto di quanto riscontrato dalla stazione appaltante in ordine al risultato in un'altra gara alla quale avevano preso parte i medesimi operatori) rivelano l’esistenza dell’unicità del centro decisionale e, pertanto, di un concreto rischio di contaminazione delle offerte. Nel caso specifico, la valutazione della stazione appaltante si era basata su diversi indici significativi del collegamento tra imprese partecipanti e della riferibilità delle offerte ad un unico centro decisionale, tra cui le strette relazioni familiari tra esponenti aziendali, il ribasso pressochè analogo offerto dai due operatori e la netta differenza rispetto alla media dei ribassi degli altri concorrenti. Leggi il blog con articoli a tema di appalto e gare pubbliche consulta il sito specialistico in appalti, non trovi quello che cerchi? Contattaci senza impegno Studio Legale Angelini Lucarelli Diritto Amministrativo ed Appalti Avv Aldo Lucarelli

  • Il consorzio stabile ed i poteri delle singole imprese consorziate

    Il consorzio stabile si sostituisce alle singole imprese consorziate nei rapporti con la stazione appaltante, in quando per previsione da codice degli appalti, questo da vita ad una unica unità giuridica, ferma la responsabilità solidale nella esecuzione. Ma residuano in capo alle singole consorziate poteri di accesso agli atti verso la stazione appaltante. Questo è quanto si ricava dalla recente giurisprudenza del Tar Brescia 324.2025. Com’è noto, alla luce del nuovo Codice dei contratti pubblici, nella partecipazione alle gare d'appalto è il consorzio stabile (e non già ciascuna delle singole imprese consorziate) ad assumere la qualifica di concorrente e contraente. Il modulo associativo del «consorzio stabile», dà infatti vita ad un soggetto giuridico autonomo, costituito in forma collettiva e con causa mutualistica, che opera in base a uno stabile rapporto organico con le imprese consorziate, in forza del quale, anche nell'attuale quadro normativo, è previsto che detto consorzio possa giovarsi, senza dover ricorrere all'avvalimento, degli stessi requisiti di idoneità tecnica e finanziaria delle consorziate stesse, secondo il criterio del c.d. «cumulo alla rinfusa», cosicché il medesimo può scegliere di provare il possesso dei requisiti medesimi con attribuzioni proprie e dirette oppure con quelle dei consorziati. segui la pagina on line Il consorzio stabile stipula il contratto in nome proprio, anche se per conto delle consorziate alle quali affida i lavori, sicché l'attività compiuta dall'impresa consorziata si imputa al consorzio. Il consorzio stabile ed i poteri delle singole imprese consorziate Nel caso in cui il consorzio designi una consorziata quale impresa esecutrice, tale designazione è un atto meramente interno al Consorzio, che non vale ad instaurare un rapporto contrattuale tra la consorziata esecutrice e la stazione appaltante. Insomma, il consorzio, incentrato sullo stabile apporto di capacità e mezzi aziendali in una « comune struttura di impresa », destinata a operare nel settore dei contratti pubblici, è l'unica controparte contrattuale delle stazioni appaltanti (cfr. da ultimo Consiglio di Stato sez. V, 04/07/2023, n.6530). In tale sistematica si inserisce l’art. 67 comma 4 del Nuovo Codice appalti (D.Lgs 63/2023) il quale, ripercorrendo la previgente disposizione dell’art. 47 del D.Lgs 50/2016, reca testualmente “4. I consorzi stabili di cui agli articoli 65, comma 2, lettera d), e 66, comma 1, lettera g), eseguono le prestazioni o con la propria struttura o tramite i consorziati indicati in sede di gara senza che ciò costituisca subappalto, ferma la responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante .”  Da tale disposto normativo va interpretato nel senso di attribuire – pur a fronte della qualifica di parte contrattuale in senso formale  unicamente al consorzio stabile - una responsabilità solidale ex lege  della consorziata esecutrice rispondente alla logica del rafforzamento della posizione contrattuale della stazione appaltante. Inserendosi nella dinamica della fase esecutiva del contratto, e rispondendo ex lege  in via solidale con il consorzio stabile dell’adempimento delle prestazioni oggetto del contratto, la consorziata esecutrice non può dirsi estranea alle vicende contrattuali, pur non rivestendo la qualità di contraente in senso formale. In realtà, può ritenersi sussistente in capo alla stessa un interesse al contratto che va oltre la sua posizione di mero esecutore, e produce effetti quantomeno riflessi in caso di contestato inadempimento in capo al consorzio stabile. Di conseguenza, se la consorziata esecutrice non può dirsi legittimata all’esperimento delle azioni ex contractu  – le quali spettano unicamente alla parte del contratto in senso formale – del pari non può negarsi un autonomo interesse, concreto ed attuale, ed una sua legittimazione, ad avanzare istanza di accesso con riguardo ai contratti di appalto di sua diretta esecuzione. Consorzio Stabile e poteri delle singole consorziate Quindi possiamo concludere affermando che: Il modulo associativo del consorzio  stabile dà vita ad un soggetto giuridico autonomo, costituito in forma collettiva e con causa mutualistica, che opera in base ad uno stabile rapporto organico con le imprese consorziate. Leggi il blog e trova il tuo caso altrimenti contattaci Il consorzio stabile stipula il contratto in nome proprio, anche se per conto delle consorziate, alle quali affida i lavori, sicché l’attività compiuta dall’impresa consorziata si imputa al consorzio, che rimane l’unica controparte contrattuale nella relazione con l'amministrazione. In omaggio alla logica del rafforzamento della posizione contrattuale della stazione appaltante, residua però una responsabilità solidale ex lege della consorziata esecutrice, che non la rende perciò solo estranea alle vicende contrattuali, anche in ragione della sussistenza, in capo alla stessa, un interesse al contratto. Studio Legale Angelini Lucarelli contrattualistica appalti e procedure pubbliche Avv. Aldo Lucarelli

  • Studi Medico ed ambulatorio, quale confine?

    Con riferimento alla contrapposizione tra “ambulatorio” e “studio medico”, basata sull’elemento organizzativo-strutturale, la giurisprudenza ha affermato che nel sistema dell’art. 193, cit., non sono sottoposte ad autorizzazione tutte indistintamente le attività sanitarie espletate da soggetti privati, ma solo quelle che danno luogo a una certa organizzazione di mezzi e di strutture del tipo indicato dalla norma, come ambulatori, case di cura, gabinetti di analisi (cfr. Cons. Stato, n. 728/1984; vedi anche TAR Sicilia, Catania, II, n. 238/2008); ed ha ritenuto che l’attrezzatura sanitaria di cui era dotato un gabinetto di analisi nonché la pubblicità diretta a rappresentare i vari sistemi tecnologici e di diagnosi, comprovassero la natura imprenditoriale dell’attività esercitata, e la necessità dell’autorizzazione (cfr. Cons. Stato, V, n. 619/1992). studio medico ed ambulatorio quale confine Può anche interessarti: l'abuso di professione nella parafarmacia Ovvero, che deve qualificarsi come ambulatorio, per il cui esercizio è richiesta l'autorizzazione da parte della competente azienda USL, ogni struttura aziendale destinata alla diagnosi e/o alla terapia medica extraospedaliera, mentre deve ritenersi semplice studio medico quello nel quale si eserciti un'attività sanitaria il cui profilo professionale si appalesi come assolutamente prevalente rispetto a quello organizzativo (conseguentemente, si è ritenuto che una struttura dovesse qualificarsi come ambulatorio, condividendo le osservazioni svolte dal giudice di merito in ordine alla complessità delle strutture diagnostiche e terapeutiche utilizzate, alla vastità ed al numero dei locali adibiti all'attività di dentista, alla evidente pubblicizzazione della struttura mediante targa stradale indicante l’apertura al pubblico in tutti i giorni feriali, alla presenza di un dipendente fisso – cfr. Cass. civ., I, n. 256/1998). Hai un quesito? Leggi il blog o contattaci senza impegno Quale è il confine tra l'ambulatorio medico e lo Studio? Anche ai fini del riscontro dell’esistenza del reato previsto (per la mancanza dell’autorizzazione) dal terzo comma dell’art. 193, cit., la giurisprudenza ha fatto riferimento all’elemento organizzativo-strutturale, quale elemento distintivo degli “ambulatori", affermando che gli istituti sanitari disciplinati dall'art. 193 sono quelli caratterizzati da una minima organizzazione di mezzi e persone diretta al fine di gestire l’attività sanitaria (cfr. Cass. pen., II, n. 17923/2014) ; che, in base all’art. 193, le istituzioni sanitarie private che devono essere autorizzate (ambulatori, case o istituti di cura medico-chirurgica o di assistenza ostetrica, gabinetti di analisi, ecc.) sono quelle che abbiano un’interna organizzazione di mezzi e di personale, ancorché minima, che però assuma un’individualità propria distinta da quella dei sanitari che ivi prestano la propria opera; mentre sono esclusi dall’autorizzazione sanitaria gli studi dei liberi professionisti dove il singolo sanitario esercita la propria professione e dove si accede normalmente per appuntamento (cfr. Cass. pen., III, n. 21806/2007; n. 17434/2005). Ambulatorio come struttura soggetta ad autorizzazione secondo leggi regionali. Dunque, nel sistema autorizzatorio basato sull’art. 193 del T.U.LL.SS., gli studi medici – individuati come tali in base alla mancanza di un’organizzazione distinta dalla figura del medico, o quanto meno dalla assoluta prevalenza dell’elemento professionale rispetto a quello organizzativo - erano esentati dalla necessità di essere autorizzati, indipendentemente dal tipo di attività che svolgevano. La ratio di una simile disciplina riposava probabilmente sulla presunzione secondo la quale soltanto in presenza di una minima organizzazione esterna al professionista medico, e della connessa disponibilità di mezzi tecnici ed ulteriore personale, si potesse verificare l’esercizio di attività comprendente prestazioni di chirurgia ambulatoriale ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità e rischiosità. Coerentemente, nel d.P.R. 14 gennaio 1997, atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private, l ’ “ambulatorio” viene assimilato, come “struttura” soggetta ad autorizzazione, all’ospedale: “ presidio: struttura fisica (ospedale, poliambulatorio, ambulatorio, ecc.) dove si effettuano le prestazioni e/o le attività sanitarie ”. Le terapie invasive del d.lgs 502/1992 Il d.lgs. 229/1999, introducendo l’art. 8-ter nel d.lgs. 502/1992, ha collegato la necessità dell’autorizzazione, non più soltanto all’esistenza di un ambulatorio anziché di uno studio medico, ma anche allo svolgimento da parte dello studio medico di determinate attività. L’art. 8-ter prevede infatti che: “ La realizzazione di strutture e l'esercizio di attività sanitarie e socio-sanitarie sono subordinate ad autorizzazione...” Dopo la modifica del Titolo V della Costituzione, l’art. 4 della l.r. Lazio 4/2003, come esposto, ha sostanzialmente riprodotto la disposizione statale, così come effettuato dalle altre Regioni Italiane. La modifica dell’ambito dell’autorizzazione introdotta dalla legge 229/1999 trae origine dall’ampliamento delle possibilità di svolgere attività terapeutica al di fuori degli istituti di cura tradizionali, ormai consentite dagli strumenti tecnologici a prescindere dall’esistenza di una organizzazione complessa, e quindi alla portata di molti professionisti. Se dall’autorizzazione - e con essa dalla verifica del possesso di requisiti minimi di carattere strutturale, tecnologico ed organizzativo, quali indice della correttezza delle attività svolte a tutela della salute dei pazienti - si poteva prescindere per attività sanitarie consistenti nella semplice visita medica, la prospettiva è cambiata, una volta evidente che il professionista medico è in grado di erogare autonomamente prestazioni diagnostiche e terapeutiche, sempre più complesse. Ecco poi che che il Consiglio di Stato nel 2017 con la sentenza n.1382 ha affermato che sulla base della legislazione statale e regionale lo studio medico non attrezzato per l’attività chirurgica non richiede autorizzazione per la sua apertura, a differenza degli ambulatori. Sul punto anche CdS 23/2017. e le barriere architettoniche? Detta normativa non è applicabile allo studio medico, uguale interpretazione è contenuta anche nella specifica circolare del Presidente della Regione Abruzzo Chiodi del 24 marzo 2014 indirizzata ai Sindaci e Direttori di ASL in cui afferma che gli studi dei medici di medicina generale sono strutture private non aperte al pubblico in cui il sanitario eroga una prestazione professionale senza intermediazione e pertanto non sono compresi nell’ambito oggettivo di applicazione della normativa in materia di barriere architettoniche. Hai un quesito? Contattaci Tale circolare,ha ripreso la distinzione tra azienda e professionista, ed ha individuato l'ambulatorio medico quale struttura aziendale organizzata e quindi soggetta ad autorizzazione (artt. 2082 e 2555 del codice civile e leggi regionali, ad esempio legge 32/2007 art. 2,3,4 Abruzzo) e studio medico inteso come struttura in cui prevale l'elemento personale e dove è svolto l’esercizio di una attività intellettuale professionale sanitaria (art. 2229 CC) sicché l'elemento personale prevale in modo preponderante su quello organizzativo della struttura. Leggi anche Studi Medici e Farmacie, un binomio imperfetto. Leggi il Blog Studio Legale Angelini Lucarelli Avv. Aldo Lucarelli

  • Divisione della Farmacia in successione ereditaria

    Ci occupiamo del caso spinoso della divisione della Farmacia caduta nella successione ereditaria, li dove la stessa sia gestita medio tempore da uno solo degli eredi. Quali diritti vantano gli altri eredi non facenti parte della gestione della farmacia caduta in successione ereditaria? E' legittima la richiesta di partecipare agli utili ed alle perdite della gestione? In materia di gestione di farmacie, si deve considerare del tutto evidente la circostanza che la suddetta gestione possa essere curata esclusivamente da un soggetto in possesso del relativo diploma di laurea e della iscrizione al relativo albo, trovando ciò conferma anche nella L. n. 475 del 1968 , art. 12 il quale espressamente stabilisce, nell'ipotesi di successione, la possibilità, per gli eredi, nel caso di morte del titolare, di effettuare entro un anno il trasferimento della titolarità della farmacia a favore di un farmacista che sia iscritto nell'albo professionale, che abbia conseguito la titolarità o sia risultato idoneo in un precedente concorso, avendo diritto, durante tale periodo, gli eredi, a continuare l'esercizio della farmacia in via provvisoria sotto la responsabilità di un direttore (Cons. Stato Sez. V, 08 maggio 2007, n. 2118). Ti può anche interessare La successione della farmacia Nel medesimo ordine di idee, questa Corte ha precisato che "la titolarità di una farmacia deve comprendere inscindibilmente sia il servizio farmaceutico, sia la gestione diretta e personale dell'azienda; ne consegue che, in caso di successione "mortis causa", ove la comproprietà dell'azienda farmaceutica spetti a più coeredi, dei quali solo uno sia stato autorizzato all'esercizio del servizio farmaceutico, quest'ultimo non acquista automaticamente la proprietà esclusiva dell'azienda, in assenza di divisione dell'asse ereditario di cui la farmacia faceva parte" Cass. n. 12346/2009). Senza che sia minimamente necessario approfondire oltre il tema del passaggio generazionale delle farmacie, ai fini che rilevano nel presente giudizio, è sufficiente fermarsi alla seguente duplice considerazione: a) la farmacia rimane di proprietà comune dei coeredi fino alla divisione; b) il debito dell'assegnatario di essa è un debito da conguaglio, che rappresenta l'eccedenza del valore del bene rispetto alla quota dell'assegnatario. Leggi pure: come individuare il valore della farmacia In rapporto ai principi sopra indicati, si comprende come nella divisione giudiziale di una farmacia compresa in una successione possa insorgere l'esigenza di distinguere la comproprietà del bene, che compete agli eredi secondo le norme sulla successione e che permane fino allo scioglimento della comunione, dalla gestione del bene stesso che compete, manente communione, a colui il quale sia in possesso dei requisiti previsti dalla legge. Tale separazione a sua volta impone tener conto, nella stima dei bene ai fini della divisione, dell'"apporto", riferibile al solo coerede farmacista. Secondo la sentenza di legittimita', il problema deve trovare coerente soluzione nell'adozione del criterio temporale di stima della farmacia . Precisamente si deve avere riguardo al valore di essa "alla data di apertura della successione (salvo ovviamente la rivalutazione per il periodo successivo, trattandosi appunto di debito di valore: cfr. tra le ultime, Cass. n. 6931/16); (...).le spese, gli incrementi o i decrementi aziendali successivi a tale data, essendo ascrivibili all'attività imprenditoriale del solo M.A., non possono essere considerati comuni". A un attento esame la finalità che ha spinto la Suprema Corte verso questa soluzione (escludere il carattere comune degli utili e delle perdite della farmacia gestita da uno solo) potrebbe essere raggiunto con metodi diversi, purchè in linea con i principi della divisione che non tollerano criteri di stima diversi da quelli che hanno come punto di riferimento il momento in cui si pone fine alla comunione: ad esempio, si poteva considerare l'azienda nella consistenza che aveva al tempo di apertura della successione e stimarla ai valori attuali; si poteva stimare l'azienda nella consistenza attuale e dedurre, dal valore di stima, i miglioramenti dovuti al farmacista. Il punto, però, è oramai indiscutibile: la farmacia deve essere stimata secondo il valore al tempo di apertura della successione. In questa prospettiva, mentre è corretta la rivalutazione del conguaglio, e' una contraddizione dei termini riconoscere interessi sul conguaglio a partire da un momento precedente alla sua liquidazione. E' stato chiarito che l'espressione debito di valore, talvolta usata in giurisprudenza in relazione al conguaglio dovuto dall'assegnatario del bene indivisibile ( art. 720 c.c. ), il quale conguaglio deve essere aggiornato anche d'ufficio con riferimento al momento della decisione della causa (Cass. n. 3083/2006; n. 4369/1996), è impropria, trattandosi piuttosto di determinare il valore della cosa al momento della divisione, in applicazione dell' art. 726 c.c. Debito di valore in senso proprio si avrebbe se la stima dovesse far capo al prezzo del bene al momento dell'apertura della successione o al momento della domanda di divisione, da ragguagliare poi alla corrispondente espressione monetaria al momento della pronunzia di divisione. La regola applicabile, come chiarito, è invece diversa. Il condividente, assolvendo i relativi oneri di allegazione sull'intervenuto mutamento di valore, può solo pretendere che la stima risalente nel tempo sia aggiornata al momento della decisione. Egli non ha diritto a una maggiorazione automatica dipendente dalla rivalutazione monetaria del conguaglio (Cass. n. 28138/2022 in motivazione). In altre parole, la nozione di debito di valore non prelude, in questa materia, al riconoscimento degli interessi per il tempo intermedio. Divisione della Farmacia in successione ereditaria Divisione della Farmacia in successione ereditaria La Corte di Cassazione ha più volte precisato che "In materia di divisione giudiziale, la somma dovuta a conguaglio dal condividente assegnatario a quello non assegnatario ha natura di debito di valore, che sorge all'atto dello scioglimento della comunione e dell'assegnazione a uno soltanto dell'intero bene non comodamente divisibile; da tale momento, sulla somma relativa, che deve rappresentare il valore effettivo del bene al momento della divisione, sono dovuti gli interessi corrispettivi; per il periodo precedente di indivisione deve farsi riferimento rapporto dei comunisti coi beni oggetto della comunione: se il possesso degli stessi e il godimento dei frutti è stato comune, non sono dovuti interessi compensativi sulla somma a conguaglio; se il solo condividente poi assegnatario ha avuto il possesso dei beni e il godimento dei frutti, sorgerà a favore del non assegnatario il diritto al rendiconto con riferimento ai frutti ed eventualmente il diritto agli interessi corrispettivi sulle somme dovute a tale titolo, in ogni caso non essendo dovuti interessi compensativi sul valore del capitale" (Cass. n. 9659/2000; conf, n. 5606/2001; n. 12702/2007). Leggi il blog in diritto farmaceutico ed aziendale , trova il tuo caso oppure contattaci In conclusione, tirando le fila del discorso, i coeredi, privi dei requisiti per subentrare nella gestione della farmacia , non hanno la giuridica possibilità di concorrere agli utili oltre il limite temporale stabilito per legge alla durata dell'esercizio provvisorio, che potrebbe pur non esserci, laddove il trapasso della gestione sia immediato. Studio Legale Angelini Lucarelli Diritto Farmaceutico Aldo Lucarelli

  • Il ricorso contro l'inerzia della Regione per la mancanza di norme attuative

    Nel presente post affrontiamo il tema della "ricorribilità" avverso silenzio perpetrato da una Regione nella mancata predisposizione di norme attuative regionali necessarie per l'utilizzo di fondi pubblici di carattere nazionale. Il quesito è: E' possibile ricorrere avverso le lacune normative generali di una Regione per l'uso di fondi nazionali? La risposta sembrerebbe negativa in quanto si tratterebbe di atti a contenuto generale di carattere normativo secondario, per definizione esclusi dalle procedure in tema di procedimento amministrativo in quanto difficilmente individuabili sono i destinatari del provvedimento e quindi difficilmente individuabili sarebbero gli "interessati" ricorrenti. Tale impostazione sembra però essere stata incrinata da una recente sentenza del Consiglio di Stato in tema di ricorso avverso la mancata emissione di provvedimenti attuativi di fondi faunistici. E’ possibile passare alla disamina della questione se sia possibile azionare il rito ex art. 117 c.p.a. a fronte dell’inerzia di una amministrazione nella approvazione di un atto amministrativo di natura generale o di un atto di natura normativa come le norme attuative regionale per l'utilizzo di fondi pubblici. Il Consiglio di Stato n. 3652/2025 non ignora che è orientamento consolidato di questo Consiglio di Stato quello secondo cui si è al di fuori dei presupposti dell’azione avverso il silenzio quando si sollecita all’amministrazione non una specifica attività provvedimentale ma una attività di carattere generale (Cons. Stato, sez. IV, 17 dicembre 2018, n. 7090; 27 dicembre 2017, n. 6096; sez. V, 9 marzo 2015, n. 1182; sez. IV, 22 giugno 2011, n. 3798; 7 luglio 2009, n. 4351): tale orientamento valorizza la presunta impossibilità, in tal caso, di individuare specifici “destinatari” degli atti sollecitati, in capo ai quali possa radicarsi una posizione giuridica qualificata e differenziata, definibile come di interesse legittimo. Per questa via si perviene ad affermare la impraticabilità del rito del silenzio laddove manchi uno specifico e individuato destinatario dell’azione amministrativa: ciò vale, a fortiori , con specifico riferimento agli atti normativi che, per la loro generalità e astrattezza vedono quali loro destinatari la collettività, ovvero, categorie di soggetti genericamente e astrattamente determinate (Cons. Stato, sez. IV, 26 maggio 2023, n. 5206). Il ricorso contro l'inerzia della Regione per la mancanza di norme attuative Il ricorso contro l'inerzia della Regione per la mancanza di norme attuative E’ stato, tuttavia, sottolineato, da altre pronunce, che la preclusione all’esperibilità del rito sul silenzio nei confronti di atti amministrativi generali o di atti normativi non deriva dal mero carattere regolamentare o generale dell’atto di cui si invoca l’adozione, quanto piuttosto dal fatto che, in ragione dell’ordinario rivolgersi di tali atti a una pluralità indifferenziata di soggetti destinatari, non individuabili ex ante e destinati anche a cambiare nel corso del tempo, è molto complessa e delicata l’opera di individuazione dei requisiti della legittimazione e dell’interesse a ricorrere in capo a chi si attivi per l’adozione di provvedimenti di tal natura. Non vi sarebbe, quindi, una preclusione di tipo “teorico” ed assoluta, alla esperibilità del rito del silenzio nei confronti di atti generali e normativi; conseguentemente è stata affermata l’ammissibilità del rito del silenzio laddove si possano individuare interessi legittimi differenziati e qualificati, in particolare nelle ipotesi di procedimenti officiosi aventi ad oggetto attività di natura generale programmatoria e pianificatoria dovuta nell’ an ma discrezionale nel quomodo e nel quid (Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 273; C.g.a., sez. giur., 9 ottobre 2020, n. 905), evidenziandosi, altresì, che, in mancanza di una puntuale previsione normativa, l’amministrazione non può sospendere o interrompere sine die il procedimento di approvazione (Cons. Stato, sez. V, 2 aprile 2020, n. 2212). Valga del resto la considerazione che anche i procedimenti di approvazione degli atti amministrativi generali e degli atti normativi non sono esclusi dal campo di applicazione della L. n. 241/90, come dimostra il fatto che l’art. 13 di tale legge sottrae gli indicati procedimenti solo all’applicazione del Capo III della legge, e non a tutta la legge. Tenuto conto di ciò nonché del fatto che gli artt. 31 e 117 c.p.a. si riferiscono, genericamente, alla conclusione del “ procedimento amministrativo ”, senza fare esplicito riferimento al procedimento di approvazione di uno specifico atto amministrativo, si ricava che non sono gli artt. 31 e 117 c.p.a. a costituire un ostacolo insormontabile alla esperibilità del rito del silenzio nei confronti dell’inerzia delle amministrazioni nella approvazione di atti amministrativi generali o di natura normativa: l’unico vero limite che si ricava da tali norme è che il silenzio deve avere ad oggetto una attività amministrativa, il che esclude che detto ritor possa essere attivato per lamentare l’inerzia nell’approvazione di atti di natura legislativa. Anche la Corte costituzionale ha da tempo affermato che i principi generali di cui alla l. 241 del 1990 e, in particolare, quelli contemplati dall’art. 2, comma 2, che impone alla pubblica amministrazione di concludere il procedimento entro il termine all’uopo definito dalla legge, debbono essere applicati anche agli atti amministrativi generali di pianificazione e di programmazione: tale dovere prescinde dal fatto che il procedimento consegua ad una istanza di parte o debba essere iniziato d’ufficio, sicché l’inosservanza del termine di definizione del procedimento, pur non comportando la decadenza dal potere, connota in termini di illegittimità il comportamento della pubblica amministrazione, con conseguente possibilità per i soggetti interessati di ricorrere in giudizio avverso il silenzio-rifiuto ritualmente formatosi , al fine di tutelare le proprie posizioni giuridiche soggettive attraverso l’utilizzo di tutti i rimedi apprestati dall’ordinamento (Corte cost., n. 176 del 2004, n. 355 del 2002, n. 262 del 1997). E’ stato ancora osservato che ai fini dell’individuazione dei requisiti della legittimazione e dell’interesse a ricorrere in capo a chi si attivi per l’adozione di provvedimenti di tal natura, non rileva l’ampiezza della discrezionalità, salvo il caso in cui quest’ultima investa anche l’ an del provvedere ( è il caso, ad esempio degli strumenti di pianificazione generale in materia urbanistica e relative varianti: Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2011, n. 3798); in tali casi, infatti, al pari di quelli relativi al ritardo nella emanazione di atti normativi, è da escludersi la sussistenza di un obbligo di provvedere, anche in considerazione delle valutazioni lato sensu politiche riservate alla p.a. che rendono l’inerzia sostanzialmente insindacabile da parte del giudice amministrativo (arg. ex art. 7, comma 1, ultimo periodo, c.p.a.). Quindi ove l'atto da emanare possiede tutte le caratteristiche per essere coercibile in via giudiziale, sia che si tratti di un atto amministrativo di carattere generale, sia che si tratti di un regolamento questo è coercibile dal Giudice Amministrativo atteso che nel caso di specie la discrezionalità lasciata alle regioni sia limitata e le limitazioni alla discrezionalità delle regioni, dianzi evidenziate, consentono di individuare agevolmente i soggetti titolari di un evidente interesse alla approvazione della normativa attuativa. CdS 3652.25 un importante pronuncia - baluardo - che potrà segnare l'apertura a nuove forme di "istanze" oggi in ombra. Segui il blog Studio Legale Angelini Lucarelli diritto e procedura amministrativa Avv. Aldo Lucarelli

  • La Farmacia nella Holding di famiglia

    Nel presente caso studio affrontiamo un tema piu' volte sollecitato dai nostri lettori, spesso incuriositi dagli articoli di giornale riguardante la “holding” e la “farmacia” ove il patrimonio familiare sia composto da cespiti immobiliari e vi siano anche altre attività all'interno del nucleo familiare e si cerchi quindi nello stesso tempo un equilibrio tra gestione societaria, tutela dei rapporti familiari e successori, risparmio fiscale , circolazione dei beni e dei flussi e riparo patrimoniale, la risposta a tutti questi aspetti può essere la holding, o forse, no ma vediamo il perché. Segui la pagina on Line La holding come società che detiene partecipazioni in altre società è un fenomeno in rapida ascesa nel panorama del diritto Italiano, guidato da illustri esempi delle note famiglie “Torinesi” e “Milanesi”. La holding è una entità finanziaria ed ha lo scopo di detenere partecipazioni in altre società spesso con lo scopo del “controllo” . Facendo riferimento alla dizione del codice civile 2497 cc possiamo dividere le holding in “statiche” ove la partecipazione non sia collegata ad una attività di impresa, e dinamiche, ove per l'appunto vi sia una vera e propria attività di coordinamento delle altre società dalla stessa controllate. La definizione di “statica” e “ dinamica” risulta anche utile in chiave fiscale, si veda a tale proposito le pronunce della Cassazione n. 6082 del 2023 e n. 7429/2021 in tema di non applicabilità dell'imposta per le partecipazioni attive secondo cui: “ L'esenzione prevista dall'art. 3, comma 4-ter, del d.lgs. n. 346 del 1990 nei casi di trasferimento di partecipazioni sociali a favore dei discendenti, va così riconosciuta qualora essa consenta agli aventi causa l'acquisizione o l'integrazione del controllo della società e a condizione che quest'ultimi si impegnino, per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, a proseguire l'esercizio dell'attività” Sul tema leggi l'articolo completo: - “La società immobiliare statica e l'esenzione dell'imposta di donazione” La holding quale entità giuridica potrà avere quindi diversi utilizzi , si potrà avere una Holding “pura” di carattere finanziario, ove lo scopo sia di controllo strategico senza attività di produzione, una Holding Operativa, oppure Gestoria, o ancora Familiare, con lo scopo cioè di gestire i vari asset(s) familiari nella formula della società a responsabilità limitata o della SAPA, società in accomandita per azioni, al fine di tutelare le ricchezze di famiglia o di facilitare i passaggi tra le generazioni oltre che veicolare i flussi finanziari verso le necessità piu' prossime in una ottica complessiva di gruppo. Non deve essere dimenticato che le varie società gestite tramite holding rimangono comunque entità a sé stanti, e nel caso della Farmacia anche scollegate da ogni ingerenza che rimane di competenza del direttore ai fini farmaceutici , ecco che quindi con la holding si può realizzare un controllo interno alle società ma le stesse poi saranno libere di muoversi nel rispetto delle proprie maggioranze societarie e nel caso della farmacia, delle disposizioni della legge di settore, si pensi alla legge 475/1968. La Farmacia nella Holding di famiglia La Farmacia nella Holding di famiglia Sarà quindi il caso di una holding di famiglia che detenga immobili e che abbia al contempo partecipazioni nella SRL in cui si può immaginare la farmacia, che rimarrà comunque un nucleo operativo a sé stante, tale da garantire il riparo da passività delle singole società. Segui la pagina on line Possiamo quindi dire che lo scopo della holding è quello di centralizzare il controllo garantendo un collegamento tra le società (più società) con una protezione patrimoniale, il patrimonio quindi potrà essere centralizzato nella holding mentre le gestioni (il plurale è d'obbligo) dovranno ricadere all'interno delle singole Srl. Si può quindi ipotizzare la holding che detenga gli immobili e la farmacia che pur operando come azienda, sia anche in affitto in uno degli immobili del gruppo. Hai un quesito? Consulta il blog o contattaci Una menzione particolare riguarda i profili contabili e fiscali collegati alla holding.  Con la holding infatti è possibile accedere al sistema “PEX” ovvero il regime di esenzione del 95% dei dividenti ricevuti dalle società controllate e l'esenzione, sempre con il regime del 95%, delle plusvalenze derivanti dalle vendite di partecipazioni, ai sensi dell'art. 87 del Tuir, (testo unico imposte e redditi) oltre al meccanismo del “consolidato fiscale ” in termini di compensazione degli utili e delle perdite tra le società del gruppo , riducendo così la pressione fiscale complessivamente intesa, ed alla gestione centralizzata dell'IVA come unico soggetto (Iva di gruppo art. 73 co. 3 dpr 633/72) e, elemento maggiormente interessante, l'accesso alla circolazione del capitale interno tra le società del gruppo, con il meccanismo dei prestiti tra le società. Questa è forse la cosa maggiormente appetibile per i flussi finanziari tra le società dello stesso gruppo. Ci sono chiaramente aspetti “collaterale” da valutare come il costo gestionale della struttura holding, gli obblighi gestori, le possibili criticità in tema di inversione del corretto rapporto tra società madre e società gestita, ove cioè il controllo ricadesse nella società operativa che si trovi quindi a detenere anziché essere detenuta dalla società immobiliare, con il rischio quindi di generare criticità per il patrimonio e super garantire i creditori anziché dare protezione. In sintesi, il meccanismo della holding è variegato ed offre ampie possibilità, ad avviso di chi scrive è necessario valutare attentamente il rapporto tra costi/benefici/rischi partendo dal dato oggettivo della dimensione del proprio business e della prevalenza di asset immobiliari rispetto a plurime società gestorie, anche in settori diversificati. Si pensi quindi al caso in esame ove accanto ad una Farmacia Srl vi siano attività differenti gestite in altre società facenti parte del patrimonio familiare. Si può immaginare una incompatibilità farmaceutica infra gruppo? La risposta – ad avviso di chi scrive - dopo il caso marchigiano risolto dal Consiglio di Stato Adunanza Plenaria n. 5/2022 in tema di partecipazioni societarie attinenti una clinica ed una farmacia, è potenzialmente affermativa. Sul punto leggi l'approfondimento tra Holding di Famiglia e Farmacia nel nostro sito farmadiritto. Può interessare anche Farmacie la fusione tra società e la fusione tra farmacie Farmacia, la successione ereditaria esclude i medici Cosa dire del meccanismo di finanziamento tra la Farmacia SRL e la holding di famiglia? Per rispondere quindi al quesito posto possiamo ipotizzare un contratto di mutuo (anche senza ricorrere ad una banca la dizione corretta è sempre mutuo disciplinato dall'art. 1813 del codice civile) tra la Farmacia Srl e la holding alla quale la stessa appartiene,  con lo scopo di finanziare e dare liquidità alla stessa capogruppo. In questo caso sarà comunque necessario prevedere degli interessi da applicare all'operazione, ed il rispetto del “transfer pricing” ovvero gli interessi di mercato - interessi che avranno una componente “attiva” per la farmacia ai fini della componente del reddito e passiva per la holding ricevente ai fini della deducibilità. Può anche interessare: - Farmacia il finanziamento dei familiari In una operazione del genere, aspetti importanti – chiedere al proprio commercialista – saranno quelli  “occulti” come ad esempio il rischio fiscale di utili occulti dati dal tasso di interesse applicato o dal meccanismo di “thin capitalization”, ovvero quella situazione in cui il capitale della holding sia esiguo. Nessun problema invece nella piu' lineare ipotesi di locazione degli immobili della holding alla farmacia, fermo le regole sulla tracciabilità e contabilità delle locazioni. Leggi il blog  o contattaci per ogni esigenza       Studio Legale Angelini Lucarelli Diritto Farmaceutico e Societario Avv. Aldo Lucarelli il presente scritto non costituisce consulenza – caso di studio

  • Cessione di una farmacia Srl: affrancazione delle quote per ridurre il peso fiscale

    Cessione di una farmacia Srl: affrancazione delle quote per ridurre il peso fiscale La cessione di una farmacia costituita come Srl (Società  a responsabilità limitata) rappresenta una operazione complessa che richiede una accurata pianificazione preliminare, specialmente sotto il profilo farmaceutico di regolazione e fiscale. Seguici on Line In questo contesto, dopo lo studio del diritto farmaceutico, dei casi di potenziale incompatibilità o profili concorsuali, che trattiamo in altri articoli (clicca qui) , la questione fiscale appare premintente tant è che l'affrancazione delle quote sociali può diventare uno strumento strategico per ridurre il carico fiscale derivante dalla plusvalenza realizzata con la cessione per il fortunato farmacista cedente. Leggi pure: Farmacia cessione e plusvalenze La cessione della farmacia Srl Una farmacia costituita come Srl può essere ceduta attraverso due modalità  principali: 1. Cessione delle quote societarie: l'acquirente acquisisce direttamente le partecipazioni della società , diventandone socio. 2. Cessione dell'azienda: l'operazione comporta il trasferimento dell'intera attività  aziendale, comprensiva di beni, avviamento, dipendenti e autorizzazioni. Leggi pure: Farmacia quando la cessione delle quote nasconde la cessione d'azienda I n entrambi i casi, la cessione genera una plusvalenza, ossia la differenza tra il prezzo di vendita e il valore fiscale delle quote o dell'azienda. Tale plusvalenza è soggetta a tassazione, che varia in base al regime fiscale del venditore (persona fisica o giuridica) e alla natura della cessione, elementi su cui si rimanda al consiglio del vostro commercialista di fiducia. Farmacia, la plusvalenza e il suo impatto fiscale Nel caso di cessione delle quote societarie da parte di persone fisiche non imprenditori, la plusvalenza è usualmente tassata come reddito di capitale, con un'aliquota del 26%. Se invece le quote appartengono a una persona giuridica, la plusvalenza concorre alla formazione del reddito imponibile e viene tassata secondo l'IRES (24%) e, eventualmente, IRAP. Cessione di una farmacia Srl: affrancazione delle quote per ridurre il peso fiscale Per ridurre l'impatto fiscale,appare possibile ricorrere al meccanismo dell'affrancazione delle quote sociali di cui tratta il presente articolo. Cosa si intende per affrancazione delle quote della SRL? L'affrancazione consiste nella possibilità, prevista dalla normativa fiscale italiana, di rivalutare il valore fiscale delle quote di partecipazione, pagando una imposta sostitutiva ridotta. Questo consente di adeguare il valore fiscale delle quote al loro valore di mercato, abbattendo così la plusvalenza imponibile in caso di cessione. Il meccanismo si basa sulle seguenti caratteristiche: Applicabilità: l'affrancazione può essere effettuata solo da persone fisiche che non detengono le quote nell'esercizio di una attività  d'impresa. L'aliquota agevolata: per usufruire del regime di affrancazione, è necessario versare una imposta sostitutiva, generalmente pari al 14% del valore di rivalutazione delle quote. La base di calcolo: il valore di rivalutazione deve essere determinato attraverso una perizia giurata di stima redatta da un professionista abilitato (es. il vostro commercialista). I vantaggi della affrancazione in una operazioen di cessione delle quote sociali da parte di un farmacista possono così riassumersi: 1. Riduzione del carico fiscale: la rivalutazione riduce o azzera la plusvalenza imponibile, generando un risparmio fiscale significativo in caso di cessione delle quote. 2. Chiarezza e trasparenza: la perizia di stima garantisce una determinazione chiara e documentata del valore delle quote, riducendo il rischio di contestazioni da parte della Agenzia delle Entrate. 3. Flessibilità: l’operazione opzionale e puó essere effettuata in vista di una cessione futura o per migliorare la pianificazione patrimoniale. Considerazioni operative Per procedere con l’affrancazione delle quote appare necessario: 1. Redigere la perizia giurata di stima per determinare il valore di mercato delle quote. 2. Versare l’imposta sostitutiva del 14% entro i termini stabiliti dalla normativa vigente. 3. Annotare l’operazione nei libri sociali della Srl. Conclusioni L’ affrancazione delle quote rappresenta uno strumento utile per ridurre il peso fiscale in caso di cessione di una farmacia Srl, rendendo tale operazione conveniente per il cedente. Tuttavia, data la complessita della normativa é necessario una valutazione preliminare della cessione e della procedura con uno studio di fattibilità per non incorrere in imprevisti. Consulta il blog in diritto farmaceutico e rimani aggiornato Studio Legale Angelini Lucarelli Avv Aldo Lucarelli Legge 448/2001

  • Concorsi farmacisti i casi pratici

    Ci occupiamo nel presente post di alcuni aspetti “tipici” del concorso farmacie, sia di quello ordinario in dirittura di partenza in molte regioni che del colpo di coda di quello straordinario ancora esistente almeno per quanto attiene alle fasi processuali delle controversie in corso. Parte 1) Concorso Ordinario Farmacie ad oggi disponibile per Emilia Romagna e Puglia ( leggi qui 👈) Il numero esatto di domande al concorso ordinario per farmacie non è fisso e può variare a seconda della regione che bandisce il concorso. Tuttavia, in genere, la prova scritta prevede 100 domande a risposta multipla sulle materie indicate nel bando. Ti può anche interessare: É possibile modificare il perimetro della farmacia ? Ad esempio , il bando di concorso ordinario per farmacie della Regione Emilia-Romagna prevede una prova scritta con 100 domande a risposta multipla su argomenti di: * Legislazione farmaceutica * Chimica farmaceutica e tossicologia * Farmacologia * Tecnica farmaceutica * Farmacognosia * Patologia e fisiopatologia * Igiene e sanità pubblica Seguici on Line È sempre consigliabile consultare attentamente il bando di concorso specifico della regione di interesse per avere informazioni precise sul numero di domande e sulle materie oggetto d'esame. Leggi tra i nostri centinaia di casi per farmacisti affrontati oppure contattaci per il tuo caso specifico  #farmacia #farmacisto La scelta della sede farmaceutica nel concorso ordinario avviene generalmente dopo la pubblicazione della graduatoria  dei vincitori. La procedura può variare leggermente a seconda della regione, ma il processo standard prevede questi passaggi: Leggi pure: Concorsi in Comune da liste da avviamento e la competenza del Giudice Ordinario * Pubblicazione della graduatoria: Una volta concluse le prove del concorso, viene stilata una graduatoria in base ai punteggi ottenuti dai candidati. Dalla data di pubblicazione decorrono 60 giorni per l’eventuale ricorso Tar in caso di disaccordo sulla correzione. É da tener presente che nelle ultime esperienze la Commissione  di valutazione ha attribuito un punteggio su base 100  di cui 50 punti riservati alla prova attitudinale, 35 punti per titoli relativi all’esercizio professionale e 15 punti per i titoli di studio e di carriera. Farmacie e la revisione della pianta organica * Interpello : I candidati vengono chiamati in ordine di graduatoria per esprimere le loro preferenze sulle sedi farmaceutiche disponibili messe a concorso. Farmacie l’acquisto dell’azienda ed il modello contrattuale * Assegnazione : La sede viene assegnata al candidato con il punteggio più alto che l'ha indicata come preferenza. Se più candidati hanno scelto la stessa sede, la precedenza viene data a chi ha un punteggio più alto in graduatoria. Leggi pure La revoca dell’autorizzazione della farmacia * Accettazione : Il vincitore deve accettare la sede assegnata entro un termine stabilito, solitamente entro 15 giorni decorsi i quali decade dalla scelta. Concorsi farmacisti i casi pratici Concorsi farmacisti i casi pratici Punti importanti da considerare: * Elenco delle sedi disponibili:  Il bando di concorso specifica l'elenco delle sedi farmaceutiche disponibili, con indicazioni sulla loro ubicazione e caratteristiche (es. urbana o rurale). Leggi pure: Concorso farmacie quali diritti vanta un candidato? Concorso Ordinario Farmacie casi e questioni * Preferenze : I candidati possono esprimere un certo numero di preferenze tra le sedi disponibili. È fondamentale valutare attentamente le proprie opzioni, poiché una volta espresse, le preferenze non possono essere modificate. Nella preferenza delle sedi é necessario porre adeguata attenzione alle sedi non di nuovo insediamento per le quali quindi é dovuta obbligatoriamente indennità. Leggi pure Farmacie la donazione della sede e la risoluzione per inadempimento Concorso per Sedi di nuova istituzione Per le sedi per le quali è specificato “ sede non di nuova istituzione, già aperta in passato, soggetta a possibile pagamento indennità di avviamento (art. 110 TULLSS) che costituisce un costo a volte assolutamente non trascurabile visto che la determinazione non é rimessa alla Regione ma é lasciata alle parti ed alla competenza del giudice ordinario in coso di disaccordo. Ti può anche interessare: Farmacie art 110 indennità al farmacista uscente * Punteggio : Il punteggio ottenuto nel concorso è determinante per l'assegnazione della sede, quindi è importante prepararsi al meglio per ottenere un buon risultato. Ti può anche interessare: Vendita della Farmacia il Preliminare di vendita delle quote * Consultare il bando : per comprendere se ci sono clausole escludenti come ad esempio la precedente partecipazione al concorso straordinario o l’ ottenimento di una precedente sede da concorso. Sul concetto di clausola escludente da impugnare leggi pure qui * Informarsi sulle sedi: Raccogliere informazioni sulle sedi disponibili, valutando fattori come la posizione geografica, il potenziale bacino d'utenza, la presenza di altre farmacie nelle vicinanze, ecc. Leggi pure: Farmacia concorso ordinario Vs concorso straordinario Valutare le proprie priorità:  Decidere quali sono i fattori più importanti nella scelta della sede come vicinanza a casa, opportunità di crescita professionale, qualità della vita, la redditività della zona, i servizi offerti dai concorrenti. Apertura Farmacia assegnata a concorso ordinario L’apertura della sede assegnata deve avvenire nel termine di 180 giorni compresa la fase autorizzatativa Una importante differenza rispetto al concorso ordinario é riservata alla titolarità della farmacia ottenuta tramite concorso ordinario che è individuale : quindi l’istanza di autorizzazione all’apertura e all’esercizio della farmacia può essere presentata esclusivamente dall’assegnatario della sede farmaceutica e l’autorizzazione viene rilasciata al medesimo soggetto. Decorsi 3 anni dall’apertura della farmacia, la titolarità individuale potrà essere trasferita a società o ad altro titolare (art. 12 L. 475/1968). Parte 2) Concorso Straordinario Farmacie l'ultima pronuncia in tema di associazione Riportiamo un passo di una recentissima sentenza sicialiana che come "colpo di coda" del terminando concorso straordinario farmacie valorizza la posizione del singolo associato rinunciante rispetto alla posizione assunta dall'intera compagine. E' quindi legittima la rinuncia da parte di un singolo associato che informa l'Ente Regionale della volontà di recesso dalla associazione, prima della assegnazione, e tale determinazione travolge l'intera associazione. Leggi il blog in diritto farmaceutico Ci precisa la sentenza che l’art. 11, comma 5, del D.L. n. 1/2012 prevede espressamente che, in caso di partecipazione in forma associata, la titolarità della sede farmaceutica è subordinata al mantenimento di una gestione congiunta e paritaria da parte di tutti i componenti del gruppo per almeno tre anni. Non è invece prevista la possibilità di prosecuzione in forma modificata o ridotta rispetto al gruppo originario. Concorso straordinario Farmacie la rinuncia di un associato travolge l'associazione Concorso Straordinario la logica dell'associazione La norma si fonda su una logica chiara: i candidati che partecipano in forma associata possono cumulare i propri titoli per ottenere un punteggio più elevato, proprio perché si presentano come un’entità stabile e unitaria. Se tale unità viene meno prima del termine triennale, viene meno anche il presupposto che ha giustificato l’attribuzione del punteggio e, quindi, l’assegnazione della sede. Leggi pure: Concorso Ordinario e Concorso Straordinario Farmacie Recesso di un associato, gli altri associati possono rimanere in corsa? Consentire la prosecuzione in forma ridotta, a seguito del venir meno (per qualsiasi causa) di uno dei componenti dell’associazione, equivarrebbe ad alterare l’esito della selezione, riconoscendo la sede a soggetti che, sulla base dei soli titoli individuali, non avrebbero ottenuto l’assegnazione. segui la pagina on line In tal modo si svuoterebbe di significato l’intera fase valutativa e si lederebbe il principio di parità tra i concorrenti, penalizzando chi disponeva di titoli pari o superiori rispetto a quelli dei singoli componenti dell’associazione, ma non ha potuto beneficiare del cumulo. In sintesi, la composizione originaria del gruppo rappresenta un elemento essenziale per la validità dell’assegnazione: ogni modifica intervenuta prima del termine triennale previsto dalla legge comporta il venir meno dei requisiti richiesti e determina, ove la sede sia già stata assegnata, la decadenza dalla stessa; nei casi, invece, in cui l’assegnazione non si sia ancora perfezionata, come nella fattispecie in esame, comporta l’esclusione del gruppo dalla procedura. Il singolo associato e la capacità rappresentativa del referente nel concorso straordinario farmacie Come già evidenziato.. la figura del referente non comporta un’esclusività nella capacità rappresentativa dell’intera associazione, ma solo una funzione di coordinamento procedurale. Ti può anche interessare: Concorso Straodinario e la somma dei titoli Nel caso di specie, la comunicazione è stata resa da, soggetto pienamente legittimato in quanto parte dell’associazione, ed è stata trasmessa per iscritto, a mezzo PEC, con contenuto inequivocabile. Non vi era alcuna disposizione, né normativa né regolamentare, che imponesse l’utilizzo esclusivo della piattaforma ministeriale per tale tipo di dichiarazione unilaterale . Trattandosi di atto sostanziale, incidente sulla volontà individuale del singolo componente, la forma adottata deve ritenersi senz’altro adeguata allo scopo. Tar Sicilia - Palermo n. 759 2025 In sintesi il percorso "associativo" determina la caducazione dell'intera partecipazione quando il vincolo viene sciolto prima dei tre anni dall'autorizzazione o dell'assegnazione. E' solo il caso di precisare che nel concorso ordinario farmacie in corso di svolgimento in alcune regioni Italiane, l'autorizzazione è rivolta al singolo partecipante, il cui vincolo rimane triennale ai sensi dell'art. 12 della legge 475 del 1968 ai sensi del quale: " È consentito il trasferimento della titolarità della farmacia decorsi tre anni dalla conseguita titolarità." Hai un quesito? Leggi il blog, trova il tuo caso oppure contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli Diritto Farmaceutico Avv. Aldo Lucarelli

  • Contratto preliminare di immobile da costruire e fallimento

    Perché il contratto preliminare di acquisto immobiliare trascritto non è una garanzia in caso di fallimento? Ci viene chiesto di illustrare il meccanismo relativo al contratto preliminare registrato di vendita immobiliare ed il motivo per il quale tale contratto non sarebbe sufficiente a tutelare l'acquirente in caso di fallimento della società di costruzione. Diritto immobiliare e tutela dell'acquirente Contratto preliminare di immobile da costruire e fallimento Il punto di partenza non può che essere la legge fallimentare essendo il presente caso incentrato sul meccanismo di tutela dell'acquirente in caso di fallimento o liquidazione giudizilae della società di costruzione. Leggi pure: Assicurazione decennale sull'immobile Per i rapporti pendenti l’art. 72 legge fall. stabilisce la regola generale secondo cui “se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l'esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto”. Contratto preliminare di immobile da costruire e fallimento: Come poi precisato la previsione si applica anche al contratto preliminare di vendita immobiliare , fatto salvo quanto previsto nell'art. 72-bis per i contratti relativi a immobili da costruire. Per la vendita immobiliare soccorre inoltre - in generale - il settimo comma dell’art. 72, il quale prevede che,  ove a fronte di un preliminare trascritto ai sensi dell'art. 2645-bis cod. civ. vi sia stato lo scioglimento da parte del curatore,   “l'acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all'articolo 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento.”. È bene rammentare a tal riguardo che la Corte di Cassazione ha chiarito che l’afferente privilegio speciale sul bene immobile , che assiste ai sensi dell'art. 2775-bis cod. civ. i crediti del promissario acquirente conseguenti alla mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell'art. 2645-bis cod. civ., essendo subordinato a una particolare forma di pubblicità costitutiva (come previsto dall'ultima parte dell'art. 2745 cod. civ.), resta sottratto alla regola generale di prevalenza del privilegio sull'ipoteca, sancita, se non diversamente disposto, dal secondo comma dell'art. 2748 cod. civ., e soggiace agli ordinari principi in tema di pubblicità degli atti. Sicché, nel caso in cui il curatore del fallimento della società costruttrice dell'immobile scelga lo scioglimento del contratto preliminare (ai sensi dell'art. 72 della legge fall.), il conseguente credito del promissario acquirente per la restituzione di caparre o acconti, benché assistito da privilegio speciale, è collocato in grado inferiore rispetto a quello dell'istituto di credito che, precedentemente alla trascrizione del contratto preliminare, abbia iscritto sull'immobile stesso ipoteca a garanzia del finanziamento concesso alla società costruttrice (Cass. Sez. 1 n. 17141-16). In sostanza è principio fondamentale che in ipotesi di scioglimento dal contratto resta prevalente il diritto derivante dall’iscrizione ipotecaria. Sul piano della disciplina normativa il dato diverge nel caso del preliminare avente a oggetto un immobile per uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero un immobile per uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell'attività di impresa dell'acquirente stesso. In questa situazione l’ultimo comma dell’art. 72 ha introdotto una deroga rispetto alla potestà del curatore di sciogliersi dal vincolo: “le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell'articolo 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell'attività di impresa dell'acquirente”. È bene ribadire che la deroga non attiene (ovviamente) al meccanismo tipico del preliminare, ma solo alla dianzi citata (ordinaria) potestà di scioglimento dal contratto. Come esattamente osservato dall’ordinanza interlocutoria, l’effetto che ne deriva è che il curatore, in presenza di un contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis cod. civ., avente a oggetto un immobile con la destinazione suddetta, non ha possibilità di scegliere se subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendosi tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo. Leggi l'approfondimento su fallimento ed ipoteche Egli succede necessariamente nel contratto, ex lege,  e quindi è tenuto a darvi esecuzione. V. - Da qui il problema se, considerata l’esistenza di un simile obbligo di legge, possa dirsi che l’alienazione effettuata in questi casi dal curatore fallimentare sia tale da rientrare essa stessa – ancora ex lege - nell’ambito dell’attività liquidatoria: di quell’attività, cioè, che il curatore è tenuto a compiere nel corso della procedura concorsuale. La risposta affermativa si basa sul rilievo che la vendita fatta dal curatore è da considerare come tale anche se non effettuata secondo le regole della esecuzione concorsuale, o (come dice l’ordinanza interlocutoria) a mezzo di procedure competitive. Ma non è tutto, ci si chiede quindi quale sia lo scopo dell'art. 72 della legge fallimentare Leggi pure: L'immobile all'asta e l'acquisto dal precedente proprietario La norma citata ha avuto (e ha) l’obiettivo di tutelare il promissario acquirente che abbia trascritto il preliminare di acquisto della casa di abitazione. E tuttavia questa finalità rileva solo a fronte del rischio di sopravvenienza del fallimento. Nella legge fallimentare il promissario acquirente resta tutelato dalla anteriorità della trascrizione del preliminare in vista dell’eventualità della dichiarazione di fallimento del promittente, non in rapporto alla posizione dei terzi titolari di anteriori diritti di prelazione. La trascrizione del preliminare neutralizza quel rischio nel senso che, ai fini dell’adempimento degli obblighi discendenti dal preliminare, il fallimento è come se non ci fosse. Ma attenzione la tutela rispetto al creditore ipotecario è cosa diversa. Ed infatti un conto è la protezione dell'acquirente dal fallimento della società di costruzione altro è invece il "grado" di tutela del promissario acquirente verso gli istituti bancari che avevano concesso ipoteca e credito alla società fallita o liquidata. In tale ottica quindi una recentissima sentenza della Cassazione ha evidenziato come sia sottratto al curatore fallimentare il potere di poter stipulare il contratto definitivo in caso di esistenza di un preliminare registrato e ciò non in quanto il preliminare non sia valido bensì in quanto le vendite durante le procedure fallimentari devono seguire - ai sensi del'art. 107 della Legge fallimentare - il principio dell'offerta piu' vantaggiosa e quindi dell'asta previsto per le procedure competitive. Solo tramite tale meccanismo quindi si verrebbe ad attivare il meccanismo di purgazione ovvero per dirla in parole piu' pratiche, di cancellazione dell'immobile dalle ipoteche degli istituti di credito. (Cass. 7337/2024). Leggi il blog o contattaci per un caso specifico Studio Legale Angelini Lucarelli

  • l'assicurazione decennale dell'immobile

    il decreto legge 122/2005 detta disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire. ai sensi dell'art. 4 Il costruttore e' obbligato a contrarre ed a consegnare all'acquirente all'atto del trasferimento della proprieta' a pena di nullita' del contratto che puo' essere fatta valere solo dall'acquirente, una polizza assicurativa indennitaria decennale a beneficio dell'acquirente e con effetto dalla data di ultimazione dei lavori a copertura dei danni materiali e diretti all'immobile, compresi i danni ai terzi, cui sia tenuto ai sensi dell' articolo 1669 del codice civile , derivanti da rovina totale o parziale oppure da gravi difetti costruttivi delle opere, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, e comunque manifestatisi successivamente alla stipula del contratto definitivo di compravendita o di assegnazione. Ma in cosa consiste tale garanzia assicurativa? Come noto, l'assicurazione contro i danni è un'assicurazione di cose, mentre l'assicurazione della responsabilità civile è un'assicurazione di patrimoni. Il rischio coperto dalla prima è il deterioramento di un bene, quello coperto dalla seconda è l'impoverimento dell'assicurato conseguente all'insorgenza d'una obbligazione risarcitoria. Nell'assicurazione di cose elemento essenziale del contratto è il valore ed è vietata la soprassicurazione a pena di nullità; nell'assicurazione di r.c. il massimale non è elemento essenziale del contratto, e non è vietata l'assicurazione a massimale illimitato. Per sostenere dunque che l'art. 4 D.Lgs. 122/05 imponga al costruttore la stipula d'una polizza che copra anche la sua responsabilità civile, sarebbe necessario un inequivoco riferimento nella legge ad una copertura del patrimonio del costruttore. l'assicurazione decennale dell'immobile L'assicurazione decennale dell'immobile L'art. 4 D.Lgs. 20.6.2005 n. 122 non si occupa però del patrimonio del costruttore. La norma stabilisce che il costruttore di un immobile ha l'obbligo di "contrarre e consegnare all'acquirente", al momento della stipula del contratto di vendita, "una polizza assicurativa indennitaria decennale a beneficio dell'acquirente (...) a copertura dei danni materiali e diretti all'immobile, compresi i danni ai terzi, cui (il costruttore) sia tenuto ai sensi dell'articolo 1669 del codice civile, derivanti da rovina totale o parziale oppure da gravi difetti costruttivi delle opere". Leggi pure Il contratto di compravendita dell'immobile Da questo testo si desume che: a) la polizza deve essere una polizza per conto altrui, ex art. 1891 c.c.: tanto si desume dall'espressione "a beneficio dell'acquirente"; b) l'acquirente è il soggetto assicurato: tanto si desume, oltre che da quanto appena detto, anche dal fatto che la polizza debba essere a lui consegnata. Infatti, poiché il contratto di assicurazione richiede lo scritto ad probationem (art. 1888 c.c.), se davvero il costruttore dovesse ritenersi "assicurato" la previsione della consegna della polizza sarebbe priva di senso, dal momento che consegnando la polizza il (preteso) assicurato perderebbe la possibilità di provare l'esistenza dei propri diritti scaturenti dal contratto; Leggi pure Immobile all'asta e rapporti con il precedente proprietario c) il rischio che deve essere obbligatoriamente coperto a spese e cura del costruttore ed a beneficio dell'acquirente è rappresentato dai danni "materiali e diretti all'immobile": dal che si desume che si tratta d'una assicurazione contro i danni. Quanto, poi, all'espressione "danni di cui (il costruttore) sia tenuto ai sensi dell'art. 1669 c.c., derivanti da rovina totale ecc.", essa designa non il rischio assicurato, ma il tipo di danni oggetto di copertura. La norma va letta dunque come se dicesse: i danni coperti sono quegli stessi danni descritti dall'art. 1669 c.c. ecc. Leggi pure Immobile da costruire contratto di prenotazione o preliminare? Infine, quanto all'espressione secondo cui la polizza debba coprire anche "i danni ai terzi", essa va intesa nel senso che il contratto debba coprire non solo i danni all'immobile, ma anche la responsabilità del proprietario per i danni a terzi causati dal vizio costruttivo dell'immobile. Rispetto al costruttore, infatti, l'acquirente giammai potrebbe ritenersi "terzo", dal momento che è la sua controparte contrattuale. Leggi pure: acquisto immobiliare e deposito fiduciario al notaio La polizza prevista dall'art. 4 D.Lgs. 122/05 è dunque una polizza multirischio , stipulata dal costruttore per conto di chi spetta, ed avente ad oggetto la copertura di: (a) i danni all'immobile; (b) la responsabilità civile del proprietario per danni a terzi causati dai difetti dell'immobile. Non è coperta, invece, la responsabilità civile del costruttore (appaltatore) nei confronti dell'acquirente, né quella del committente dei lavori, del progettista o del direttore dei lavori. Ciò vuol dire, da un lato, che la stipula della polizza non impedisce all'acquirente di azionare la garanzia di cui all'art. 1669 c.c. nei confronti del costruttore; e dall'altro che quest'ultimo non potrà pretendere che l'assicuratore lo tenga indenne dalle pretese dell'acquirente. Dell'eventuale pagamento dell'indennizzo potrà tenersi conto al solo fine di ridurre il risarcimento dovuto dal costruttore. (Cass. 4745/2025) Leggi il blog trova il tuo caso o contattaci Studio Legale Angelini Lucarelli diritto immobiliare diritto assicurativo

  • Divorzio quando matura il diritto al Tfr per l'ex coniuge

    Con orientamento oramai consolidato e che nel 2025 viene confermato la Corte di Cassazione, ritiene che la condizione per l’ottenimento della quota del trattamento di fine rapporto dell’ex coniuge è che il richiedente sia titolare di un assegno divorzile - o abbia presentato di attribuzione dell’assegno in sede di divorzio (poi seguita dalla relativa pronuncia) - al momento in cui l’ex coniuge matura il diritto alla corresponsione di tale trattamento (cfr. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4499 del 19/02/2021). Segui il blog trova il tuo caso o fai un quesito Divorzio quando matura il diritto al Tfr per l'ex coniuge: La ratio della norma è, infatti, quella di correlare il diritto alla quota del trattamento di fine rapporto alla percezione dell’assegno divorzile (tra le tante, v. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 12175 del 06/06/2011). Il trattamento di fine rapporto è attribuito quando il vincolo matrimoniale è ormai sciolto, ma deriva dall’accantonamento di somme operato nel corso del rapporto di lavoro e, per il tempo in cui tale rapporto si è svolto durante la convivenza matrimoniale, è ex lege chiamato a godere pro quota di tale trattamento anche l’ex coniuge del lavoratore, se ha ottenuto il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile. Alla base della disposizione normativa si rinvengono profili assistenziali, evidenziati dal fatto che la disposizione stessa presuppone la spettanza dell’assegno divorzile, ma anche criteri di carattere compensativo, predeterminati dalla legge (v. in motivazione Cass., Sez. U, Sentenza n. 6229 del 07/03/2024). segui la pagina on line La finalità, in sintesi, è quella di attuare una partecipazione, seppure posticipata, alle fortune economiche costruite insieme dai coniugi finché il matrimonio è durato. In applicazione dell’art. 12 bis l. n. 898 del 1970, la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l’ottenimento della quota del trattamento di fine rapporto spettante all’ex coniuge va, dunque, verificata al momento in cui nasce, per quest’ultimo, il diritto all’ottenimento del menzionato trattamento nei confronti del datore di lavoro. Segui la pagina instagram dedicata al diritto di famiglia Sul punto, la giurisprudenza ritiene che tale diritto sorge, e può essere azionato, quando cessa il rapporto di lavoro (v. tra le tante Cass. Sentenza n. 34050 del 12/11/2021). Insieme al diritto del lavoratore a tale trattamento, viene ad esistenza, infatti, anche il diritto dell’ex coniuge a percepire una sua quota, in presenza degli altri presupposti dall’art. 12 bis l. n. 898 del 1970. Come stabilito dalla norma appena richiamata, solo l’effettiva percezione di tale trattamento rende esigibile la quota di spettanza dell’ex coniuge, essendo previsto il diritto di quest’ultimo «ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge». Divorzio quando matura il diritto al Tfr per l'ex coniuge In sintesi, il diritto alla quota del trattamento di fine rapporto, che matura con l’insorgenza del diritto a tale trattamento da parte dell’altro coniuge, diviene esigibile quando quest’ultimo percepisce il relativo trattamento (cfr. Cass. Sentenza n. 5719 del 23/03/2004). Ti può anche interessare: Famiglia Divorzio ed Eredità Farmacia e l'affitto del locale di famiglia L'assegno di mantenimento Non è, però, necessario che l’importo su cui calcolare la quota di spettanza sia già incassato al momento della proposizione della relativa domanda, essendo sufficiente che sia esistente al momento della decisione. Come avviene in tutti i casi in cui è promosso un giudizio teso all'accertamento di un credito, infatti, la sentenza che decide la causa deve accogliere la domanda del creditore quante volte abbia a riscontrare che i fatti costitutivi del diritto fatto valere, pur se non sussistenti al momento della proposizione della domanda, sussistono in quello successivo della decisione (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24403 del 08/08/2022). Leggi pure: Famiglia l'assegno divorzile e la stabile convivenza Eredità e donazione Testamento successione e quota di legittima Resta, ovviamente, fermo che la percezione del TFR da parte dell’ex coniuge titolare di assegno divorzile deve intervenire dopo la proposizione della domanda di divorzio (Cass., Sez. 1, n. 17154 del 15/06/2023), non potendo, pertanto, considerarsi le anticipazioni del TFR percepite durante la convivenza matrimoniale o nel corso della separazione dei coniugi (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24421 del 29/10/2013 Cass. Civile 8325 del 30.03.2025) Hai un quesito? Contattaci Leggi i post in diritto di famiglia e consulta i nostri numerosi casi svolti nell'archivio post di diritto di famiglia Studio Legale Angelini Lucarelli avv. Aldo Lucarelli

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gli articoli del blog non costituiscono consulenza sono casi di scuola ad uso studio di carattere generale e non prescindono dalla necessità di un parere specifico su caso concreto.

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